Showing posts with label esselunga. Show all posts
Showing posts with label esselunga. Show all posts

Wednesday, October 18, 2023

Esselunga, saga familiare, consumismo e comunismo

"Le ossa dei Caprotti" (Feltrinelli) è un libro avvincente come un romanzo che racconta la storia della catena più antica d'Italia

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 18 ottobre 2023 

Esselunga fa sempre notizia, anche se mezza Italia non può conoscerla: il più meridionale dei suoi 170 supermercati, infatti, sta a Roma. Dopo il dibattito incredibilmente ampio di tre settimane fa sul suo spot della pesca regalata da una bimba al padre separato, ecco ora un libro che racconta la storia della catena più antica d'Italia (il primo supermercato fu aperto nel 1957 in viale Regina Giovanna a Milano). Lo ha scritto Giuseppe Caprotti, 63 anni, figlio del fondatore Bernardo scomparso nel 2016: 'Le ossa dei Caprotti', ed. Feltrinelli. E già la scelta dell'editore di sinistra sarebbe dispiaciuta al padre, che quindici anni fa scrisse pure lui un libro, "Falce e carrello", in polemica con le Coop, concorrente commerciale ma anche politico.

Il primogenito Caprotti jr era l'erede designato del colosso della grande distribuzione. Il padre lo mandò a farsi le ossa in America, nei supermarket di Chicago. Poi lo nominò amministratore delegato consegnandogli la società. Ma dopo pochi anni lo estromesse brutalmente, accusandolo di ogni nefandezza: i padri-padroni non si limitano ai pastori sardi. 

Negli ultimi vent'anni ci sono state battaglie giudiziarie di ogni tipo. Solo adesso le acque si sono calmate, Esselunga è finita alla seconda moglie di Bernardo e a sua figlia, i due figli di primo letto sono stati liquidati uscendo dall'azienda. E Giuseppe è libero di raccontare la sua versione.

Il libro è un saggio su duecento anni di storia della famiglia Caprotti, industriali tessili della Brianza prima di darsi ai supermercati. Ma è avvincente come un romanzo. Le ossa del titolo sono quelle che tappezzano la chiesa di San Bernardino a Milano, dietro il Duomo: Bernardo amava portarci in lugubre visita i figlioletti Giuseppe e Violetta. Ma anche il teschio e lo scheletro di San Valerio, bene in vista nella cappella della villa di famiglia ad Albiate (Monza).

Una delle parti più interessanti del libro è quella sulla nascita dei supermercati in Italia. Che furono un'operazione economica, ma anche politica. I Caprotti, infatti, nei primi anni erano soci di minoranza di Nelson Rockefeller, il miliardario statunitense e vicepresidente di Gerald Ford (1974-77). La sua multinazionale Usa nel secondo dopoguerra esportò uno dei prodotti più tipici dell'American way of life prima in Venezuela e poi in tutta l'America latina. Infine, a metà anni 50, lo sbarco in Italia. La scelta dei partner italiani fu attenta: perfino la Cia venne consultata per garantire la loro fedeltà ai valori occidentali.

Può sembrare complottismo, e invece il supermercato, simbolo supremo del consumismo, era anch'esso una arma per conquistare con il soft power i cuori, le menti (e i portafogli) degli italiani, che durante la guerra fredda avevano il più grosso e minaccioso partito comunista del mondo libero. Lo dice d'altronde la parola stessa: al centro dell'economia di mercato non può che troneggiare il super-mercato. 

E infatti Caprotti scrive che il plenipotenziario di Rockefeller in Europa, Richard Boogaart, scelse l'Italia e in particolare Milano perché "si era reso conto che aveva una cittadinanza comunista molto ampia, ed era contento dell'opportunità di mostrare ai comunisti che un'azienda americana come un supermercato potesse funzionare bene". Rockefeller stesso in quegli anni pronunciò la famosa frase: "È difficile essere comunisti con la pancia piena". E credeva fermamente che abbassare i prezzi del cibo avesse lo stesso significato di un aumento dei salari.

Insomma, in questi tempi di inflazione galoppante e di tentativi di combatterla con accordi fra catene di supermercati, negozi e aziende produttrici, è interessante scoprire che anche il modo di fare la spesa può avere un significato politico. Ed è uno dei pochi punti su cui il pugnace anticomunista Caprotti senior avrebbe concordato con suo figlio, fine intellettuale laureato alla Sorbona, e forse proprio per questo da lui osteggiato.

Friday, June 12, 2015

Ipermercati o piccoli negozi?

LA SFIDA CONTINUA. BOTTEGHE ALLA RISCOSSA CONTRO I SUPERMERCATI IN CRISI

I grandi centri commerciali in periferia non funzionano più: i loro prezzi bassi non bastano ad attirare clienti che preferiscono la comodità di comprare sotto casa. Anche per evitare il deserto nei centri storici, e ridar vita alle nostre vie 

Oggi, 3 giugno 2015

di Mauro Suttora

Le nostre tasche sono più vuote, e si svuotano anche le nostre vie. Negozi che chiudono per la crisi, incassi che non bastano a tenere aperte le vetrine. Così spariscono i commercianti che allietavano i marciapiedi dei centri storici. Colpiti dalla concorrenza dei centri commerciali in periferia: ne sono stati costruiti 5 mila in dieci anni, dopo il Duemila.

Ora, però, perdono colpi anche gli ipermercati. Le grandi catene francesi Auchan  e Carrefour sono in difficoltà, annunciano centinaia di licenziamenti in tutta Italia. 

Ricetta: specializzarsi e offerta di qualità

E infatti il numero di supermercati, discount e outlet, è sceso dai 29 mila del picco nel 2011 ai 27 mila di oggi. 
Viceversa, i piccoli negozi sono alla riscossa. Specializzandosi e offrendo prodotti di qualità attirano clienti che non hanno voglia di sobbarcarsi lunghi viaggi in auto in periferie intasate per fare la spesa.

Lo confermano i dati controcorrente della Cgia (Confederazione generale italiana dell’artigianato) di Mestre: «Negli ultimi sei anni hanno chiuso 115 mila negozi di vicinato», spiega il segretario Giuseppe Bortolussi, «ma i più colpiti sono stati artigiani ed esercenti di bar. I commercianti al dettaglio, invece, sono diminuiti soltanto dello 0,7 per cento: da 801 mila a 795 mila».

Insomma, la guerra fra supermercati e piccoli negozi è tutt’altro che vinta dai primi. In realtà c’è ancora spazio per chi inventa cose nuove. 

Un esempio concreto è quello di Damiano Giannatempo, che probabilmente detiene il Guinness dei primati per il tempo che passa nella sua bottega di via Anfossi a Milano, sul parco di largo Marinai d’Italia: 70 ore a settimana. La tiene aperta ogni giorno, domeniche comprese, dalle dieci del mattino alle otto di sera. Da solo.

Foggiano, a Milano da 45 anni, Giannatempo vende prodotti tipici meridionali. Dalla mozzarella di bufala al pane casereccio, da primizie di frutta e verdura a bottiglie doc di oli e vini. 
E sua moglie? Non la vede mai. «A lei va bene così», sorride Giannatempo. Che copia i negozi familiari coreani di Manhattan aperti 24 ore su 24: apertura garantita per chi lavora e quindi preferisce far compere con calma nei weekend. Piante fiorite e una panchina allietano il marciapiede davanti al negozio, e così Giannatempo contribuisce anche alla vita sociale della strada.

«È proprio questa la soluzione per i piccoli negozi», dice a Oggi Luigi Rubinelli, direttore di RetailWatch, «non la concorrenza sui prezzi nella quale iper e Internet sono imbattibili. O la velleità di offrire prodotti uguali a quelli dei supermercati. Certo, affitti e tasse colpiscono duro i piccoli esercizi. In Germania e Olanda gli enti locali, quando recuperano i centri storici, offrono spazi a prezzo calmierato per commercianti e artigiani».

Gli artigiani. Sono loro a soffrire di più, anche per la concorrenza degli immigrati, soprattutto i cinesi a basso costo: «Oltre la metà delle 115 mila imprese che hanno chiuso sono legate al comparto casa», calcola Bortolussi. «Edili, lattonieri, posatori, elettricisti, idraulici e manutentori di caldaie stanno vivendo momenti difficili. Ma soffrono anche professioni storiche dell’artigianato. Pochi giovani si avvicinano a mestieri come barbieri, calzolai, fotografi, rilegatori, ricamatrici; artigiani che con le loro botteghe hanno caratterizzato la vita quotidiana di tanti paesi e città, e che stanno scomparendo. Senza dimenticare i norcini e i casari che hanno contribuito a sviluppare una cultura agroalimentare che, in loro assenza, rischiamo di perdere definitivamente».
            
Oltre al danno economico, poi, c’è un aspetto sociale da non trascurare: «Quando chiude la saracinesca un piccolo negozio o una bottega artigiana, la qualità della vita di quel quartiere peggiora. C’è meno sicurezza, più degrado, un impoverimento del tessuto sociale», sottolinea Bortolussi.
Ormai, in molti casi, la vita sociale si è spostata nei centri commerciali. Che ruotano attorno a immensi ipermercati.

«Ma questi soffrono perché le industrie di marca non garantiscono più sconti sui prezzi, a fronte di acquisti all’ingrosso di grandi quantità», spiega Rubinelli. «Anche la benzina non ha più prezzi così bassi. E ormai si trovano prodotti di marca anche in discount come Lidl».

Quindi c’è un ritorno a negozi e supermercati «di prossimità». Si salvano catene italiane come Esselunga, Coop, Conad e Crai che hanno pochi ipermercati. I francesi di Auchan hanno appena trovato un accordo con i sindacati per i loro 9 mila dipendenti di 217 supermercati in Italia: meno soldi e turni più flessibili. Insomma, lavorare di più (senza arrivare agli orari stakanovisti di Giannatempo) e guadagnare di meno.

Inutile fare i romantici, è la legge del mercato

Inutile fare i romantici: «Anche i negozi obbediscono alla legge del mercato, chi non è efficiente chiude», dice Rubinelli. «Per esempio, fra i centri commerciali vanno meglio quelli che offrono dieci-dodici sale di cinema. E sapete quali sono i ristoranti che riscuotono maggiore successo? Quelli dell’Ikea. Perché lì si mangia con 9-10 euro, ma anche perché si può lasciare l’auto all’ombra nei parcheggi coperti, e perché i bimbi sono accuditi. Ormai c’è gente che va all’Ikea non per comprare mobili, ma per mangiare».

Nella grande distribuzione si esercitano strategie di marketing raffinatissime. Anche perché i margini sono assai risicati: su 100 euro di prodotti venduti, le catene riescono a guadagnarne appena 2-3. Ma essendo le quantità notevoli (il valore complessivo della spesa degli italiani è sui 40 miliardi annui), se si imbrocca la strada giusta i profitti arrivano a palate.

Così, non è un mistero che i prodotti con il miglior rapporto qualità/prezzo sono quelli più difficili da raggiungere, in basso negli scaffali. 
Oltre alla fatica di chinarsi per vederli, noi clienti dovremmo farne un’altra: quella di non guardare mai i prezzi scritti in grande, ma quelli veri. Che sono il costo al chilo, o all’etto.
Mauro Suttora



Monday, December 09, 2013

Guerra di Esselunga


IL PADRE-PADRONE 88ENNE BERNARDO CAPROTTI CONTRO I FIGLI GIUSEPPE E VIOLETTA

di Mauro Suttora

Oggi, 4 dicembre 2013

«Spero sempre in una riconciliazione con mio padre»: questo è l’unico commento che Giuseppe Caprotti fa con Oggi sul dissidio che da dieci anni lo contrappone al padre Bernardo, fondatore di Esselunga.

Il padrone quasi novantenne della più redditizia catena di supermercati in Italia (ben 230 milioni di utile su un fatturato di 6,8 miliardi l’anno scorso, con un clamoroso +3% nonostante la crisi) ha appena sparato a zero sui due figli del primo matrimonio con Giorgina Venosta (poi moglie di Aldo Bassetti): «Negli anni ho dato a Giuseppe 82 milioni, 74 a Violetta e quattro al suo ex marito newyorkese». Più la villa di famiglia con parco di Albiate (Monza Brianza) a lui, e un castello in Svizzera a lei.

Questo per rispondere alla clamorosa notizia secondo cui Caprotti senior li a vrebbe quasi diseredati: negli ultimi dieci anni, infatti, su 80 milioni di donazioni ne ha dati solo due a Giuseppe e sette a Violetta, contro 30 alla seconda moglie Giuliana, dieci alla figlia di secondo letto Marina Sylvia, e soprattutto altri dieci alla fedele segretaria 65enne Germana Chiodi. Troppo fedele, secondo alcuni: nominerebbe lei i dirigenti di Esselunga e licenzierebbe quelli non graditi.

Scene da film, con auto nere

Una vera Dinasty lombarda, insomma, con scene degne di un film. Come quella del 2004 quando Bernardo fece parcheggiare quattro Mercedes nere con autista sotto la sede centrale Esselunga a Pioltello (Milano). Dopo una burrascosa riunione licenziò in tronco tre dei massimi dirigenti, accusandoli di aver preso tangenti e facendoli portar via dalle auto.

«La quarta era per me?», gli domanda il figlio Giuseppe, che dopo una gavetta di dieci anni era diventato amministratore delegato. «Non ancora», gli rispose il padre, ridendo. Ma da allora i rapporti si sono guastati, e Giuseppe è stato esautorato.

Il 3 dicembre c’è stata un’udienza del processo in cui i figli si oppongono al padre che nel 2011 li ha privati delle loro quote nella società fiduciaria proprietaria di Esselunga. Ma i tempi della giustizia sono eterni. Intanto, Caprotti senior ha annunciato che il 23 dicembre va in pensione. Non seminerà più il panico ogni mattina negli uffici del colosso con 20mila dipendenti e 140 supermercati (due in apertura a Roma, i primi così a sud). Ma c’è da scommettere che, come azionista, continuerà a piombare di sorpresa fra casse e scaffali con le sue ispezioni.

Insomma, alla fine la guerra dei Caprotti verrà decisa all’apertura del testamento. Come in tante famiglie ricche e illustri, dai Berlusconi in giù, con dissidi fra figli di primo e secondo letto.

Lusso fra Londra e New York

E pensare che all’Esselunga fino a dieci anni fa tutto sembrava procedere per il meglio. L’irrequieta Violetta, disinteressata a una carriera aziendale, viveva fra Londra e New York. Due mariti (2004 e 2010), due sfarzosi matrimoni: il primo all’hotel Dorchester con 600 invitati, il secondo con un gallerista belga e ricevimento doppio, a Venezia e Saint Tropez.

Il tranquillo Giuseppe, invece, dopo la laurea in storia alla Sorbona e stages in catene di supermarket negli Stati Uniti, si era fatto strada nell’azienda famigliare. Sotto la sua guida Esselunga si era tolta di dosso l’immagine di catena «dura»: guerra al sindacato, severità con i dipendenti, cassiere che si lamentavano di non potere andare in bagno a fare la pipì. Caprotti junior aveva introdotto vendite online e prodotti biologici.

Poi l’improvvisa rottura, e versioni  contrapposte: l’anziano padre accusa il figlio di non far quadrare i conti, il figlio risponde con una spiegazione psicologica tratta dall’Adriano di Marguerite Yourcenar: «Eravamo troppo diversi perché potesse trovare in me quel continuatore docile che avrebbe usato i suoi stessi metodi e fatto i suoi stessi errori. Ma era obbligato ad accettarmi. Ed era un’eccellente ragione per odiarmi».
Mauro Suttora

Friday, August 15, 2008

Giusy Ferreri ama l'Esselunga

Il Foglio, 14 agosto 2008

di Mauro Suttora

Giusy Ferreri, trionfatrice dell'estate 2008 con la canzone ‘Non ti scordar mai di me’ (di Tiziano Ferro), è in testa anche nella classifica Google dei video su Youtube. Ma questa volta la sua non è una performance musicale. La ex cassiera del supermercato Esselunga di Corbetta (Milano) è tornata sul luogo di lavoro a salutare le ex colleghe. E, sorpresa, si lancia in complimenti per l’azienda fondata e guidata da Bernardo Caprotti, che molti considerano poco meno di un fascistone: “Ho lavorato lì undici anni, sempre part time. Poi ad aprile, improvvisamente, la trasmissione X Factor mi ha preso. Così non mi sono presentata più al lavoro da un giorno all’altro. Mi rendo conto di quanto possa essere difficile per un supermercato la gestione dei ritmi di lavoro di ogni dipendente. Però i capi sono stati gentili con me.”

Ma come? Esselunga non era l’inferno dei lavoratori, con Caprotti che li sfrutta e tortura fino a costringere una cassiera del super milanese di viale Papiniano a farsi la pipì addosso lo scorso febbraio, perché le fu vietato di andare in bagno troppo spesso durante un turno massacrante?

Macché. Non solo Giusy è felice per il suo eterno ‘precariato’ (“Mi andava benissimo, 24 ore di part-time settimanale per mantenermi, e il resto del tempo libero per la musica”, ha detto al settimanale Oggi), ma addirittura ringrazia Esselunga per averle quasi salvato la vita: “Ho iniziato a lavorare lì a 19 anni. Ero una disperata in tutto e per tutto, non sapevo quanto sarei stata capace di adattarmi alle regole di un’azienda molto seria. Invece lavorare nel supermercato mi ha cambiata positivamente: mi ha dato il senso della responsabilità, del rispetto e di tante cose. Mi ha fatto maturare tantissimo.”

Responsabilità, regole, rispetto, serietà? Da quanto tempo parole così non uscivano dalla bocca di un artista, nella nostra Italia parastatale e assistita in tutto, ma eternamente ribelloide a parole? Eppure Giuseppa Gaetana Ferreri da Abbiategrasso, 29 anni, uno e 53 di altezza, figlia di immigrati siciliani, quindici anni di gavetta musicale prima del miracolo X Factor (il programma Raidue che l’ha lanciata) non è una perbenista. Guardate per esempio, sempre su Youtube, il video della canzone che era riuscita a incidere tre anni fa: ‘Il Party’. Lì Giusy, che allora in arte si faceva chiamare Gaetana, faceva la sexissima con tanto di serpente (vivo) al collo, e orgiasticamente sospirava: “Il sesso si fa in tre, e anche in più di tre…”

La sua cantante-mito, fin da quando la vide in tv a nove anni, è Guesch Patti. Ricordate? Quella che simulando un coito urlò a Sanremo: “Etienne, tiens-le bien!” (“Tienilo ben stretto, Stefano”). I suoi scrittori preferiti? Ovviamente il maledetto Charles Bukovski, come per ogni punk che si rispetti, oltre a un inaspettato Erich Fromm con ‘Avere o Essere’.

Certo, per agguantare il successo di ‘Non ti scordar mai di me’ Giusy ha dovuto darsi un’aggiustata. Ora si esibisce in tailleur anni Sessanta, i suoi video sembrano girati da un nostalgico Almodovar. Anche il singhiozzo sincopato, principale caratteristica del suo nuovo modo di cantare, fa molto Shirley Bassey. Ma il realtà gli esperti di X Factor l’hanno modellata su quanto di più trasgressivo esista oggi sul mercato: la tossica inglese Amy Winehouse, drogata, alcolizzata e maleducata.

Invece nella vita vera Giusy cinguetta con il suo ex padrone. Per la verità ha cominciato Caprotti, che invece di licenziarla per assenteismo si è comportato da gentleman: “Dopo averla ammirata in tv le ho fatto recapitare una cassa di champagne”, ha dichiarato in una rara intervista, con impeccabile stile cumenda lombardo.
A 82 anni l’inventore del primo supermercato italiano (nel ’57, Esselunga di viale Regina Giovanna a Milano) sta assaporando pure lui un successo di pubblico: quello del suo libro ‘Falce e Carrello, le mani sulla spesa degli italiani’ (ed. Marsilio, 2007), querelato dalle Coop per diffamazione, spionaggio industriale e diffusione di notizie false.

La Giusy invece è la colonna sonora d’agosto col suo tormentone. Perfetta lombarda d’adozione e parsimoniosa, racconta nel suo accento val d’Olona: “Grazie ai soldini dell’Esselunga, risparmiando per anni, ero appena riuscita a comprarmi, oltre alla Citroen C4 per andare al lavoro ogni venerdì, sabato e domenica, anche una casetta col mutuo.”

Ora il mutuo può estinguerlo subito con i soldi del successo. Ma dalla Esselunga non si è ancora licenziata: “Sono in aspettativa per sei mesi. Non si sa mai.”

Wednesday, July 02, 2008

Mr. Esselunga le manda champagne

Giusy Ferreri ha conquistato anche Bernardo Caprotti, suo datore di lavoro

Oggi, 2 luglio 2008

Bernardo Caprotti, 82 anni, ha fondato la catena Esselunga 51 anni fa assieme al miliardario americano Nelson Rockefeller. Il primo supermercato in Italia lo aprì in viale Regina Giovanna a Milano. Autore del libro Falce e carrello (Marsilio, 2007), Caprotti non parla mai con i giornalisti. Ha fatto un' eccezione per Giusy Ferreri.

Ecco quel che ci ha dichiarato: "È una ragazza fantastica, coraggiosa, simpatica, con una voce straordinaria, metallica e calda allo stesso tempo. Mi sono congratulato con lei e le ho mandato una cassa di Veuve Clicquot millésimé. Giusy a sua volta mi ha inviato il suo cd con la dedica. L'ho messo in cassaforte, diventerà prezioso. Possiamo solo ripetere tutti i nostri auguri e tutto il nostro dispiacere per aver perso la più simpatica delle nostre cinquemila cassiere. Senza offesa per le altre, sono tutte formidabili !".

Mauro Suttora