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Thursday, December 07, 2023

L'altro Alfredo dell'anarchia. Vita e prigioni di Bonanno, padre politico di Cospito
















È morto a Trieste il filosofo degli anarco-insurrezionalisti che ha ispirato generazioni di ribelli. Finì in galera per i suoi scritti e querelato da Sartre per una magnifica beffa. In fondo fu il più fedele a Bakunin

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 7 dicembre 2023

È morto Alfredo Maria Bonanno, papà politico di Alfredo Cospito. Gli ha tramandato il nome, invece del cognome. Il filosofo degli anarco-insurrezionalisti italiani si è spento a Trieste a 86 anni, dopo aver ispirato generazioni di ribelli che hanno seguito i suoi fiammeggianti scritti e discorsi. Il più famoso è appunto Cospito, che dopo nove anni in carcere ne sta scontando altri 23 al 41bis per una bomba che non ha provocato un graffio a nessuno.

Anche Bonanno spesso passava dal pensiero all’azione. Basta il titolo del suo libro più famoso, La gioia armata (1977), che gli costò un anno e mezzo di carcere. Due anni se li era già presi nel 1972 per istigazione all’insurrezione sulla rivista Sinistra libertaria. Nel 1997 fu condannato a sei anni come ideologo dell’Orai (Organizzazione rivoluzionaria anarchica italiana), in un maxiprocesso con 68 imputati e sole sei condanne.

Indomito, nel 2009 venne arrestato in Grecia e scarcerato dopo un anno perché over 70. E nel 2013 rieccolo all’università La Sapienza di Roma per dire ai Punx anarchici che “bisogna agire, non chiacchierare”, perché “abbiamo il diritto alla ribellione”.

Ho conosciuto Bonanno, che prima di votarsi alla lotta fu bancario e dirigente industriale, nel 1983 nella sua Catania. In quegli anni tutti gli antimilitaristi d’Europa scendevano a Comiso (Ragusa) per protestare contro gli euromissili atomici Usa Cruise, installati in quello che ora è un aeroporto civile.

“Ecco, arriva il rompiballe”, dicevamo noi nonviolenti e radicali quando alle assemblee si presentavano lui e gli autonomi. Che invariabilmente proponevano di assaltare la base. Anche noi eravamo per l’azione diretta, ma pacifica. E se arrivava la polizia con i manganelli ci sedevamo per terra senza reagire.

Così, per non dar adito a provocazioni e tafferugli, quando davanti ai cancelli della base giungevano Bonanno e i suoi, a noi toccava andarcene. Tante manifestazioni furono sconvocate per colpa sua (il che non impediva ai poliziotti di menare pure noi, quante botte prese Luciana Castellina).

A me Bonanno però stava simpatico. Era un rodomonte velleitario che ci accusava di essere moderati, vigliacchi, piccoloborghesi, ma nel 1978 aveva architettato una beffa sopraffina contro gli intellettuali di sinistra. Compilò un opuscolo raccogliendo le frasi più dure di Jean-Paul Sartre contro il capitalismo e il sistema, ne aggiunse di sue imitandone lo stile, e lo pubblicò a firma del maître à penser francese. Tutti ci cascarono, Sartre dovette denunciarlo.

Perfino gli anarchici detestavano Bonanno. Quelli perbene a Milano si incontravano nella libreria Utopia in largo La Foppa, all’angolo Moscova-Garibaldi, dove ora c’è la pasticceria Panarello. Lo accusavano di estremismo velleitario, e nei loro giornali (A-Rivista anarchica, Senzapatria, Umanità Nova) non c’era spazio per gli antagonisti come lui. Il discrimine era la violenza, l’illegalità che poi sfociava in una controproducente criminalità. Anche se, leggendo Bakunin, Kropotkin o Malatesta, bisogna riconoscere che il più coerente con i proclami dei padri dell’anarchia era proprio Bonanno.

Alla fine, dopo cinque anni di proteste contro gli euromissili di Comiso (e quelli di Mosca), nel 1985 arrivò Michail Gorbaciov e in poche settimane si mise d’accordo con Ronald Reagan per smantellarli. Ma il colpo più perfido a noi pacifisti lo diede il premier Bettino Craxi, pro-missili, quando dopo un nostro corteo oceanico di un milione di persone disse: “Bene, vuol dire che gli altri 59 milioni di italiani sono d’accordo con me”. E seppellì sia noi, abbastanza utili idioti dell’Urss a pensarci bene, sia gli anarco-insurrezionalisti di Alfredo Bonanno.

Saturday, December 12, 1987

parla il generale Jean

Guerre del futuro/i dilemmi di uno stratega: parla il generale Carlo Jean

I CANNONI DELLA PACE

Gorbaciov ha accettato di smantellare gli euromissili perche' ha un esercito piu' potente dei paesi Nato. Adesso aumentano i rischi di un conflitto europeo. Per il disarmo: aumentare gli armamenti

di Mauro Suttora

Europeo, 12 dicembre 1987
 
“No, il trattato che Reagan e Gorbaciov firmeranno a Washington non e' un salto nel vuoto, non nasce improvvisamente, non e' un trauma per noi militari. Ma le sue conseguenze devono essere chiare per tutti: d'ora in poi gli europei dovranno pagare molto di piu' per la propria difesa. Mamma America se ne va". 

È uno dei cervelli piu' brillanti delle nostre forze armate a parlare : il generale Carlo Jean, 51 anni, ex comandante degli alpini e attualmente responsabile degli studi strategici del Casd (Centro alti studi difesa) a Roma, dove studiano gli ufficiali destinati agli altissimi gradi. E getta subito acqua sul fuoco degli entusiasmi di chi esulta per la " svolta epocale", la "doppia opzione zero" con la quale per la prima volta nella storia due potenze militari contrapposte accettano di autodistruggere fisicamente un' intera famiglia di armi : i missili a corto e medio raggio in Europa . 

Si' , quelle 3800 testate nucleari (tremila sovietiche , 800 statunitensi) che spariranno nel giro di tre anni , alleggeriranno il nostro continente dalla minaccia atomica . Dopo tante dimostrazioni pacifiste addio euromissili , addio 112 Cruise installati a Comiso , addio SS 20 , al macero tutti i missili nucleari con portata dai 500 ai 5 mila chilometri.

Ma qui, negli uffici del Casd sul lungotevere della Lungara, nella caserma dove alloggia Giovanni Spadolini, fra gli specialisti e i massimi esperti di cose militari, tutto appare piu' problematico. Il generale Jean ci riceve alle sette e mezzo del mattino, e da buon piemontese apre subito le finestre del suo studio "per aerare un po', se non le spiace". 

Si figuri, generale. E per cominciare, ci dica subito cosa pensa della frase con cui Eduard Shevardnadze, ministro degli Esteri sovietico, ha gioiosamente commentato l'avvenuto accordo: "Adesso i militari se ne staranno buoni per tredici anni, impegnati come saranno a verificare il rispetto del trattato". 

Ma come ? È noto a tutti che i generali russi farebbero volentieri a pezzetti Michail Gorbaciov con tutte le sue perestroike e aperture agli occidentali, e quello sciagurato di ministro li provoca cosi' pesantemente? 

"I rapporti fra politici e militari in Unione Sovietica sono sempre molto sfumati. Il caso Eltsin dimostra che il potere reale e' ancora tutto in gioco. Resta tuttora un mistero, per esempio: dov'e' finito Gorbaciov per 52 giorni la scorsa estate, prima di riapparire circondato da marescialloni e ammiraglioni nella base militare di Arcangelo, sul mar Bianco?".

Pare che scrivesse il suo libro . 
" Mah . . . Quel che e' certo e ' che , nei negoziati sugli armamenti , l' influsso dei militari sovietici e' assai maggiore di quello che hanno i militari occidentali . E ai russi questo permette di avere una visione strategica della linea da seguire . Invece i nostri politici , che devono tenere d' occhio le opinioni pubbliche interne , hanno spesso considerato il negoziato come uno scopo a se' stante , e non come un mezzo per raggiungere maggiore sicurezza . Perche' , per esempio , dopo aver respinto con sdegno per anni l' opzione zero proposta dalla Nato i sovietici alla fine l' hanno accettata ? La risposta e ' semplice : fin dal 1984 all'accademia Frunze, che sforna gli alti dirigenti politico militari di Mosca , e' emersa una nuova tendenza strategica : quella della convenzionalizzazione". 

Che vuol dire fare a meno delle armi nucleari.

"Si' , e questo per loro e' accettabile perche' in Europa detengono la superiorita' nelle forze convenzionali . Gorbaciov puo' imporre la distruzione dei missili SS 20 perche' ormai la nuova dottrina militare sovietica prevede le armi atomiche solo per un eventuale secondo colpo, per la dissuasione. Una guerra in Europa loro la ipotizzano combattuta solo con le armi convenzionali".

E la Nato lamenta una superiorita' di tre a uno del Patto di Varsavia nelle armi non nucleari. Ma alcuni, come per esempio i socialdemocratici tedeschi occidentali e il loro responsabile Esteri, Karstens Voigt, sostengono invece che c' e' parita', vista la superiorita' tecnologica dell' Ovest . Chi ha ragione ? 

"Il problema non e' uno sbilanciamento numerico a livello generale. Per esempio nel 1940, quando i tedeschi attaccarono la Francia, avevano meno carri armati dei francesi e degli inglesi. Ci sono oggi delle asimmetrie geografiche che giocano in favore dell'Est: loro possono spostare e concentrare le forze ovunque, mentre noi fra l'Italia e la Germania abbiamo il cuneo della Svizzera e dell'Austria neutrali, e fra l'Italia  la Grecia e la Turchia c'e' il mare. Inoltre, gli Stati Uniti non hanno un sistema di controllo sui propri alleati europei cosi' ferreo come quello dell'Unione Sovietica sui suoi satelliti. Una delle conseguenze della doppia opzione zero e' che, venendo a mancare tutta una classe di armi atomiche, si perde anche il collante che teneva assieme le varie aree della Nato. Adesso il fronte Sud, di cui l' Italia fa parte, e' separato completamente dal centro Europa. Paradossalmente, senza i Cruise di Comiso che potevano colpire Minsk e Kiev, i rischi di un conflitto limitato nel Mediterraneo aumentano..."

Mi scusi, generale, ma mi sembra che lei rimpianga gli euromissili la cui eliminazione viene invece accolta con sollievo da tutti.

"Purtroppo nel campo del controllo degli armamenti non si puo' correre dietro alle fantasie e ai buoni sentimenti . Un dirigente di uno Stato , responsabile della sicurezza dei suoi concittadini , non fa mai regali : giunge a determinate decisioni dopo aver valutato a fondo gli interessi della propria parte ".

E questo a Est come a Ovest.

" Si' . I sovietici non avevano installato gli SS 20 come strumenti militari , ma per esercitare un' intimidazione politica sull' Ovest . E quindi il loro significato e' scomparso quando noi abbiamo schierato gli euromissili : gli SS 20 sono diventati del tutto inutili , se non controproducenti . E questo che ha permesso ai sovietici di accettarne lo smantellamento".

E adesso , generale ? Tutti sperano che il disarmo continui. 

" Nel caso degli euromissili e' stato tutto relativamente facile , perche' noi avevamo da offrire in cambio Pershing e Cruise e anche perche' era una partita a due . Ma in campo convenzionale , se disarmo ci sara' , dovra' essere necessariamente diseguale . Dovra' insomma disarmare piu' l' Unione Sovietica che non gli occidentali , per ridurre lo squilibrio esistente . Noi abbiamo poco da offrire , perche' siamo gia' inferiori : l' anno scorso l' Urss ha prodotto 3 mila carri armati , noi 1200 ".

E allora , per ridurre questo squilibrio , l' Europa occidentale dovrebbe armarsi di piu'? 

"Si', e' un altro paradosso ma e' cosi': per disarmare bisogna prima armarsi. E questa per noi europei e' ormai una scelta obbligata , perche' non si puo' pensare che gli Stati Uniti mantengano in eterno 300 mila loro soldati a presidiare l' Europa . I cittadini americani non accettano piu' di pagare tasse anche per la nostra sicurezza " .

Le armi atomiche sono tremende ma hanno un pregio : costano relativamente poco . Le armi convenzionali , invece , sono costosissime . Per il riarmo europeo , che e' in cantiere , circolano cifre da far tremare i polsi . L' Italia , per esempio , ha attualmente una spesa militare di circa 20 mila miliardi all' anno . Come pensate di far accettare all' opinione pubblica aumenti dell' 8 per cento annuo ? 

"Purtroppo l' inflazione militare e' molto piu' alta di quella civile , perche' le armi sono un prodotto ad altissima tecnologia. Ogni generazione di armi costa dalle due alle cinque volte in piu' di quella precedente. Ma un modo per spendere di meno c'e': la standardizzazione, la cooperazione fra le industrie europee. La fregata Nato degli anni Novanta , per esempio, sara' costruita in 27-28 esemplari. Con gli stessi soldi , se si fosse proceduto separatamente , non saremmo arrivati a piu' di 19 20 navi".

L' esercito italiano , pero' , sembra vergognarsi di se stesso . La sua attuale campagna pubblicitaria mostra i soldati che fanno di tutto (spengono incendi , sfamano terremotati , spalano la neve) tranne quello per cui esiste un esercito : prepararsi a fare la guerra . 

" E vero : esiste una certa contraddizione fra il livello dichiaratorio verso il grande pubblico e le reali necessita' di una politica di sicurezza e di difesa . Ma questo , probabilmente , e' il difetto di ogni campagna pubblicitaria : per vendere , si accredita l'immagine piu' accettabile".

A gennaio il ministro della Difesa Valerio Zanone presentera' in Parlamento la nuova legge promozionale per il riammodernamento delle nostre forze armate. I programmi sono molti e costosissimi : si va dai missili antiaerei Patriot made in Usa (3 mila miliardi) al primo tank interamente made in Italy, l'Ariete della Fiat Oto Melara , che verra' prodotto in 500 esemplari. Pero' oltre all'Efa (European Fighter Aircraft) non sono molte le coproduzioni europee. Perche'?

"Se nella divisione delle commesse in Europa alle nostre industrie viene riservata la carpenteria metallica , e' evidente che non possiamo starci . Comunque , nel caso dell' Ariete alla fine ciascun esemplare ci costera' piu' o meno come un Leopard . Voglio pero' precisare che i nostri programmi di ammodernamento non sono una conseguenza dell' opzione doppio zero : se ne discuteva gia' quattro anni fa".

Il fallimento del vertice italo-francese a Napoli il 26 novembre dimostra che ciascun paese europeo anche nel campo della difesa se ne sta per conto suo, iperprotettivo verso le proprie industrie nazionali. 

"Guardi che negli Stati Uniti , dove per le commesse militari c' e' concorrenza , quando la Lockheed si vede bocciare un prototipo licenzia 30 mila dipendenti in un colpo solo . Lei pensa che il nostro mercato del lavoro lo permetterebbe?" 

Un'ultima domanda, generale : perche' la Nato non studia forme di resistenza civile ed economica da affiancare alla difesa armata, come fa la Svizzera? 

"Purtroppo il nostro paese non ha la stessa coesione sociale della Svizzera. Quanti sarebbero da noi i collaborazionisti in caso di invasione? Ciascun ufficiale svizzero ha il potere di punire il civile che collabora con il nemico. E la parola "punire", in casi come questi, e' un eufemismo".
Mauro Suttora

Saturday, March 08, 1986

Tra noi c'è un solo abusivo: la legge

NUOVI SOVVERSIVI/RAPPORTO DAL PAESE CHE GUIDA LA RIVOLTA DOPO IL CONDONO

Vittoria, in provincia di Ragusa, vanta due record: è la città più comunista d'Italia, e la più affollata di edifici illegali. Il suo sindaco ha guidato la marcia su Roma. Siamo andati a fare i conti in tasca a chi sostiene di non avere i soldi per fare il dovere di cittadino

di Mauro Suttora

foto di Maurizio Bizziccari

Europeo, 8 marzo 1986



Wednesday, April 10, 1985

Gesualdo Bufalino: "Per noi comisani la base non esiste"




"PER NOI COMISANI LA BASE NON ESISTE"

intervista allo scrittore Gesualdo Bufalino

di Mauro Suttora

Il Messaggero, 10 aprile 1985

"Per noi comisani la base non esiste. Anzi, può darsi che non esista davvero: nessuno, tranne gli americani, è mai entrato nel suo cuore intimo, dove sono custoditi i missili atomici. Gli operai e i militari italiani sono addetti a servizi secondari, non sanno niente. Quanto agli americani, chi li vede mai qui in paese? Vanno in giro a gruppi di tre o quattro, ogni tanto, tutti assieme..."

Gesualdo Bufalino, 64 anni, è il cittadino più illustre di Comiso. Professore, scrittore di successo ('Diceria dell'untore', 'Argo il cieco'), conosce ogni piega della vita cittadina.
"Comiso si trasformerà in miniera e bersaglio di terrore", scrisse allarmato nel 1981, quando il governo italiano annunciò di aver scelto Comiso per installare i 112 missili assegnatici dalla Nato.

In questi anni Bufalino ha descritto i pellegrinaggi dei pacifisti, l'arrivo dei soldati americani, le reazioni dei suoi 26mila concittadini. Ma adesso che i missili ci sono, lui paradossalmente mette in dubbio la realtà: "Per chi arriva a Comiso di sera, da Ragusa, la base si presenta come un grosso tumore arancione, tutto illuminato e isolato dal resto del territorio. Gli americani vogliono evitare qualsiasi frizione o incidente con la gente del luogo, e noi ricambiamo il loro disinteresse".

Ma lei è favorevole o contrario ai missili?
"Sono ferocemente nemico di qualsiasi tipo d'arma, dal coltello alla bomba atomica. Ma almeno il pericolo di una guerra nucleare ha garantito all'Europa un periodo di pace ininterrotta superato soltanto da quello goduto durante la Belle époque".

Tutto bene, allora?
"No, provo come tutti un estremo imbarazzo ideologico. Ho pensato anche al suggerimento di Carlo Cassola di fare un gesto di disarmo unilaterale per sbloccare l'impasse, poiché non credo che l'obiettivo dei russi sia di arrivare al Tago. Ma qui si sfuma nelle nuvole dell'utopia".

Come mai i comisani non hanno protestato concretamente? I pacifisti venivano soprattutto da fuori.
"Abbiamo una dose di scetticismo storico e di impermeabile saggezza: digeriamo qualsiasi novità. I pacifisti ci hanno offerto spettacoli pittoreschi e leggiadri, ma i comisani si sono limitati ad apprezzare la bellezza delle ragazze che arrivavanoda tutta Europa per protestare".

Intravvede una soluzione?
"Bisognerebbe nominare due poeti a capo delle due superpotenze".

Tuesday, January 31, 1984

Lega per il disarmo a congresso

PACE/FIRENZE: UNILATERALISTI E POLEMICI

di Mauro Suttora

Il Manifesto, 31 gennaio 1984

Firenze. Vilipendio alle forze armate, istigazione a delinquere, diserzione, oltraggio a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, blocco stradale.
Quasi tutti i cento partecipanti al congresso nazionale della Lega per il disarmo unilaterale (Ldu), conclusosi a Firenze domenica, si sono 'macchiati' di qualcuno di questi reati negli anni scorsi, durante la loro attività antimilitarista.

"Siamo antimilitaristi, non semplici pacifisti", tengono a precisare, "perché ci opponiamo non solo alle armi atomiche, ma anche a ogni tipo di armamento convenzionale. E vogliamo l'abolizione di tutti gli eserciti, a cominciare dal nostro".

Lo scrittore Carlo Cassola cominciò a scrivere questa cose nel 1975 nei suoi elzeviri sul Corriere della Sera, e nel '77 fondò con pochi amici la Lega per il disarmo dell'Italia. Due anni dopo questa si fuse con un gruppo guidato allora dal giovane radicale Francesco Rutelli. Da allora la Ldu, sempre presieduta da Cassola, è divenuta l'alfiere dell'antimilitarismo più rigoroso, piena com'è di anarchici, radicali, nonviolenti, pronti a farsi arrestare alla prima occasione.

Nonostante i sondaggi rivelino che il 35% degli italiani è favorevole al disarmo unilaterale, gli iscritti alla Lega non superano mai le poche centinaia. Come mai?
"Colpa nostra, che non facciamo abbastanza propaganda. Ma ormai solo due giovani su cento sono iscritti a un partito politico, c'è in giro molta noia per i discorsi in 'politichese', anche per quelli dei pacifisti. Per questo noi siamo per l'azione diretta, nonviolenta naturalmente", dice il segretario uscente Bruno Petriccione.

C'è grossa polemica nei confronti del coordinamento nazionale dei comitati per la pace. "Sono controllati dai funzionari di partito, soprattutto del Pci. I pochi comitati spontanei locali sono emarginati, non c'è democrazia nel movimento. Per questo abbiamo perso contro i missili Cruise".
Padre Ernesto Balducci, da anni iscritto alla Ldu, non è d'accordo: "Il Poi non ha il pacifismo nella sua tradizione, e dobbiamo riconoscere che in questi ultimi anni ha fatto molti passi in avanti".

Anche Umberto Mazza, portando i saluti di Democrazia proletaria (l'unico partito, assieme ai radicali, favorevole a passi di disarmo unilaterale), ammonisce i disarmisti a non rinchiudersi in uno sterile settarismo: "Abbiamo tutti un grosso debito nei vostri confronti, perché per primi avete detto cose che adesso condividiamo in molti. Abbiamo bisogno delle vostre idee".

I programmi della Ldu per il 1984 prevedono un grosso impegno sulla 'obiezione fiscale' alle spese militari e su Comiso. Uno dei tre nuovi segretari, Alfonso Navarra, ventenne palermitano, ha ricevuto il foglio di via dalla provincia di Ragusa dopo avere trascorso un mese in carcere lo scorso agosto per la sua attività antimilitarista.
"Ritornerò pubblicamente a Comiso in marzo", dice, "perché voglio disobbedire alle leggi ingiuste".

Fra molte dichiarazioni roboanti ("Bisogna passare dalla protesta alla disobbedienza civile generalizzata contro questo stato militarista che negli ultimi cinque anni ha triplicato le spese militari") il discorso di Adele Faccio, ex deputata radicale, suona perfino mite: "Dobbiamo portare il messaggio nonviolento in tutti i luoghi, anche all'est".
Mauro Suttora








Saturday, March 12, 1983

Il fattore K dei pacifisti italiani

di Mauro Suttora

A Rivista Anarchica, marzo 1983

link al sito di A Rivista Anarchica

Chi afferma che oggi in Italia esiste un movimento per la pace o è disinformato o è in malafede. Si vada in Olanda, in Germania, in Gran Bretagna, per vedere cos'è un vero movimento per la pace, con la gente che si «muove». 
In Italia c'è un «certo» movimento, qua e là; c'è un «falso» movimento (quello della marcia Milano-Comiso del dicembre 1982, che è stata in realtà una serie di manifestazioni del PCI per la penisola; quello dei comitati fantasma per la pace, pieni di burocratini di partito riverniciati a nuovo, capaci solo di farla scappare, la gente, con il loro noioso sinistrese). Ma, in definitiva, poco si muove.

Lo dico con dispiacere, perché io stesso cerco di far qualcosa per far crescere questo movimento rachitico, e vorrei che la partitocrazia imperante e le lusinghe istituzionali non continuassero a soffocarlo. Ma tant'è: i gruppi anarchici, la Lega per il disarmo unilaterale dello scrittore Carlo Cassola, il Movimento nonviolento, la Loc (Lega obiettori di coscienza), il Campo internazionale e le leghe autogestite di Comiso (cioè tutti gli antimilitaristi), anche se in crescita, coinvolgono ancora solo poche migliaia di persone in tutta Italia. Lo stesso le riviste Senzapatria e Azione Nonviolenta. Perché? 


Quello che caratterizza l'Italia rispetto agli altri paesi interessati ai missili Cruise (che sono stati la molla iniziale del movimento degli anni '80) è innanzitutto la mancanza di un grande organismo pacifista indipendente dai partiti. In Gran Bretagna c'è il CND (Campaign for Nuclear Disarmament), con 250.000 membri. In Olanda c'è l'IKV (Consiglio interecclesiale per la pace), con più di 400 gruppi locali attivi in ogni più piccolo paese. In Belgio ci sono il VAKA fiammingo e il CNAPD francofono. In Germania Ovest il gruppo-ombrello possono essere considerati i Verdi, che per loro fortuna non sono ancora un partito («E se non superate il 5% alle elezioni?» «Chi se ne frega, noi esistiamo indipendentemente dal parlamento! Se poi ci entriamo, tanto meglio: andremo a far casino anche lì dentro!»). Oltre ai Verdi, due altre organizzazioni aspirano ad un ruolo di coordinamento del variegato e vitalissimo movimento tedesco: l'ASF, presieduta da un vescovo, e l'AGDE. 


In Italia, niente di tutto questo. 
Intendiamoci, si sta parlando di pacifisti, non di antimilitaristi: cioè di gente che si oppone solo alle armi atomiche, e non anche all'esercito. Ma il problema è che il PCI non è contro le armi atomiche. Anzi, in realtà, non è neanche contro i Cruise: è «per la sospensione dei lavori a Comiso, come contributo dell'Italia per le trattative di Ginevra», come ribadisce la Direzione del PCI in un documento del 26 gennaio scorso, e come diceva l'appello della Milano-Comiso, tratto di peso da documenti PCI (altro che 'intellettuali', che avrebbero scritto l'appello).

Per cui, fanno benissimo i comunisti - assieme alla loro corrente esterna del PdUP - a tenere da ormai un anno e mezzo addormentato il movimento per la pace italiano: se lo appoggiassero, magari noi correremmo il rischio di essere egemonizzati, ma le posizioni inconsistenti del vertice PCI verrebbero spazzate via ... dal buon senso.

Sì, perché è il semplice buon senso ad indicare a tutti, ai vescovi cattolici americani, al Labour party inglese, ai partiti socialisti olandese e tedesco, perfino alla DC olandese, posizioni più avanzate di quelle del PCI: e cioè, disarmo unilaterale atomico e indifferenza diffidente verso le trattative USA-URSS di Ginevra, che al massimo sanzionerebbero una nuova Yalta alle spese dell'Europa. 


Ma, si dirà, a noi antimilitaristi cosa importa occuparci di queste cose che riguardano i «pacifisti atomici», che forse faranno anche guerra alla guerra, ma certo non alla pace sociale?
Importa moltissimo, perché in realtà la gente che partecipa alle dimostrazioni per la pace è molto più radicale di coloro che si arrogano il diritto di rappresentarla (come l'END). In Germania, in particolare, c'è da ormai 3 anni una situazione di vera e propria sovversione permanente, una rivoluzione culturale ma anche pratica che ha creato un circuito alternativo a cui fanno riferimento milioni di persone: occupanti di case, ma anche migliaia di iniziative culturali, sociali, economiche, in ogni quartiere di ogni città, che fanno da supporto al movimento antimilitarista così come a quello femminista, a quello ecologista e a quant'altri. E lo stesso in Olanda.

Si ride in faccia a chi non vuole uscire dalla Nato, perché sarebbe destabilizzante. 
Però, poiché l'unione fa la forza, e poiché noi ci opponiamo non ai puffi ma nientepopodimenoche al «complesso militare-industriale» (eserciti, armi, fabbriche di armi, Nato e Patto di Varsavia, stati, governi, culto della violenza), può anche servire partecipare alle iniziative di chi non ha il coraggio di chiedere tutto subito, ma almeno qualcosa: il famoso primo passo, per cominciare, nel nostro caso, a fare a meno delle armi atomiche. E infatti le donne del campo permanente di Greenham Common, in Inghilterra, si sono battute affinché tutto il CND appoggiasse le proprie azioni dirette, riuscendoci (cosa che, come ricorda Roussopoulos, non riuscì a Bertrand Russell negli anni '60).

In Olanda gli antimilitaristi anarchici di Onkruit e della «piattaforma radicale» litigano con i perbenino dell'IKV e ne denunciano le posizioni più stupide (come quella di rafforzare l'armamento convenzionale in cambio della rinuncia unilaterale al nucleare), ma si tratta di polemiche costruttive, fra gente che si muove nella stessa direzione.
In Spagna gli obiettori totali del MOC sono presenti dappertutto, e così in Germania gli anarchici nonviolenti di Graswurzelrevolution («la rivoluzione dalle radici dell'erba», decentrata ed antiautoritaria) e Gewaltfreie Aktion («Azione Nonviolenta»), che hanno organizzato le azioni dirette dello scorso 12 dicembre.
Negli USA la forte War Resisters League (che, assieme agli altri gruppi antimilitaristi che ho citato, aderisce alla WRI, War Resisters International, l'Internazionale dei resistenti alla guerra, che ha un ufficio con due persone a Londra) non disdegna di appoggiare la campagna veramente minimale del «Freeze» con le proprie azioni di disobbedienza civile (di cui i gesuiti fratelli Berrigan e l'ex consigliere di Nixon Daniel Ellsberg (Pentagon Papers) sono i fautori più intransigenti). 


In Italia, invece, molti antimilitaristi - specialmente gli anarchici e i radicali - si sono appollaiati su di un Aventino un po' sterile, snobbando i pacifisti dell'ultima ora e lasciando spazio così alle pseudo-iniziative di PCI & C.
Certo, è impossibile collaborare con chi è parte integrante del complesso militare-industriale, con chi pretende di fare il pacifista in piazza e di presiedere la commissione difesa in parlamento (on. Vito Angelini, comunista, amico di tutti i generali): basta leggere cosa scrivevano Claudio Venza («Rosso, rosa e grigioverde», 1978, ed. Interrogations) o Roberto Cicciomessere («Italia Armata», 1982, ed. Gamma) per scoprire chi bluffa.

Ma si tratta di affrontare intelligentemente questo «fattore K» (anche in Francia un forte PC impedisce di fatto la crescita dei pacifisti spontanei) con la presenza, e non con l'assenza, perdendo tempo in dibattiti accademici su violenza e nonviolenza. Perciò andiamo pure al congresso di Berlino in maggio - come ci invita a fare Rossoupoulos -, anche se sappiamo che il problema non è tanto quello, in negativo, di evitare la terza guerra mondiale, quanto quello, estremamente urgente, di intaccare concretamente i concetti di difesa armata, e quindi di sovranità nazionale, e quindi di stato.
Mauro Suttora