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Friday, August 01, 2008

Karadzic: parla Francesco Tullio

LA DIFESA SPREZZANTE DI KARADZIC LETTA DA UN COLLEGA PSICHIATRA

Il dottor Tullio ci spiega la strategia del "macellaio di Srebrenica". Il "patto" con Holbrooke e le ripercussioni americane

Il Foglio, 1 agosto 2008

Radovan Karadzic si è presentato davanti al Tribunale dell'Aia, sbarbato e ripulito, e ha deciso di difendersi orgogliosamente da solo dalle accuse di genocidio e crimini di guerra. Ha iniziato, durante l'udienza preliminare, sostenendo di avere un accordo con gli Stati Uniti che gli garantiva la libertà in cambio della sua uscita di scena. Un accordo siglato con Madeleine Albright, allora al dipartimento di stato, e con Richard Holbrooke, la mente degli accordi di pace di Dayton del 1995.

Il diplomatico americano ha seccamente smentito, aggiungendo di essere pronto ad andare a testimoniare all'Aia. Ma già nel pomeriggio di ieri alcuni analisti sottolineavano che la vicenda potrebbe diventare sensibile per la campagna elettorale statunitense: sia Albright sia Holbrooke infatti sono consulenti del candidato democratico Barack Obama, anche se non direttamente coinvolti nella campagna elettorale (fanno parte di quei 300 advisor che aiutano Obama a definire la sua strategia di politica estera, fra cui molti ex clintoniani).

Karadzic persegue un unico obiettivo: la destabilizzazione, per cui getta ombre sul suo arresto. considerato un successo dalla comunità internazionale.

“Nell’ex Jugoslavia oggi circolano altri diecimila assassini che hanno torturato e ucciso a sangue freddo, a Srebrenica e altrove. Ottima quindi la cattura di Radovan Karadzic, a meno che non se ne faccia il solito capro espiatorio, e liberatorio per tutti gli altri. Compresi noi occidentali che a Srebrenica non siamo intervenuti, e quindi siamo stati suoi complici passivi”.

Il dottor Francesco Tullio è uno psichiatra, ma impegnato da trent’anni sul fronte opposto a quello di Karadzic.
Parlando con il Foglio spiega quel che è successo e la psicologia di Karadzic, la sua difesa, il "patto col diavolo" denunciato per destabilizzare la comunità internazionale.
“Nel ’94 ero il responsabile medico della marcia di Sarajevo, 500 pacifisti italiani guidati dal vescovo di Molfetta Tonino Bello. Andammo dal generale serbo Velibor Veselinovic, che comandava gli assedianti. Quello promise di non spararci, e mantenne la parola”.

Così cominciò la carriera di peacekeeper del dottor Tullio: “Ganic, vicepresidente dei bosniaci musulmani assediati, ci mandò dai serbi per chiedere di riaprire i tubi dell’acqua. Quelli di Karadzic ci risposero: ‘Ok, ma per farlo abbiamo bisogno dell’elettricità, che invece hanno loro’. Tornammo da Ganic per proporre questo scambio. Ma non ci fu risposta”.

Tullio, militante pacifista, ha pubblicato studi studi per il Centro militare di studi strategici del ministero della Difesa italiano, è stato visiting professor all’università di Belgrado e ha collaborato con l’ufficio Onu della Farnesina. Il suo ultimo libro, ‘Il brivido della sicurezza - Psicopolitica del terrorismo’ (ed. Franco Angeli), è stato recensito un mese fa dall’Osservatore Romano. “Partendo dal conflitto dell’ex Jugoslavia ho descritto la relazione fra capo e massa nelle situazioni di polarizzazione bellica. E il rapporto fra crisi politico-economica, crisi psichica e attivazione distruttiva quando gli impulsi collettivi prevalgono sull razionalità”.

Niente di nuovo: la spirale perversa di Karadzic è simile a quella di Hitler ampiamente analizzata da Erich Fromm e tanti altri. Ma i ‘volenterosi esecutori’ del capo serbo sono ancora in Bosnia,e con gli estremisti delle altre fazioni rendono impossibile la partenza del contingente militare internazionale. Il generale genocida Ratko Mladic è latitante.

“La Serbia”, aggiunge Tullio, “è tuttora spaccata fra i nazionalisti e gli europeisti del presidente Tadic, che sperano di superare i revanscismi con l’entrata nell’Unione. Ma il complicato rapporto capo/massa rimane. I nazionalisti di Seselj cavalcano la tigre dei risentimenti esattamente come fece Karadzic, alimentando il circolo vizioso vittimismo-frustrazione-aggressività. Lo fanno tutti i politici del mondo, d’altronde. Ma in un contesto di crisi economica, come quello della Bosnia negli anni ’90, infiammare gli odi era un gioco da ragazzi. I serbi vedevano che l’intero ricco Occidente inondava di soldi Slovenia e Croazia, e siccome nessuno li ascoltava reagivano col fucile”.

Perché, i serbi avevano qualche ragione? “Non avevano ragione, ma noi occidentali dovevamo ascoltarli. Tutti i conflitti, anche i peggiori, si disinnescano con l’ascolto attivo. Altrimenti resta solo la violenza, che chiama altra violenza”.

Mauro Suttora