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Wednesday, March 10, 2021

Letta, Renzi e l'arte della scomparsa

di Mauro Suttora

Huffpost,10 marzo 2021

Se dirà sì alla segreteria pd, l’autoesilio di Enrico Letta sarà durato metà della prigionia del conte di Montecristo. Sette anni, dopo quella scena inobliabile del febbraio 2014 quando non guardò in faccia Matteo Renzi mentre gli stringeva la mano consegnandogli il campanellino da premier.

Sette anni lontano dalle beghe politiche nostrane, dimissioni anche dal Parlamento e dal Pd (tessera rinnovata solo due anni fa, dopo l’elezione a segretario di Zingaretti).


Due incarichi prestigiosi a Parigi: direttore della Scuola di Affari internazionali di Sciences Po (la fucina dell’élite francese con l’Ena), e dell’Istituto Jacques Delors. Conferenze in tutto il mondo, da San Diego in California a Sidney. Nessuna consulenza pagata da satrapi mediorientali.


Unica carica conservata in Italia: direttore dell’Arel, il centro studi del maestro Nino Andreatta. Chiuso VeDrò, il suo think tank accusato dal sottosegretario grillino all’Interno Sibilia di essere il “Bilderberg italiano”, occulto potere forte, incubo dei complottisti.


Il ritorno trionfale di Letta dimostra che se in amore vince chi fugge, in politica può risorgere soltanto chi scompare. Ci aveva pensato anche Renzi, quando promise di dimettersi se avesse perso il suo referendum del dicembre 2016. Qualcuno gli consigliò di passare le consegne anche in caso di vittoria, per girar pagina e andare a nuove elezioni.


Invece Renzi è rimasto aggrappato al cortile dei palazzi romani. Ha perpetuato il suo personale think tank della Leopolda. Nel 2017 si sfogò contro il rivale Letta in un’autobiografia: “Non lo pugnalai alle spalle, fu il Pd a cambiare cavallo. Il suo governo era immobile, l’unica cosa che fece fu aumentare l’Iva. Alle primarie Pd Enrico prese solo l’11 per cento”.


“Disgustoso”, replicò durissimo Letta, abbandonando per una volta il suo aplomb. «Il silenzio mantiene meglio le distanze. Da tempo ho deciso di guardare avanti, e non saranno queste ennesime scomposte provocazioni a farmi cambiare idea. Gli italiani sono saggi, sanno giudicare».


E il giudizio dei sondaggi oggi è impietoso per Renzi, confinato al 3%. Grazie alle sue capacità manovriere sopraffine è stato lui a decidere la nascita dei nostri ultimi due governi, il Conte 2 e il Draghi ecumenico. Ma il consenso è volato da un’altra parte, posandosi ora proprio sulla testa del detestato rivale.


Perché l’arte della scomparsa non è da tutti. La praticano solo i veri statisti. Churchill ha avuto tre vite politiche resuscitando due volte, nel 1940 e nel 1951, dopo lunghi isolamenti. La “traversata del deserto” di De Gaulle durò dodici anni, fino al trionfale ritorno nel 1958.


Anche i cavalli di razza italiana sapevano prendersi intervalli. Fanfani, soprannominato ‘Rieccolo’, fu dato per politicamente morto infinite volte, e altrettante tornò a palazzo Chigi: l’ultima a 79 anni, nel 1987. Il suo amico/rivale Moro aveva la cattedra universitaria cui dedicarsi quando non governava.


Il 55enne Letta e il 46enne Renzi hanno ancora una vita politica davanti a loro. Il primo, se accetterà la segreteria pd, è ben posizionato per succedere a Draghi. E il secondo s’inventerà sicuramente qualcosa per soddisfare la sua straboccante personalità.

Mauro Suttora

Wednesday, December 10, 2014

Grillo ne espelle due e ne nomina 5

di Mauro Suttora

Oggi, 3 dicembre 2014

Con Beppe Grillo non ci si annoia mai. Una mattina si sveglia e decide che avere espulso un terzo dei suoi senatori in un anno e mezzo non gli basta. Decreta che altri due deputati non avrebbero rispettato le regole del suo movimento sui soldi da restituire, e ricomincia con le purghe. Quelli pubblicano su Facebook le ricevute dei versamenti di metà del loro stipendio. Niente da fare.

La sarda Paola Pinna ha osato donare qualche migliaio di euro alla Caritas di Olbia dopo l'alluvione di un anno fa, invece di buttare i soldi in un fantomatico conto ministeriale per le piccole e medie imprese che non ha ancora erogato un centesimo. «Conflitto di interessi, voto di scambio!», tuonano sui siti del Movimento 5 stelle (M5s) gli "influencer", fedelissimi della società Casaleggio & Associati incaricatidi spargere il verbo. Come se la Caritas fosse la mafia, che ricambierà il favore ricevuto dalla “furba” Pinna.

L'altro reprobo è Massimo Artini, un toscano che appena un mese fa ha mancato per soli dodici voti (44 a 32) l'elezione a nuovo capogruppo dei deputati 5 stelle. Un pezzo grosso, quindi, con un largo seguito. Proprio come Luis Orellana, il senatore che prima della cacciata a marzo era il candidato presidente del Senato del movimento, e poi aveva perso di un soffio con Nicola Morra la guida del gruppo. Insomma, appena rischia di emergere un non fedelissimo a Grillo e a Gianroberto Casaleggio, loro inventano qualche scusa per farlo fuori.

I processi sono una farsa. Anzi, non ci sono proprio. Tre millenni dopo Salomone, i grillini non hanno ancora imparato che prima di giudicare bisogna almeno sentire entrambe le campane. Il diritto alla difesa è sconosciuto in Grillolandia. L'ex comico rovescia sul malcapitato di turno una valanga di accuse, e subito dopo chiede agli iscritti di votare immediatamente sì o no all’epurazione sul sito privato della Casaleggio & Associati. Senza preavviso. 

Nessun controllo esterno sulla regolarità del voto. Nessuna distinzione individuale fra gli imputati, da condannare in blocco come infoibati legati fra loro col fil di ferro. Nessun verdetto dell'assemblea dei parlamentari, come richiesto dal regolamento. Si vota solo fino alle 19, e peggio per chi lavora o non sta sempre appiccicato al telefonino. Giustizia-lampo. Il modello è l'ordalia Gesù/Barabba. Ma loro lo chiamano «giudizio della Rete». Inappellabile.

Stessa commedia il giorno dopo. Grillo decide di nominarsi cinque vice. Viola lo statuto del movimento, scritto da lui nel 2009, che all'articolo 4 vieta i dirigenti di partito: «Nessun organismo intermedio fra votanti ed eletti». L'unico non campano è il romano Alessandro Di Battista, ex collaboratore della società Casaleggio. Tutti deputati, nessun senatore.

Quota rosa per Carla Ruocco, bella e borghesissima signora di Posillipo con erre moscia. Gradimento della sua pagina Facebook (termometro della simpatia online): 36mila «mi piace», contro i 185mila della popolana ma popolare Paola Taverna. Gli altri: Luigi Di Maio, Roberto Fico (presidente della commissione Vigilanza di quella Rai che il programma 5 stelle voleva invece privatizzare) e Carlo Sibilia, avellinese complottista convinto che il club Bilderberg governi segretamente il mondo, ma dubbioso riguardo allo sbarco sulla Luna.

Commenta la senatrice marchigiana Serenella Fucksia, soprannominata «Sharon Stone a 5 stelle»: «Il direttorio fantasma diventa ufficiale, da movimento a partito. Passiamo dai successi alla ridicolata degli scontrini, alle espulsioni assurde, ai cambiamenti continui di verso. Le regole? Un po' cambiate, un po' ignorate. Dopo il risultato deludente alle europee e alle regionali il metodo appare fragile, lontano dalla democrazia diretta e di certo non modello esemplare di vera democrazia».

In rete questa volta gli attivisti si scatenano contro i dirigenti nominati dall'alto, non votati, da ratificare in blocco. I server privati della Casaleggio annunciano un sospetto 90% di sì. Ma davanti alla villa di Grillo a Marina di Bibbona (Livorno) i militanti protestano. Fra loro, perfino la compagna del neosindaco 5 stelle di Livorno. Con Grillo non ci si annoia mai. Però i suoi adepti non si divertono più.
Mauro Suttora

Wednesday, April 10, 2013

Emma ce la fa questa volta?

 Se il presidente della Repubblica fosse eletto dal popolo, la Bonino sarebbe al Quirinale già da 14 anni. Anche adesso è in testa ai sondaggi. Ma per i politici lei è ancora una donna scomoda: radicale, laica, poco diplomatica. Ecco la sua storia

Oggi, 10 aprile 2013

di Mauro Suttora

Più facile una donna cardinale che al Quirinale: è lo slogan provocatorio dell’associazione femminista Pari e Dispare, guidata dalla radicale Valeria Manieri. E che naturalmente ha Emma Bonino come presidente onoraria.

Ci sembra di conoscerla da sempre, la zia Emma da Bra (Cuneo). E in effetti sono passati quasi quarant’anni da quel 1974 quando, laureata alla Bocconi (ma non in Economia: Lingue straniere, corso abolito nel ’73 perché gli studenti erano troppo di sinistra) con  tesi su Martin Luther King e professoressa a Codogno (Lodi) dopo sei mesi da commessa a New York in un negozio di scarpe, rimase incinta.

Per il codice fascista Rocco l’aborto era un reato gravissimo: «contro l’integrità della stirpe». Le ragazze finivano direttamente in carcere. Lei si rivolse ad Adele Faccio, perché i radicali erano gli unici che si preoccupavano delle interruzioni di gravidanza. I sessantottini rivoluzionari di sinistra disprezzavano aborto e divorzio come «problemi borghesi». Emma si autodenunciò, scappò in Francia, tornò da latitante per vedere sua madre.

Si fece arrestare nel giugno ’75 al suo seggio di Bra durante le elezioni, per provocare più clamore. Ma altro che «disobbedienze civili» in stile Luther King: come tutto in Italia, la cosa fu abbastanza tragicomica, perché nessuno voleva arrestarla. Fu lei a insistere, spiegando ai Carabinieri che era ricercata.

L’anno dopo, ingresso a 28 anni in Parlamento con Marco Pannella e altri due radicali. Erano loro i grillini del 1976: referendum, democrazia diretta, contro la partitocrazia, contro il finanziamento pubblico. E, nel 1978, legge sull’aborto.
Sorride, Emma, quando ricorda quei tempi: «Feci scandalo solo perché osai entrare alla Camera con gli zoccoli e la gonna lunga da femminista».

Fece scandalo anche una sua intervista del luglio ’76 proprio a Oggi, in cui spiegò a Neera Fallaci (sorella di Oriana) come aveva praticato aborti «autogestiti» col metodo Karman (per aspirazione, meno rischioso rispetto al raschiamento delle mammane).

Le lamentele dei bigotti

Qualche bigotto le rinfaccia ancor oggi quei trascorsi. Ma fra i cattolici più evoluti sembra ormai tramontato il «niet» contro i radicali anticlericali, ravvivato dal referendum per la procreazione assistita del 2005. Molte volte, infatti, la Bonino e Pannella hanno condotto campagne accanto ai cattolici: contro la fame nel mondo dal ’79 all’85, per l’istituzione della Corte penale internazionale dell’Onu sui crimini di guerra, contro la pena di morte (con la Comunità di Sant’Egidio del ministro montiano Andrea Riccardi).

Oggi poi, con l’elezione di Papa Francesco, i radicali sono diventati quasi papisti. La loro radio ospita ogni domenica una rassegna stampa vaticana (condotta da Giuseppe Di Leo) entusiasta per il nuovo corso della Chiesa.

Cosicché la Bonino, sempre in giro per Africa e Medio Oriente a battersi contro le mutilazioni genitali femminili (l’escissione del clitoride nelle ragazzine), sembra avere più possibilità che nel 1999 e nel 2006 di essere eletta presidente della Repubblica.

«È l’unica che mette d’accordo destra, sinistra e grillini», spiega il Fatto Quotidiano. A destra le ex ministre Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo la sostengono, con la collega del Pdl Micaela Biancofiore, così apertamente da essere redarguite dal capogruppo Renato Brunetta.

A sinistra la vogliono Pippo Civati, Ermete Realacci, Alessandra Moretti, Ivan Scalfarotto. E la indicano anche i 5 Stelle Luis Orellana (già candidato di parte alla presidenza del Senato), Carlo Sibilia, Paola Pinna e Andrea Colletti. I grillini, comunque, fanno decidere il nome del loro candidato presidente direttamente ai propri elettori, con un sondaggio on line l’11 aprile.

Quanto ai centristi, Mario Monti si scioglie di fronte a tutti i bocconiani, ed è diventato amico della Bonino quando entrambi erano commissari europei a Bruxelles dal 1994 al 1999. Il senatore Benedetto Della Vedova, unico finiano sopravvissuto, è un ex radicale. E apprezzano Emma anche i laici montezemoliani.

"Popolarissima. Quindi sconfitta"

Ma la forza più grande, per la Bonino, deriva dai sondaggi. Che la vedono costantemente in testa da 15 anni fra i politici più amati. Nel 1999 la lista a suo nome ottenne il 12 per cento al Nord, con punte del 18 a Monza e Treviso. Quasi come Grillo oggi.

«È popolarissima», dice Pannella, «quindi non verrà eletta neppure questa volta». In effetti, il voto per il presidente della Repubblica è sempre una partita a poker. Come per il Papa, chi entrerà favorito nell’aula dei mille e passa elettori (deputati, senatori, rappresentanti delle Regioni) probabilmente verrà sconfitto.

Lei, Emma, agli alti e bassi della politica è abituata. Un giorno l’Economist la loda come «la politica più brava d’Europa» (salvò i rifugiati kosovari nel ’99, fu la prima a denunciare il pericolo dei talebani finendo arrestata a Kabul), il giorno dopo Silvio Berlusconi (che pure l’aveva nominata commissaria Ue preferendola a Giorgio Napolitano nel ’94) la insulta: «È solo la protesi di Pannella».

Così la Bonino, per scappare dai miasmi della politica italiana, da 12 anni si è trasferita al Cairo. Lì ha imparato l’arabo, oltre al francese, inglese e spagnolo che parla perfettamente. E in Egitto proprio lei, filoisraeliana in nome della democrazia, ha assistito felice alla Primavera araba. Ci sarà ora una Primavera italiana che manderà la prima donna sul Colle più alto? Lo capiremo da giovedì 18 aprile.
Mauro Suttora