Showing posts with label antonio polito. Show all posts
Showing posts with label antonio polito. Show all posts

Monday, June 15, 2020

Il M5S faccia come la Dc con le sue correnti

PARLA SUTTORA, CHE SUL PARTITO DI CONTE DICE...

di Francesco De Palo

Formiche.net

15 giugno 2020

intervista sul sito
 
“Le correnti, pur detestate per ipocrisia, ci sono sempre state tra i grillini. Se hanno convissuto nella Dc Scalfaro e Moro, potranno farlo anche Fico e Di Battista” Il partito di Conte? "Pesca più nel Pd che nel M5s".
 Lo dice a Formiche.net il giornalista e saggista Mauro Suttora, profondo conoscitore del mondo grillino, che segue dai suoi inizi, il quale analizza il trend del movimento su cui si sta innescando un dibattito relativo a venti di scissione e equilibri futuri (oltre che presenti).

Uno, due, o niente? Il M5S si scinde, resta così e scompare oppure raddoppia con nuovo scheletro?
"Se sono stupidi si scindono. Se sono intelligenti rimangono assieme. Se sono molto intelligenti riescono a tenere dalla propria parte anche Giuseppe Conte. Ma comunque non credo al sondaggio pubblicato ieri dal Corriere, secondo cui il M5S con il premier avrebbe il 24% dei consensi, e separato solo il 12%. Anche l’ipotesi che i grillini assieme a Conte andrebbero al 30%, che il Corriere ha fatto circolare con i numeri di Pagnoncelli, mi sembra azzardata".

Tra i grillini le correnti, fino a ieri detestate dal popolo dei Vaffa, saranno risolutive, in un senso o nell’altro?
"Le correnti ci sono sin dal primo Vaffa Day del 2007, quando le liste si chiamavano “Amici di Grillo”. Tutto il resto è solo ipocrisia. Ricordo che anche solo per scegliere la prima candidata sindaca a Roma nel 2008 ci fu una contrapposizione tra due fazioni, e Roberta Lombardi perse per soli tre voti con 60 votanti in tutto, mentre la vincente poi ha lasciato il movimento. Le correnti sono sempre esistite anche se sottotraccia, pur in presenza di una certa ipocrisia da parte di Casaleggio che non le voleva, ma il dato è l’oggi. Se saranno scaltri come lo fu la Dc, allora le useranno: se per 40 anni sono riusciti a stare assieme Oscar Scalfaro e Aldo Moro, non vedo perché non potrebbero farlo ora Fico, Taverna e Di Battista".

Di Battista ha detto: “Ieri ho parlato di congresso e delle mie idee e Beppe Grillo mi ha mandato a quel paese. Io ho delle idee e, se non siamo d’accordo, francamente, amen”. La frattura sui temi dirimenti come il Mes, il caso Regeni, l’Ue c’è già stata in fondo?

"I Cinque Stelle non hanno ideologia e si vantano di non averla, quindi sono riempibili da parte di qualsiasi valore e parola d’ordine. Ora l’unico obiettivo è restare aggrappati all’attuale legislatura, perché in caso di voto verrebbero dimezzati. Per cui si muovono in modo opportunistico, il potere per il potere. In questa situazione paradossalmente proprio Di Battista è il più grillista dei grillini, forse più dello stesso Grillo, il quale che non ha più la coerenza degli inizi. Il comico, molto spregiudicatamente, ha compreso che o il M5S resta al traino del Pd, oppure si va ad un nuovo governo e al voto. Mi ha molto stupito la durezza con cui Grillo ha attaccato Di Battista".

Cosa significa? Si sono rotti rapporti umani, oltre che progetti politici?
"Penso che abbia stupito tutti, anche molti grillini. Dimostra che Grillo fa il comico e non è capace di fare politica, perché spingere Di Battista verso Paragone e il sovranismo è sbagliato: costa loro tra il 5 e il 10% di voti".

Il matrimonio del M5S col Pd che frutti ha portato?
"Per il Pd è stato un disastro, lo dimostrano i numeri di Pagnoncelli secondo cui una eventuale Lista Conte pescherebbe proprio tra i dem e non solo tra i grillini. Il Pd scenderebbe al 16, addirittura sotto FdI. E comunque rimarrebbe a non più del 20-22% anche senza la lista del Premier. Conte va a succhiare proprio nel Pd: ecco il grande miracolo di Bettini e Zingaretti".

La postura in politica estera non è un elemento secondario. La scelta alla Farnesina l’ha stupita?
"Non c’è guida su dossier strategici come caso Regeni, energia, geopolitica. Se penso ai predecessori dell'attuale ministro come Enzo Moavero Milanesi o Paolo Gentiloni, qualcosa fu fatto rispetto all’oggi. Di Maio alla Farnesina è folklore puro. Per nostra fortuna sono aperti altri canali, penso al commissario Ue Gentiloni o al presidente del Parlamento Sassoli.

Come giudica la scelta, temporale e di merito, degli Stati Generali a Villa Pamphilj?
"Riprendo le sagge parole del Capo dello Stato, che ha detto di aspettare i fatti. In sostanza una stroncatura netta. Siamo diventati il paese dei festival: quindi comprendo il rifiuto delle opposizioni su questo tema. Mi pare che Antonio Polito sul Corriere della Sera abbia detto tutto: scivoliamo in eventi pittoreschi".

Wednesday, May 13, 2015

I peggiori film della nostra vita

Cinema: sedici personaggi confessano le loro “pellicole-mattone”

Una catena di sale francesi rimborsa il biglietto agli spettatori che escono nella prima mezz’ora. Quanti ne approfitteranno?
FRA REGISTI E ATTORI INSOPPORTABILI, Ecco chi rischia in italia: in testa Lars von Trier, Ben Affleck... e molti mostri sacri

di Mauro Suttora

Oggi, 6 maggio 2015

Quali sono i film da cui siete scappati, nella vostra vita?

Maurizio COSTANZO: «Tutti i kolossal sull’antica Roma».

Paola TAVERNA, senatrice 5 stelle: «Non sopporto i film di Madonna, quelli delle Vacanze di Natale, e comunque ormai non vado più al cinema. Mi rompo le scatole. Mi fece particolarmente schifo Palombella Rossa di Nanni Moretti, un insopportabile radical chic».

Giampiero MUGHINI: «La grande bellezza di Sorrentino».

Massimo FINI: «Uscii dal cinema quando Robert De Niro si arrampicò sulle rocce per venti minuti in Mission, quel film di ormai trent’anni fa dove c’era anche Jeremy Irons, e che vinse la Palma d’Oro a Cannes. Ultimamente ho detestato American Sniper: sembra un western, non un film di guerra. E Bjork che faceva la cieca in Dancer in the dark, il film del 2000 di Lars Von Trier: era insopportabile».

Alba PARIETTI: «The Piano Player, con Christopher Lambert, Dennis Hopper e Diane Kruger (2002). Lo dico con tutto l’affetto che ho per lui». Ma è la vendetta dell’ex? «No, allora ero innamoratissima, stavamo assieme e mi ero messa a vederlo in cassetta. Ma non ce l’ho proprio fatta, stavo per suicidarmi».

Sabina CIUFFINI: «Amore bugiardo, con Ben Affleck (2014). L’ho visto due mesi fa e sono uscita alla fine del primo tempo, cosa molto rara per me. Film fatto bene, ma prevedibile e irritante. Perché l’hanno fatto? Una specie di pozione malefica che ho rifiutato di bere fino in fondo».

Il povero Affleck si prende una segnalazione negativa pure da Michele CUCUZZA per lo stesso film, Amore bugiardo: «Sopravvalutato, scontato».

Martina COLOMBARI: «Le onde del destino, del regista danese Lars Von Trier, 1996. Nonostante avesse vinto il festival di Cannes, e la protagonista Emma Watson fosse stata nominata per un premio Oscar come migliore attrice, lo ricordo soltanto per i suoi interminabili 156 minuti. Fu una prova di forza resistere fino in fondo. E riuscii perfino a trattenere in sala mio marito [l’ex calciatore Billy Costacurta, ndr]».

Beppe SEVERGNINI: «La terra trema di Luchino Visconti mi ha sconfitto: sono uscito a metà, e tremavo più della terra in questione. Il film, mi assicurano, è un capolavoro. Ma forse non era adatto al momento ormonale di un diciottenne. Otto e Mezzo di Fellini è una meraviglia, ma è un film da vietare ai minori di 48 anni: non li riguarda.
Sono rimasto in sala per Allacciate le cinture con Kasia Smutniak di Ferzan Ozpetek, regista di cui ero e rimango un estimatore; e ho fatto male. Coraggio, succede anche ai migliori, caro Fernan».

Elisabetta GARDINI, eurodeputata di Forza Italia: «Non posso vedere gli 007 senza Sean Connery. Mi spiace per i vari Roger Moore o Daniel Craig che gli sono succeduti, ma per me James Bond rimane uno solo. E non c’è la minima possibilità che guardi un film con i supereroi, quelli dei fumetti. Mi sembra di stare in un videogioco».

Luciana LITTIZZETTO: «Paganini, scritto diretto e interpretato da Klaus Kinski (1989). Come film brutti, quello mi basta per l’eternità».

Dalila DI LAZZARO: «L’Imbalsamatore di Matteo Garrone (2002). Film interessante, ma così lugubre che mi ha respinto. Un po’ come l’Urlo di Munch, capisco il genio in quel quadro. Però io al cinema voglio sognare, ho bisogno di allegria, colori».

Antonio POLITO: «The Counselor – Il procuratore di Ridley Scott del 2013, con un cast di star: Michael Fassbender, Brad Pitt, Cameron Diaz, Penelope Cruz, Javier Bardem. Sono scappato, nonostante Ridley Scott sia uno dei miei preferiti».

Giampaolo PANSA: «Ludwig di Luchino Visconti, che pesantezza».

Camilla BARESANI: «Mi irritano i film con pretese intellettuali. Fra i tanti, ricordo Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, Il palloncino bianco di Jafar Panahi, Sotto gli ulivi di Abbas Kiarostami e Ferro 3 del coreano Kim Ki-Duk».

Stefania PRESTIGIACOMO: «Turner di Mike Leigh, sulla vita dell’omonimo pittore inglese. Il protagonista Timothy Spall avrà anche vinto il premio come migliore attore all’ultimo festival di Cannes, io ho resistito fino alla fine ma ho molto sofferto. Pesante, lento, soporifero».
Mauro Suttora

Wednesday, March 07, 2012

Stipendi dei ministri

CURIOSITA': MONTI HA UNA PALAZZINA A VARESE E DUE NEGOZI IN CORSO BUENOS AIRES A MILANO. LE BUCCE DI BANANA DI PAOLA SEVERINO E GIULIO TERZI

di Mauro Suttora

Oggi, 24 febbraio 2012

Quelli che ci hanno rimesso di più sono Corrado Passera e Paola Severino. Per diventare ministro di Sviluppo e Trasporti il primo ha rinunciato a uno stipendio da tre milioni e mezzo l’anno (era il più importante banchiere italiano, capo di Intesa San Paolo) e ora ne guadagna 220 mila. Gli rimane però un patrimonio di venti milioni.

Perde addirittura il 97 per cento del proprio reddito annuo la nuova titolare della Giustizia. «Ammirevole», commenta con Oggi il politologo Piero Ignazi, «ed è un bene che cominci a succedere in Italia. Negli Stati Uniti è normale che professionisti di successo accettino di “servire la comunità“ per un certo periodo, abbandonando lucrosi affari privati. Da noi è già accaduto con il sindaco di Milano Pisapia, anche lui avvocato di nome come la Severino».

Più disincantato Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera, che ci dice: «La mia approvazione per Passera o la Severino non aumenta grazie ai loro sacrifici: se hanno deciso così, vuol dire che fare il ministro gli piace, o gli interessa. L’importante è che siano competenti e capaci».

Qualcuno però storce il naso. «Siamo passati dal governo di Creso [Berlusconi] a quello dei Paperoni», constata Luca Telese sul Fatto, «dall’autocrazia dell’imprenditore fai-da-te agli ottimati illuminati. La politica è diventata il gioco dei ricchi. E Paperone diventa antipatico quando chiede prestiti a Paperino».

Nessuno lo ricorda, ma la legge che impone ai ministri di esibire la propria dichiarazione dei redditi risale al 1982. Quindi, il governo Monti non ci ha regalato nulla: ha solo deciso, dopo trent’anni, di rispettare una norma desueta. «Però la trasparenza è importante», dice Polito, «e oltre ai redditi è bene conoscere tutti gli interessi di chi amministra la cosa pubblica. Perché i condizionamenti privati esistono. Non è guardonismo».

Certo, fa un po’ impressione scoprire che la ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri possiede 24 immobili. Ma spesso si tratta di unità immobiliari minuscole, come box, negozi o terreni, oppure di lasciti ereditari posseduti in quota minima assieme a fratelli e parenti.

Monti e sua moglie, per esempio, sembrano essere grandi possidenti immobiliari, con le loro 26 proprietà (di cui dodici appartamenti). Ma poi si scopre che la metà di queste stanno in un’unica palazzina di Varese, nel trafficato viale Borri, frutto di un investimento di famiglia (il padre di Monti, dirigente bancario, sfollò da Milano durante la guerra). Gli abitanti dei sette alloggi (con quattro box) non sapevano di pagare l’affitto a un padrone così illustre. «E, a dirla tutta, non sono tanto d’accordo con le sue liberalizzazioni», confessa l’ortopedico Rapetti, che occupa il negozio di 40 metri quadri.

Una curiosità: oltre agli appartamenti dove vive a Milano (zona Fiera) e a Bruxelles (dov’è stato commissario Ue per dieci anni, fino al 2004), Monti possiede anche due negozi all’angolo fra corso Buenos Aires e via Redi a Milano. «In totale la sua rendita immobiliare annua ammonta a 77 mila euro», scrive Claudio Bernieri nella prima biografia pubblicata sul premier (Il sacro Monti, ed. Affari italiani).

Monti ha rinunciato agli stipendi di presidente del Consiglio e ministro dell’Economia. Ma conserva le pensioni da ex commissario Ue (170 mila euro annui) e di professore universitario, cui aggiunge dallo scorso 11 novembre (11.11.11, data simbolica?) i 300 mila euro da senatore a vita. In totale, quindi, non sarà un gran salasso rispetto al milione del suo reddito 2011. L’unico introito che non ha più è quello di presidente dell’università Bocconi.

«Sono comunque impressionato dai guadagni dei ministri-professori», storce il naso Stefano Zecchi, docente di Estetica. «Io, a fine carriera e ordinario da quando avevo 34 anni, prendevo 5mila euro al mese. Ora non più, c’è il contributo di solidarietà. Vedo invece che i miei colleghi Fornero, Giarda, Profumo e Ornaghi riescono a decuplicare il mio stipendio. Bravi, perché grazie al prestigio della cattedra universitaria ottengono consulenze e nomine nei consigli d’amministrazione. Ma non si pensi che i professori guadagnino così tanto».

Il commendevole spogliarello finanziario ministeriale ha provocato qualche piccola scivolata. La Severino si era dimenticata di dichiarare la propria villa da dieci milioni sull’Appia con parco e piscina, acquistata nel 2005. È intestata non a lei, ma a una società. Pizzicata dal Fatto, ha dato la colpa a un errore del commercialista.

Si è irritato con il sito Dagospia, annunciando querela, il ministro degli Esteri Giulio Terzi. Che vive con la compagna e madre dei suoi gemellini Antonella Cinque in una casa accanto a piazza di Spagna. Lo splendido appartamento le è stato affittato da Propaganda Fide (ente missionario del Vaticano) una decina d’anni fa, quando la Cinque era stretta collaboratrice del ministro della Sanità Girolamo Sirchia. Dagospia ha scritto che Terzi abita lì, lui ha smentito, ma senza precisare che l’affitto è in capo alla compagna.

Bucce di banana evitabili se, oltre ai propri redditi e patrimoni, politici e funzionari pubblici pubblicassero anche quelli dei coniugi. Finora l’ha fatto solo Monti. Ma, in un Paese in cui i tangentari intestano tutto a mogli e parenti, sarebbe una buona idea. Avete fatto trenta, fate trentuno.
Mauro Suttora

Wednesday, March 02, 2011

Berlusconi? Ha i secoli contati

Dopo il rinvio a giudizio su Ruby, il premier non si arrende

«Farà di tutto per rimanere al potere», prevedono gli esperti. «E ci riuscirà», dicono in molti. Ma fino a quando? Per ora, la sua maggioranza si allarga

di Mauro Suttora

Oggi, 2 marzo 2011

«Bisogna chiederlo alla Sfinge. O alla Pizia. Impossibile prevedere alcunché, quando c'è di mezzo Berlusconi». Giovanni Sartori, 86 anni, massimo politologo italiano, per decenni professore alla Columbia University di New York, non riesce a rispondere alla domanda: Silvio Berlusconi è alla fine? Due anni fa gli aveva dedicato il caustico libro Il Sultanato . Ma adesso dice a Oggi: «Il nostro premier è imprevedibile, sfugge a ogni regola. Certo, tutti i politici seguono una loro parabola più o meno lunga di fortune e avversità. Ma per lui i precedenti statistici non funzionano. È un caso unico. Posso solo esprimere la mia opinione personale: per causa sua l'Italia sta vivendo una situazione allucinante».

L'incriminazione per concussione e prostituzione minorile che lo vedrà sotto processo a Milano il 6 aprile non sembra avere intaccato la determinazione di Berlusconi di rimanere al potere: «Governerò fino alla fine della legislatura, nel 2013», ha dichiarato. Ce la farà?

«Berlusconi ha i secoli contati...», scherza Antonio Polito, già senatore della Margherita e direttore del quotidiano Il Riformista. «Ha superato crisi peggiori. Dopo la sconfitta del 2006, per esempio, sembrava finito. Casini e Fini parlavano apertamente di successione. Ma già nel 1996, quando Prodi vinse la prima volta, si diceva che era troppo vecchio, che non era un politico di professione... Insomma, la risposta è nella storia: è rinato altre volte».

«C'era una sola possibilità che Berlusconi cadesse», aggiunge il professor Piero Ignazi , direttore de Il Mulino , «ed era tramite la fronda interna. Come con Mussolini. Ma lo scorso 14 dicembre Fini ha fallito il suo 25 luglio, e ora Berlusconi sta facendo di tutto per rimanere al proprio posto. Riuscendoci, perché i suoi parlamentari non sono eletti, ma nominati da lui in persona. Il suo partito non segue le regole normali della politica, perché è un partito patrimoniale. E lui dispone di risorse infinite, finanziarie e non».

«Se non ora quando», allora? Utilizziamo lo slogan delle donne scese in piazza il 13 febbraio per la «dignità», disgustate dal Rubygate.
«Credo che la parabola di Berlusconi si compirà col ventennio della sua discesa in politica», risponde Marcello Veneziani, editorialista del quotidiano berlusconiano Il Giornale. «Andrà in pensione al compimento dei 19 anni, sei mesi e un giorno. Alla conclusione di questa legislatura, tra poco più di due anni. C'è però la possibilità - o il rischio, a seconda dei punti di vista - che proprio la volontà di farlo cadere prima produca il suo protrarsi sulla scena politica, perfino con un nuovo mandato di governo».

«Ma no, all'80 per cento ci sarà il voto anticipato entro l'anno prossimo», prevede Pierluigi Battista , commentatore del Corriere della Sera. «L'astro berlusconiano è in fase di oscuramento, lo scandalo di Ruby gli ha dato una botta fortissima. Anche il più favorevole dei sondaggi dà il Pdl attorno al 30 per cento, contro il 37 con cui vinse le elezioni tre anni fa. Sommando la Lega Nord il centrodestra arriva al 40. Ma a quel punto il centrosinistra torna competitivo, se riesce a mettere assieme una coalizione che raggiunga quella percentuale. La partita è aperta».

«La partita si riapre solo se si va a elezioni», obietta Polito, «e questo lo deciderà Berlusconi, che adesso è in una posizione di forza. Per tre motivi. Primo, è il padrone indiscusso del partito di maggioranza relativa. Secondo, dispone di una maggioranza parlamentare anche dopo la grave spaccatura di Fini. Anzi, questa maggioranza si allarga poco a poco. Terzo, non vedo la ragione per cui Bossi dovrebbe mollarlo. Direi perfino che alla Lega conviene un Berlusconi indebolito, perché così può ottenere più cose. Viceversa, non penso che Bossi vada con Bersani perché con il Pd il federalismo lo fa meglio... Per tutte queste ragioni, Berlusconi è difficilmente scalzabile».

«In un Paese maturo e civile», dice Veneziani, «si penserebbe a impegnare i prossimi due anni a costruire una credibile alternativa o successione a Berlusconi, lasciandolo governare per il resto del mandato ricevuto dagli elettori, incalzandolo solo sul raffronto tra promesse e realizzazioni, e tra l'azione di governo e le necessità dell'Italia. Si potrebbe guidare una transizione incruenta. Sarebbe un modo responsabile per tutti, nell'interesse del Paese ed evitando spargimenti di sangue da ambo le parti».

Quindi il premier non è in declino?
«Che Berlusconi sia stanco e a volte tradisca segni di declino mi pare vero», ammette Veneziani, «ma finché si permane in questa situazione, l'impressione è che si scelga tra il male e il peggio: tra Berlusconi e il nulla. Quando il fumo dei giorni sarà passato, si farà un bilancio onesto dell'unico leader politico dei nostri anni che passerà alla storia. Nel bene e nel male. Si allontana invece l'ipotesi che possa aspirare al Quirinale».

Le manifestazioni delle donne del 13 febbraio hanno danneggiato Berlusconi? «Avrei avuto grossi problemi a condividere un'iniziativa che sembrava essere "contro" le prostitute», dice Marina Terragni, commentatrice del settimanale Io donna. «Poi le promotrici hanno aggiustato il tiro, non più le "indignate" contro le "indegne". Certo è che il nostro uomo sembra avere grossi problemi nei rapporti con l'altro sesso. Non parliamo di quelli con l'ex moglie Veronica, ma in generale di come lui si rivolge alle donne. Quando dice "Io non le ho mai pagate", pur di fronte all'evidenza delle buste e degli esborsi del suo ragioniere per le ragazze di via Olgettina, probabilmente è sincero. Perché è fermo a una concezione vecchissima, da residuato bellico anni Cinquanta, del rapporto uomo-donna. Quella del cumenda che fa il "presente" alla favorita, o del playboy che pensa di lusingare le signore con complimenti appicicaticci. Non è mai brutale. Anzi, è gentile, come dimostrano le registrazioni del suo colloquio con la D'Addario dopo la notte insieme. Però questa sua "antichità" di approccio colpisce in Berlusconi, un uomo che invece in molti altri campi, dall'impresa allo spettacolo, è il simbolo della modernità».

Ma le disavventure femminili di Berlusconi degli ultimi due anni, dalla moglie Veronica che lo accusa pubblicamente di essere «malato» di sesso a Noemi, dalla D' Addario alla Minetti e a Ruby, possono spostare il consenso delle sue elettrici?
«Chi lo sa», risponde la Terragni. «Lui è caduto nella trappola in cui cadono tutti i vecchi con le ragazzine: l'illusione che loro subiscano il fascino della maturità, delle tempie brizzolate... Quel che è sicuro è che anche l'altra parte, il centrosinistra, ha grossi problemi con le donne. Per esempio, non si capisce perché non candida premier una come Rosy Bindi, che metterebbe d'accordo tutte le anime della coalizione. E poi c'è quella ex miss Padania seno alto Cadey...».
Prego?
«Ma sì, quella ragazza che la sinistra ha assoldato per presentare la manifestazione contro Berlusconi l'11 dicembre 2010. In piazza San Giovanni a Roma, ma ci rendiamo conto, quella di Enrico Berlinguer! Perché a sinistra il problema della "gnocca" se lo sono posto. Seriamente. Decidendo di imitare il gusto Mediaset».

Allora, Berlusconi forever? «È della Bilancia, come me e Jovanotti. Quindi non mollerà mai», scherza la scrittrice Guia Soncini, autrice di Elementi di capitalismo amoroso. «Questo ritornello del Berlusconi che è finito lo sento dal 1994, bisognerebbe cambiare repertorio. Molto più inquietanti, semmai, sono quelli che gli stanno attorno. E che non scompariranno tutti magicamente, assieme a lui».

«Ora come ora, comunque, Silvio fa il democristiano: galleggia», conclude Polito. «Per dire che è finito dovrebbe uscire da palazzo Chigi. Quindi occorre una crisi di governo. Ma dov'è la maggioranza alternativa? Lui tenterà di evitare il più a lungo possibile il voto anticipato. Prima lo minacciava, ora visti i sondaggi le parti si sono capovolte, ed è la sinistra a chiederlo. Ne riparliamo almeno fra tre o quattro mesi. Ma probabilmente anche molto più in là, nel 2012».

Mauro Suttora

Thursday, April 24, 2008

Il Baratto per Santoro

IL VELTRUSCONI DELL'84 CHE PORTO' SANTORO TRA LE BRACCIA DELLA RAI

Michele torna a cavalcare l'antiberlusconismo. In un libro la storia dello scambio Walter-Silvio che fece la sua fortuna

di Mauro Suttora

Libero, 24 aprile 2008

Questa sera Michele Santoro si occuperà di camorra. Non potrà quindi ripetere il clamoroso 4-1 della scorsa settimana, quando nel suo 'Anno Zero' invitò ben quattro ospiti per il centrosinistra (Di Pietro, l'architetto Fuksas, il professor Sartori e il fisso Travaglio) contro il povero Filippo Facci, unico simpatizzante del centrodestra e fra l’altro più bravo a scrivere che a interloquire in tv.

Ma certamente quanto ad antiberlusconismo Santoro si rifarà nelle prossime settimane. Peccato, perché invece il conduttore Rai dovrebbe essere immensamente grato a Silvio Berlusconi. E non solo ricordando il triennio passato alle sue dipendenze (1996-'99), godendo di assoluta libertà per il proprio programma 'Moby Dick' (Santoro, offeso perché il presidente Rai Enzo Siciliano fece finta di non conoscerlo pronunciando la memorabile domanda "Michele chi?", migrò a Mediaset da un giorno all'altro).

In realtà Santoro è una vera e propria "creatura" di Berlusconi. Infatti, se nell'86 Raitre non fosse stata data al Pci in cambio del via libera ai canali Fininvest, lui non sarebbe mai stato chiamato a fare 'Samarcanda'. Sarebbe rimasto un oscuro giornalista-funzionario del Pci.

Ce lo ricorda un bel libro appena pubblicato: 'Il Baratto' di Michele De Lucia (ed. Kaos). È il documentatissimo resoconto di come le intese più o meno larghe fra l'allora comunista Walter Veltroni e Berlusconi siano iniziate già 24 anni fa. Nell'autunno '84, infatti, mentre ufficialmente il Pci strepitava contro lo "strapotere del piduista", Achille Occhetto e Veltroni incontrarono segretamente Berlusconi. Da un anno l'appena 28enne Walter era stato nominato capo della sezione Comunicazioni di massa del Dipartimento propaganda e informazione, che per il Pci erano un tutt'uno. E Occhetto era il suo diretto superiore.
Nell'agosto '84 la Fininvest aveva comprato per 135 miliardi dalla Mondadori il terzo dei suoi canali, Retequattro, salvandola dal fallimento. E Veltroni aveva tuonato: "Stiamo assistendo a un pesante attacco che tende a consegnare l'intero settore dell'emittenza privata nelle mani di uomini implicati nella P2 come Berlusconi".

Indignazione pubblica, ma trattative private. De Lucia infatti ricorda che lo stesso Occhetto rivelerà, anni dopo, l'abboccamento segreto con Berlusconi: "L'incontro - un po' carbonaro - avviene in un'imprecisata 'sera settembrina' del 1984, in un salotto di piazza Navona non meglio specificato, né si sa chi sia l'organizzatore-padrone di casa". Lo staff di Berlusconi è al completo. "Bravi, svegli e manager", li definisce Occhetto.
Il Pci ha appena effettuato il suo primo (e ultimo) sorpasso sulla Dc alle europee: 33,3 per cento contro il 33. "Walter e io siamo gli esponenti del più forte gruppo politico d'opposizione", racconta Occhetto. "Non che non li conoscessimo. Walter ha avuto dei contatti con un esponente del gruppo Fininvest presente all'incontro, ma li ha interrotti perché diffidavamo".
La Fininvest propone: "Si potrebbe affidare alle reti pubbliche tutta l'informazione, mentre noi trasmetteremmo e produrremmo spettacolo. Ci interessa soprattutto la fiction". Occhetto guarda Veltroni e dice: "Ma questa, Walter, è la tua proposta o sbaglio?" "Sì, in realtà è proprio quella".

Nell’ottobre ’84 i pretori di Torino, Roma e Pescara ordinano il sequestro degli impianti Fininvest perché una norma del Codice postale vieta ai privati trasmissioni tv a livello nazionale. Il presidente del Consiglio Bettino Craxi vara un decreto legge per autorizzare provvisoriamente le trasmissioni.

“Il Pci”, scrive De Lucia, “vuole approfittare della situazione per ottenere la Terza rete Rai, con annesso Tg3. (…) Nel gennaio 1985 viene raggiunto un accordo fra il governo e l’opposizione comunista sul decreto Berlusconi. Il 31 gennaio il decreto viene approvato con 262 voti favorevoli e 240 contrari. Il Pci, assicuratosi che il provvedimento avesse la maggioranza, vota no esercitando un’opposizione definita ‘duttile e morbida’.
Falce, martello, coltello, forchetta e bavaglino, nella più pura tradizione consociativa. Il 4 febbraio anche il Senato approva in extremis (il decreto sta per scadere) con 137 voti contro 15. Dopo avere garantito il numero legale durante la discussione, al momento del voto i senatori comunisti lasciano l’aula: una plateale sceneggiata per salvare le apparenze”.

Nel dicembre ’85 il Tribunale di Roma assolve in appello la Fininvest perché le trasmissioni nazionali tv non costituiscono reato. “Il 12 settembre ’86 a Milano, al Festival nazionale dell’Unità”, scrive De Lucia, “si svolge un dibattito cui partecipano Veltroni, Berlusconi, il presidente Rai Sergio Zavoli e l’editore Mario Formenton della Mondadori.
È un minuetto Pci-Fininvest, una corrispondenza di amorosi sensi. Il compagno Veltroni avverte: ‘Non ha giovato al gruppo Fininvest l’eccessivo padrinato politico dato da uno e un solo partito [il Psi, ndr]’”
Insomma: mollate Craxi, e smetteremo di attaccarvi. Berlusconi ringrazia: “Mi fa caldo al cuore l’idea che il Partito comunista, da tempo ormai, si apra alla considerazione di queste realtà con tanto senso concreto, con tanto senso pragmatico…”

Il 5 marzo ’87, infine, il nuovo consiglio d’amministrazione Rai (in cui siedono fra gli altri per la Dc Marco Follini e il futuro presidente Sergio Zaccaria) paga la cambiale promessa a Veltroni: consegna la Terza rete e il Tg3 al Pci, nominando direttore di Raitre Angelo Guglielmi e alla guida del Tg3 il comunista di lungo corso Alessandro Curzi.
Pochi mesi dopo Guglielmi affida a Santoro un programma di approfondimento: ‘Samarcanda’. L’ex maoista di Salerno, poi funzionario del Pci (“Ma litigava con tutti”, ricorda il dirigente Isaia Sales), poi giornalista del quindicinale comunista ‘La Voce della Campania’ (che dirige per un anno fino alla chiusura nell’80), poi redattore all’Unità (“Ma non ha mai scritto una riga”, ha raccontato l’ex collega Antonio Polito), infine rifugiatosi in Rai, ha successo e va avanti fino al ’92.
Poi cambia nome al programma: Rosso e Nero, Tempo Reale. Dopo la parentesi Mediaset ecco Circus, Sciuscià, ora Anno Zero. Si chiama “debrandizzazione”: un vortice di nomi, così alla fine tutti dicono: “da Santoro”. Lo stipendio lievita: 660 mila euro e rotti l’anno scorso. Ma se non ci fosse stato quel baratto Berlusconi-Veltroni 22 anni fa… Ingrato Michele.

Mauro Suttora