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Friday, December 23, 2016

Sopra la panca, Ivanka



IL PRESIDENTE TRUMP SCEGLIE LA FIGLIA COME SUO NUMERO DUE

di Mauro Suttora

settimanale Oggi, 23 dicembre 2016 

Il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump sostituirà la First Lady con la First Daughter? Sua moglie Melania non si trasferirà con lui alla Casa Bianca il 20 gennaio. Ufficialmente perché non vuole far interrompere al figlio l’anno scolastico a New York. Ma in realtà tutti sanno che all’ex modella slovena, terza moglie di Trump, la politica interessa poco. E quando ha cercato di aiutare il marito spesso ha combinato disastri. Come alla Convention democratica della scorsa estate, quando ha copiato un discorso di Michelle Obama.

La figlia Ivanka Trump, invece, è sempre accanto al presidente da quando, 40 giorni fa, è stato eletto. Addirittura partecipa assieme a lui a vertici internazionali come quello con il premier giapponese Shinzo Abe.

Finta bionda come mamma Ivana, naso e seno rifatti, tre figli, la 35enne Ivanka non si limita a presenziare. L’arrembante daughter, infatti, è capace di organizzare scherzi orrendi a politici e vip che, dopo aver insultato il padre, ora si recano in mesta processione a baciargli la pantofola nella Trump Tower di Manhattan.

La prima vittima è stato l’ex vicepresidente Al Gore, premio Nobel e Oscar. Dopo un colloquio di mezz’ora con lei e cinque minuti col padre è sceso nell’atrio magnificando le idee “ecologiste” di Ivanka. Risultato: tre giorni dopo Trump ha nominato ministro dell’Ambiente un tizio che nega il cambiamento climatico.

Poi è stato Leonardo DiCaprio a finire nella rete della furba figlia. Anche lui democratico e ambientalista militante, è andato a Canossa senza ottenere alcun risultato.

L’ultimo incredibile voltafaccia propiziato da Ivanka col marito Jared Kushner è stato quello dei big del computer. Bill Gates di Microsoft e i capi di Apple, Google e Amazon, tutti supporter di Hillary Clinton fino a novembre, si sono lanciati in un coro di adulazioni per il «nuovo John Kennedy» (così lo sprovveduto Gates ha definito Trump). «Dobbiamo collaborare con chiunque sia al potere», si giustificano i neopatrioti.

«Mio padre mi ha insegnato a colpire per prima gli avversari, così capiscono subito con chi hanno a che fare»: parola di Ivanka a David Letterman nel suo show tv pochi anni fa. La ragazza non è cambiata. E ora si appresta a trasferirsi a Washington con il “first genero” Jared per essere la principale scudiera di Donald.

Dribbleranno la legge del 1967 contro il nepotismo che vieta al presidente dinominare parenti (come fece Kennedy col fratello Bob procuratore generale), evitando di percepire compensi. A Ivanka basterà incassare i 4 milioni di dollari del suo appartamento su Park Avenue messo in vendita a New York per rientrare nelle spese.

Lei non è stupida: ha frequentato il liceo di Jackie Kennedy a Manhattan, si è laureata a 23 anni in Economia nella stessa università del padre, la Wharton business school in Pennsylvania. E il marito Kushner continuerà a fare l’eminenza grigia on line di Trump, con la sua strategia di bufale per bypassare gli odiati giornalisti.
Mauro Suttora


I POTENTI IN GINOCCHIO DAVANTI A LORO

Questa foto fa capire subito il nuovo clima che si è instaurato negli Stati Uniti verso il nuovo presidente Donald Trump. Osteggiato e insultato durante la campagna elettorale, quando nessuno pensava potesse vincere, ora i potenti di Wall Street (finanza) e Silicon Valley (computer) fanno a gara per ottenere un incontro con i Trump nella sua Tower di New York. E a tutti i vertici c’è Ivanka (qui sotto indicata dalla freccia, accanto al fratello Eric), che spesso promuove in prima persona gli incontri.

Questo, in particolare, ha visto presenti i big californiani di Apple (Tim Cook, fuori dall’inquadratura), Facebook e Amazon (Jeff Bezos, quinto da sinistra). La California ha votato contro Trump al 70 per cento, e New York all’80, ma adesso i cosiddetti “poteri forti” mettono le vele al vento, e si rassegnano a collaborare con quello che ritenevano soltanto un personaggio folkloristico. La Borsa sembra approvare: da quando Trump è stato eletto, è ai massimi storici.
Mauro Suttora


Friday, July 11, 2008

I 90 anni di Nelson Mandela

Oggi 9/07/2008

La terza vita di Mandela

i 90 anni del premio nobel per la pace sudafricano

I potenti del mondo applaudono Nelson, eroe della lotta contro il razzismo. Prima guerrigliero, poi in carcere per 27 anni, infine padre della patria saggio e non violento. Un esempio per l' Africa

di Mauro Suttora

Londra.
Di premi Nobel per la pace viventi ce ne sono parecchi: dagli ex presidenti Jimmy Carter e Mikhail Gorbaciov a Lech Walesa e Al Gore, dal Dalai Lama alla birmana Aung San Suu Kyi. Ma lui è l' unico che mette d' accordo tutti, da destra a sinistra, dal Nord al Sud del mondo: Nelson Mandela, leggenda planetaria. E così, fra tante brutte notizie, eccone una bellissima: il "nonno del Pianeta" compie 90 anni.

La data esatta del compleanno è il 18 luglio: pensate che quando lui nacque nel 1918 non era ancora finita la Prima guerra mondiale, e Hitler e Stalin erano degli sconosciuti. Il mondo gli si è stretto attorno la scorsa settimana con il concerto di Hyde Park a Londra, cui hanno assistito 46.664 spettatori. Lo stesso numero di matricola che per 27 lunghissimi anni Mandela ha portato cucito sulla propria uniforme di carcerato.

Sulle orme di Gandhi

Ripercorrere la storia della sua vita dà i brividi. Perché, come Gandhi in India, Nelson è riuscito a dare a 42 milioni di sudafricani di colore la libertà senza spargere una goccia di sangue. Certo, nella lunga lotta contro l' apartheid ci sono stati tanti massacri. Famigerato rimane quello di Soweto nel 1976: centinaia di morti fra i manifestanti neri del ghetto colpiti dai poliziotti bianchi. Ma dopo la sua liberazione, nel febbraio 1990, Mandela riuscì a condurre il proprio popolo in una lotta non violenta esemplare, che, nonostante altri scontri nel ' 92, portò alle prime elezioni libere due anni dopo. E Mandela venne eletto presidente.

La sua parola d' ordine, dopo l' uscita dal carcere, è sempre stata una sola: "Riconciliazione". Gli ex nemici, la stragrande maggioranza nera e indiana e la minoranza bianca dei cinque milioni (12 per cento) di boeri e inglesi, dovevano guardarsi negli occhi, parlarsi e perdonarsi reciprocamente. "Non c' è spazio per le vendette", ha ripetuto Mandela in questi 18 anni.

Purtroppo gli avvenimenti di questi giorni nel vicino Zimbabwe, l'ex Rhodesia del Sud dove un altro patriarca di colore, l' ottuagenario Robert Mugabe, si è trasformato da liberatore in despota, dimostrano che la lezione di Mandela non è scontata.

Anzi, quasi mai nella martoriata Africa i padri della patria hanno il coraggio di Mandela. Il coraggio di abbandonare il potere dopo averlo conquistato, così come Nelson ha fatto nel 1999. Si è ritirato lasciando spazio al nuovo presidente, Thabo Mbeki, e il Sudafrica continua a essere un' isola felice in un continente devastato da dittatori, guerre, povertà, fame e stragi.

Tutto è relativo, naturalmente. Anche il Sudafrica si trascina i suoi problemi, con la miseria perdurante nei ghetti neri, l' Aids che colpisce il venti per cento della popolazione, le stragi etniche contro gli immigrati di colore. Ma in confronto a quasi tutti gli Stati vicini (Zimbabwe, Mozambico, Angola, Congo) oggi in Sudafrica si sta bene.

Non era detto che finisse così. All' inizio, e per molti decenni, la lotta per l' uguaglianza dei neri sudafricani fu non violenta. La iniziò nel 1907 con il primo "satyagraha" ("forza della verità", un misto di digiuni e disobbedienza civile) proprio un giovane avvocato indiano emigrato nella città sudafricana di Durban: Gandhi. E lo stesso Mandela quando venne arrestato per la prima volta nel ' 56 assieme a 150 attivisti dell' African National Congress stava organizzando un boicottaggio uguale a quelli che proprio in quei mesi stava portando avanti Martin Luther King nel Sud degli Stati Uniti.

Poi però, per frustrazione e mancanza di risultati, la nuova generazione dei leader neri (Mandela, Luthuli, Tambo e Sisulu) si diede alla lotta armata. L' esempio era l' Algeria. Nel ' 61, dopo il massacro di Sharpeville (80 vittime di colore), cominciò la guerriglia con i primi attentati, e proprio Mandela era il capo dell' ala militare del movimento di liberazione. Ma fu quasi subito arrestato, e condannato all' ergastolo.

Per 18 anni questo possente erede di una famiglia reale del Transkei subì i lavori forzati in miniera a Robben Island. Poteva ricevere una sola visita e una sola lettera ogni sei mesi. Ma spesso le lettere venivano in gran parte cancellate dai censori. Ciononostante, Mandela riuscì a laurearsi in Legge per corrispondenza all' università di Londra. Nell' 81 fu perfino candidato a cancelliere dell' università, perdendo il voto contro la principessa Anna d' Inghilterra.

Intanto in tutto il mondo le campagne contro la segregazione in Sudafrica si rafforzavano. Il regime dell' apartheid subiva il boicottaggio economico decretato dall' Onu, e la parte più avveduta della minoranza bianca premeva per un' apertura.

Nell' 82 Mandela fu trasferito in un' altra prigione, e tre anni dopo il presidente razzista Botha gli offrì la libertà in cambio della rinuncia alla lotta armata. Mandela rifiutò, ma ormai la trattativa era aperta. E nel ' 90, scomparsa la minaccia comunista, il nuovo presidente bianco De Klerk lo liberò: un gesto coraggioso, che valse anche a lui il premio Nobel con Mandela nel ' 93, nove anni dopo quello al vescovo sudafricano Desmond Tutu.

Winnie, moglie arraffona

La terza vita di Mandela, quella da statista e padre della patria, non è stata esente da scandali e ombre. Innanzitutto quelli provocati dalla seconda moglie Winnie, arraffona e arrivista, da cui Nelson dovette divorziare nel ' 96. Due anni dopo, proprio nel giorno dell' 80° compleanno, si è risposato con l' attuale moglie, Graça Machel, vedova dell' ex presidente mozambicano suo amico.

Poi c' è stata la disputa sull' Aids, che per troppo tempo il governo sudafricano ha sottovalutato, ritenendolo quasi un' invenzione dell' Occidente. Infine, non si può dire che dopo la parità dei diritti politici i neri sudafricani abbiano ottenuto anche la parità economica con i bianchi. Le periferie di Città del Capo, Durban e Johannesburg sono ancora ghetti poveri e violenti. Ma ormai Mandela fa parte della storia.

riquadro:

Il figlio morto di Aids

PURTROPPO C' È VOLUTA LA MORTE DEL FIGLIO DI 54 ANNI, MAKGATHO, NEL 2005 PER FAR CAPIRE A MANDELA E A TUTTO IL SUDAFRICA LA TRAGEDIA DELL' AIDS. FINO AD ALLORA, INCREDIBILMENTE, I GOVERNANTI DI UN PAESE IN CUI UN ABITANTE SU CINQUE È SIEROPOSITIVO, E I MORTI PER LA MALATTIA SONO 600 AL GIORNO, LA MINIMIZZAVANO E CONSIGLIAVANO DI CURARLA CON LE ERBE DELLA SAVANA. MA IL TABÙ È STATO INFRANTO DA MANDELA, CHE COLPITO COSÌ INTIMAMENTE HA AMMESSO L' ERRORE. IN AFRICA 30 MILIONI DI PERSONE HANNO CONTRATTO IL VIRUS DELL' AIDS. IL 60 PER CENTO SONO DONNE.

Mauro Suttora