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Thursday, December 07, 2023

L'altro Alfredo dell'anarchia. Vita e prigioni di Bonanno, padre politico di Cospito
















È morto a Trieste il filosofo degli anarco-insurrezionalisti che ha ispirato generazioni di ribelli. Finì in galera per i suoi scritti e querelato da Sartre per una magnifica beffa. In fondo fu il più fedele a Bakunin

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 7 dicembre 2023

È morto Alfredo Maria Bonanno, papà politico di Alfredo Cospito. Gli ha tramandato il nome, invece del cognome. Il filosofo degli anarco-insurrezionalisti italiani si è spento a Trieste a 86 anni, dopo aver ispirato generazioni di ribelli che hanno seguito i suoi fiammeggianti scritti e discorsi. Il più famoso è appunto Cospito, che dopo nove anni in carcere ne sta scontando altri 23 al 41bis per una bomba che non ha provocato un graffio a nessuno.

Anche Bonanno spesso passava dal pensiero all’azione. Basta il titolo del suo libro più famoso, La gioia armata (1977), che gli costò un anno e mezzo di carcere. Due anni se li era già presi nel 1972 per istigazione all’insurrezione sulla rivista Sinistra libertaria. Nel 1997 fu condannato a sei anni come ideologo dell’Orai (Organizzazione rivoluzionaria anarchica italiana), in un maxiprocesso con 68 imputati e sole sei condanne.

Indomito, nel 2009 venne arrestato in Grecia e scarcerato dopo un anno perché over 70. E nel 2013 rieccolo all’università La Sapienza di Roma per dire ai Punx anarchici che “bisogna agire, non chiacchierare”, perché “abbiamo il diritto alla ribellione”.

Ho conosciuto Bonanno, che prima di votarsi alla lotta fu bancario e dirigente industriale, nel 1983 nella sua Catania. In quegli anni tutti gli antimilitaristi d’Europa scendevano a Comiso (Ragusa) per protestare contro gli euromissili atomici Usa Cruise, installati in quello che ora è un aeroporto civile.

“Ecco, arriva il rompiballe”, dicevamo noi nonviolenti e radicali quando alle assemblee si presentavano lui e gli autonomi. Che invariabilmente proponevano di assaltare la base. Anche noi eravamo per l’azione diretta, ma pacifica. E se arrivava la polizia con i manganelli ci sedevamo per terra senza reagire.

Così, per non dar adito a provocazioni e tafferugli, quando davanti ai cancelli della base giungevano Bonanno e i suoi, a noi toccava andarcene. Tante manifestazioni furono sconvocate per colpa sua (il che non impediva ai poliziotti di menare pure noi, quante botte prese Luciana Castellina).

A me Bonanno però stava simpatico. Era un rodomonte velleitario che ci accusava di essere moderati, vigliacchi, piccoloborghesi, ma nel 1978 aveva architettato una beffa sopraffina contro gli intellettuali di sinistra. Compilò un opuscolo raccogliendo le frasi più dure di Jean-Paul Sartre contro il capitalismo e il sistema, ne aggiunse di sue imitandone lo stile, e lo pubblicò a firma del maître à penser francese. Tutti ci cascarono, Sartre dovette denunciarlo.

Perfino gli anarchici detestavano Bonanno. Quelli perbene a Milano si incontravano nella libreria Utopia in largo La Foppa, all’angolo Moscova-Garibaldi, dove ora c’è la pasticceria Panarello. Lo accusavano di estremismo velleitario, e nei loro giornali (A-Rivista anarchica, Senzapatria, Umanità Nova) non c’era spazio per gli antagonisti come lui. Il discrimine era la violenza, l’illegalità che poi sfociava in una controproducente criminalità. Anche se, leggendo Bakunin, Kropotkin o Malatesta, bisogna riconoscere che il più coerente con i proclami dei padri dell’anarchia era proprio Bonanno.

Alla fine, dopo cinque anni di proteste contro gli euromissili di Comiso (e quelli di Mosca), nel 1985 arrivò Michail Gorbaciov e in poche settimane si mise d’accordo con Ronald Reagan per smantellarli. Ma il colpo più perfido a noi pacifisti lo diede il premier Bettino Craxi, pro-missili, quando dopo un nostro corteo oceanico di un milione di persone disse: “Bene, vuol dire che gli altri 59 milioni di italiani sono d’accordo con me”. E seppellì sia noi, abbastanza utili idioti dell’Urss a pensarci bene, sia gli anarco-insurrezionalisti di Alfredo Bonanno.

Friday, October 03, 2014

Andiamo a vedere come fanno in Svizzera

di Mauro Suttora

3 ottobre 2014

numero speciale di Dissensi e Discordanze, direttore Mauro della Porta Raffo

articolo originale su Dissensi e Discordanze

Quando avevo quattro anni, i pedalò sul lago a Lugano.
E la parola Monteceneri scritta sulla grande radio a valvole di mio padre.
Quarant’anni dopo, Fox Town e Serfontana.
Questa è la Svizzera che ci fa sognare.
Noi lombardi che almeno una volta abbiamo votato Lega sperando che, senza la zavorra Roma+Sud, la Lombardia diventi un grande Canton Ticino.
Noi cinefili che ogni agosto ci siamo consolati delle mancate vacanze correndo una sera a Locarno per una magica proiezione in piazza.
Noi ecologisti che festeggiammo il no svizzero alle centrali atomiche nel referendum del 1990 (Vittorio Feltri, allora mio direttore all’Europeo, nuclearista disarmante: «Radioattività? Tanto di qualcosa bisogna morire»).
Noi anarchici sulle orme di Bakunin e Kropotkin, noi libertari in pellegrinaggio steineriano al monte Verità di Ascona.
Noi federalisti che ammiriamo l’autonomia dei cantoni (Glarus può decidere addirittura che non desidera immigrati slavi).
E perfino noi grillini (scettici), studenti di democrazia diretta negli unici due posti al mondo dove si vota in piazza alzando la mano: Glarona e Appenzello.
Poi, ovviamente, abbiamo anche letto Jean Ziegler, e sappiamo che le banche svizzere “lavano più bianco”.
Abbiamo passeggiato nelle città elvetiche dopo le sei del pomeriggio o al sabato, la domenica: c’è più vita in un cenotafio.
Ma l’amore per la Svizzera resta immenso.
Da trent’anni, una volta al mese, come giornalista propongo: “Andiamo a vedere come fanno lì”.
Così nel 1987 feci vincere un premio a Gianfranco Moroldo, fotografo di Oriana Fallaci, che riuscì a inquadrare un soldato svizzero appostato accanto a una mucca durante una nostra inchiesta dell'Europeo sull’esercito ‘di popolo’. [articolo sull'Europeo]
Poi, nel 1999, il beatle George Harrison che scelse Lugano per farsi curare il tumore.
Due anni fa un’altra occasione triste: visita alla clinica della dolce morte dove Lucio Magri si fece eutanasizzare.
Ogni volta che posso mi faccio invitare dalla mia amica Januaria Piromallo nella sua villa di Gstaad.
Lì, acquattati negli hotel, stanno tutti i miliardari greci che, se riportassero i loro patrimoni a casa, risolverebbero la crisi del loro Paese.
Durante l’ultimo viaggio tornando da Strasburgo, aprile 2014, una fantastica scoperta: l’ascolto guidato, alla radio Svizzera italiana, di una sinfonia di Mendelsohn.
Sono questi i piaceri della vita, oltre all’erba rasata a zero e i fiori perfetti nelle aiuole.
Mauro Suttora