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Monday, March 06, 2023

Videoprocesso. Tribunale, abbiamo un problema: Crisanti




di Mauro Suttora

Andare in tv a commentare l’inchiesta sul Covid di cui è perito della procura non sembra una grande idea. Gli avvocati di Fontana se ne lamentano, e non hanno torto: come ci si difende da un dibattimento anticipato ai telespettatori?

Huffingtonpost.it, 6 marzo 2023


Lo dice la parola stessa: parlamentare, pagato per parlare. Quindi è difficile chiedere ad Andrea Crisanti di contenersi, limitando le sue esternazioni televisive. Non lo faceva prima di essere eletto senatore con il Pd a settembre, figurarsi adesso. Il problema è che ora lui è diventato il principale accusatore nel processo di Bergamo sul Covid, perché sua è la perizia di 80 pagine più 10mila di allegati con cui la procura chiede l'incriminazione di tutti i 19 massimi politici ed esperti che fronteggiarono l'epidemia in Lombardia. 

Perciò ogni suo commento rappresenta un anticipo di arringa, e allora il povero avvocato Jacopo Pensa, difensore del governatore lombardo Attilio Fontana, chiede invano una par condicio: "Siamo esterrefatti per l'ultima delle sue quotidiane apparizioni in tv, in cui Crisanti ha ribadito le teorie accusatorie. L'apparente contraddittorio con il professor Matteo Bassetti era asimmetrico, perché quest'ultimo era in collegamento esterno, e ciò conferisce significato meno 'pesante' alla persona".

A questo siamo arrivati. Perfino i difensori si accorgono che il vero dibattito nella giustizia videosommaria di oggi avviene su Raitre, non più in aula. E quindi pretendono guarentigie catodiche, se non misure più drastiche: "La procura di Bergamo ha il dovere di diffidare il proprio consulente da tali insistenti apparizioni". 

E pensare che tre anni fa Crisanti era l'eroe di Vo', il paese padovano che limitò brillantemente le vittime del virus grazie alla strategia di tamponi e alla chiusura inventata da questo microbiologo dell'Università di Padova. L'esatto opposto della tragedia di Bergamo, con la mancata zona rossa. Quindi con merito Crisanti è diventato una presenza tv familiare per tutti gli italiani: apocalittico, spesso bellicoso, assicurava sempre un picco di audience. Tanto che Maurizio Crozza lo ha trasformato con successo in lugubre macchietta surreale: "Dovrete stare in isolamento per altri cinque anni!". 

È comprensibile allora che la procura di Bergamo, pressata dai familiari delle vittime, si sia affidata a lui. Certo, Crisanti è microbiologo e non infettivologo, né tantomeno epidemiologo: quindi la gestione complessiva di una pandemia non sarebbe il suo campo. Ma pazienza, nell'emergenza un esperto vale l'altro. Più che altro è la precisione della sua stima dei morti in più causati dalla mancata zona rossa a sconcertare: 4.148, non uno in più o in meno. Ma chi siamo noi per dubitare del "metodo matematico" che Crisanti si vanta di utilizzare nella sua perizia di parte?

 Lui spiega così la necessità di un processo: "Dire 'siamo tutti assolti, va tutto bene' significa aprire la strada a una situazione di impreparazione la prossima volta". Poi però frena: "Questo non vuol dire che chi ha fatto male è colpevole, perché un errore non è colpa, e io non ho fatto nessun atto d'accusa nella mia perizia".

 Assolviamo il buon Crisanti per la sua ignoranza del diritto penale. Confidiamo nei giudici dell'udienza preliminare per evitare gli anni e i milioni che costerebbe un processo agli immaginari untori di un'epidemia il cui virus, come in tutte le epidemie, "is blowing in the wind", soffia nel vento dylaniano. Siamo dilaniati anche noi, come i parenti delle vittime, per la sicura, enorme, imperdonabile responsabilità dell'allora premier Giuseppe Conte, dei ministri e degli esperti: ebbero un mese per reperire mascherine e non lo fecero; avevano già mandato i carabinieri a sigillare Alzano e Nembro e fecero marcia indietro; eccetera eccetera.

Ma fu responsabilità politica, non penale. Perché in tribunale bisogna dimostrare i rapporti causa-effetto, e temiamo che i "modelli matematici" di Crisanti, magari convincenti in tv, lì abbiano meno valore, seppur matematici. E quindi difficilmente riusciranno a cacciare in galera per epidemia e 4.148 omicidi in val Seriana i miti e mitici professori Silvio Brusaferro e Franco Locatelli. 

Monday, November 23, 2020

Covid: in Italia 50mila morti. Ridotti a una statistica

ORMAI CI SIAMO ASSUEFATTI: TUTTI ASSIEME IMPAURISCONO, INVECE CENTELLINATI GIORNO PER GIORNO SPARISCONO

di Mauro Suttora
HuffPost, 23 novembre 2020




“Una morte è una tragedia, un milione di morti soltanto una statistica”, disse Stalin. E 50mila? Oggi i decessi per virus in Italia raggiungono questa tremenda cifra. Ma noi sembriamo assuefatti. Anzi, a volte diciamo quasi con soddisfazione: “Oggi ‘solo’ 600 vittime, meglio delle 700 di ieri”.

Invece, 50mila bare messe una dopo l’altra sono un numero immenso: un capoluogo di provincia, un terzo di tutte le vittime civili della Seconda guerra mondiale (ma concentrati in nove mesi, non in cinque anni), i morti dell’atomica di Nagasaki.

Ci consoliamo: “Erano quasi tutti 80-90enni, anche l’influenza ne ammazza 50mila all’anno, quando fa troppo freddo d’inverno o troppo caldo d’estate ne muoiono anche di più”. E poi le famose patologie pregresse, è così in tutto il mondo, ora ci sono più asintomatici, negli Usa è peggio.

Balle. Nell’orrenda classifica vera, quella dei decessi in proporzione agli abitanti, i nostri 830 per milione troneggiano al quarto posto. Nell’intero pianeta ci superano solo Belgio, Peru e Spagna.

Chi la butta in politica e se la prendeva con i populisti Trump, Bolsonaro o Boris Johnson ora tace: Stati Uniti, Brasile e Regno Unito se la cavano meglio di noi.

E allora, come mai ci siamo abituati? Non ci accorgiamo che i nostri nonnini crepano da soli, inghiottiti dopo quel loro ultimo sguardo disperato mentre salgono in ambulanza, o quando cacciano noi parenti dal pronto soccorso?

Ci siamo commossi una sola volta, vedendo in tv la fila dei camion militari a Bergamo. Perché tutti assieme impauriscono, invece centellinati spariscono. I tremila morti delle Torri gemelle hanno fatto impressione, ma non c’è alcun 11 settembre ad accomunare i nostri 50mila. Nessun cimitero di Redipuglia a riunirli nella tragedia, ricordandoli per sempre.

Perciò ormai sono ridotti a statistica. “Dobbiamo imparare a convivere col virus”: questa è la frase più inquietante.

Oggi un esperto dell’Oms ha detto: “Dovevamo usare l’estate per attrezzare meglio le nostre strutture”. Non ha detto che forse bastava continuare a distanziarci per non impestare i nostri anziani. La curva è data per scontata, può alzarsi o abbassarsi, siamo sul picco, no sul plateau, aspettiamo la terza ondata, tranquilli ora arriva il vaccino. Si sta come d’autunno sulle statistiche le foglie. Cinquantamila.
Mauro Suttora

Sunday, August 16, 2020

Nembo kid a Nembro? Quel maledetto 5 marzo



TUTTO QUEL CHE NON TORNA NEL RACCONTO DI CONTE SULLA MANCATA ZONA ROSSA A NEMBRO E ALZANO (BERGAMO)  

di Mauro Suttora

Huffington Post, 16 agosto 2020

Il premier Conte dice la verità su quel maledetto 5 marzo, sulle poche cruciali ore in cui lui afferma di avere appena saputo che i suoi scienziati gli chiedevano la zona rossa alla periferia di Bergamo, ma contemporaneamente a Bergamo già arrivavano 370 fra carabinieri, poliziotti, finanzieri e soldati per sigillarla?

Lo decideranno i magistrati. Paolo Mieli, nel suo pur rispettoso editoriale sul Corriere della Sera del 13 agosto, gli crede poco. Gabriella Cerami sull’Huffington Post dell′8 agosto ha già rilevato le contraddizioni in cui è caduto il premier dopo essere stato costretto a desecretare i verbali del Cts (Comitato tecnico scientifico).

Ha smentito le sue stesse parole. Quattro mesi fa, infatti, dichiarò al Fatto Quotidiano: “Il 3 marzo il Cts propone una zona rossa per Alzano e Nembro. Chiedo agli esperti di formulare un parere più articolato. Mi arriva la sera del 5 marzo e conferma l’opportunità di una cintura rossa per Alzano e Nembro. Il 6 marzo decidiamo di imporla a tutta la Lombardia. Il 7 arriva il decreto”.
Invece l′8 agosto, dopo la pubblicazione obtorto collo del verbale Cts, Conte dichiara: “Del verbale del 3 marzo sono venuto a conoscenza il giorno 5”.
Gli fa eco il ministro della Salute Roberto Speranza: “Ho saputo del verbale il giorno successivo. E il 5 l’ho trasmesso a Conte”.

Se fosse vero, sarebbe una illustrazione agghiacciante della lentezza della nostra burocrazia. Tutte le agenzie di stampa, i siti giornalistici e le tv riferirono la proposta del Cts sulla zona rossa di Bergamo già la stessa sera del 3 marzo. Gli unici ignari in Italia erano Conte e Speranza? Il dinamico Casalino non avvertì il suo premier?

Ma che le date non combacino lo dimostrano soprattutto gli avvenimenti in loco. Nella giornata del 5 marzo infatti arrivano ad Alzano e Nembro numerosi reparti di forze dell’ordine da tutta la Lombardia. In certi casi, gli stessi uomini che hanno già isolato con successo la zona rossa di Codogno (Lodi).
Nel primo pomeriggio cominciano i sopralluoghi. Tutti danno per scontato il blocco di Alzano e Nembro. L’unica incertezza riguarda il quando. Quella sera stessa? L’indomani mattina?
È stabilita perfino l’ora esatta e il posto del concentramento da dove partiranno le pattuglie per il blocco simultaneo delle strade in entrata e uscita della zona rossa: le 19 dal comando provinciale dei carabinieri nella circonvallazione delle Valli a Bergamo.
Contemporaneamente, i reparti prendono alloggio in due alberghi, a Osio Sotto e Verdellino.

Tutto a insaputa del premier, che adesso postdata la propria cognizione della richiesta di zona rossa al 5 marzo? Oppure la ministra dell’Interno e il prefetto di Bergamo stanno cinturando a sua insaputa Alzano e Nembro (che non sono paesini in mezzo al nulla come Vo’ Euganeo, ma una delle zone industriali più antropizzate d’Europa)?
Oppure ancora, prendendo per buona la sua seconda versione: Conte sa da Speranza del verbale soltanto  il 5 mattina, ma veloce come Nembo Kid riesce a spedire un intero gruppo interforze a Bergamo in poche ore, nonostante la lentezza della nostra burocrazia di cui sopra?

Poi c’è il mistero su chi e quando riuscì a far fare marcia indietro a Conte. La zona rossa di Bergamo abortì, probabilmente perché i bergamaschi - tutti, non solo i padroni - preferiscono rischiare di morire piuttosto che non lavorare.

Ma poiché il contagio si espande con una velocità di accelerazione al quadrato, se il 3 bastava isolare Nembro e Alzano, il 6 era necessario farlo con tutta la Lombardia (come ha giustamente detto Conte1, prima versione). E alla fine, il 9 marzo, l’intera Italia si ritrovò in lockdown proprio perché erano state persi sei giorni preziosi.
Sull’eventuale numero di infetti e morti in meno a Bergamo sorvoliamo, per buon gusto.

Il presidente Usa Nixon non dovette dimettersi per il Watergate (una piccola, insignificante effrazione), ma perché disse il falso sul Watergate. Clinton passò i guai non per quel che gli fece Monica, ma perché lo negò.
Le parole del gentile e flautato premier Conte svolazzano nell’aria. Inafferrabili come un virus.
Mauro Suttora