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Sunday, February 25, 2024

Cancellate piazze o medaglie per Tito, ma non la storia
















La destra italiana vuole togliere al maresciallo Tito l'onorificenza della Repubblica che l'Italia gli conferì nel 1967. La disputa appartiene al folklore simbolico. Ma una seria e imparziale analisi storica sulle sue imprese non può che essere impietosa

di Mauro Suttora

Huffingtonpost.it, 26 febbraio 2024

A Lubiana la via principale era dedicata al maresciallo Tito. Ma subito dopo l'indipendenza della Slovenia, nel 1991, il nome dell'ex presidente jugoslavo fu cancellato e la strada ribattezzata "via Slovenia". Nella capitale croata Zagabria, invece, la centrale piazza Tito è sopravvissuta fino al 2017. E quando cambiò di nome, con soli 26 voti contro 20, l'ex presidente croato di sinistra Ivo Josipović plaudì la decisione di conservarne le vecchie targhe in un museo: "Così potremo rimetterle dopo che vinceremo le prossime elezioni".

Fortunatamente per gli abitanti della piazza questo non è accaduto. Immaginate il fastidio di dover cambiare il proprio indirizzo a ogni cambio di governo. Notevole comunque il ritardo della Croazia rispetto alla Slovenia nell'applicare la 'cancel culture', nuovo nome à la page per il revisionismo storico. Zagabria infatti riuscì a emanciparsi dalla Jugoslavia serbofasciocomunista di Slobodan Milosevic solo dopo una guerra sanguinosa (100mila morti) e lunga (tre anni, 1992-95); Lubiana invece se la cavò con un conflitto di nove giorni e 62 vittime.

L'ottimo Ugo Magri critica  la destra italiana che vuole togliere a Tito non il nome delle poche vie italiane che gli sono dedicate (in tre capoluoghi di provincia - Parma, Reggio Emilia, Nuoro - e una decina di paesi), ma l'onorificenza della Repubblica che l'Italia gli conferì nel 1967. Tutto il mondo libero anticomunista in realtà rispettò il dittatore comunista fino alla sua morte nel 1980. Al suo funerale partecipò perfino Maggie Thatcher. Ci faceva infatti comodo avere uno stato cuscinetto che ci separasse dal blocco sovietico, cui Tito si era ribellato nel 1948.

Se le damnatio memoriae toponomastiche spiacciono solo a chi deve mutare domicilio, c'è da scommettere invece che il dibattito sul cavalierato a Josip Broz detto Tito scatenerà i nostri nostalgici fascisti e comunisti. Quanti anni devono passare per sottrarre la storia alla polemica politica contingente? Perché la revoca dell'onorificenza al fondatore della Jugoslavia comunista può apparire oziosa o balzana.

Tuttavia il giudizio storico su Tito non può essere assolutorio, in nome di una realpolitik che valeva finché il satrapo ci era utile, ma non deve proseguire nei decenni. Innanzitutto per rispetto verso gli jugoslavi stessi: la guerra civile jugoslava 1941-45 fu, con i suoi due milioni di morti, la più sanguinosa d'Europa. E la responsabilità di tanta ferocia non fu solo degli occupanti tedeschi e italiani, ma anche dei due capi jugoslavi: il fascista croato Ante Pavelić e il comunista Tito. 

Gli italiani lamentano 15mila fra infoibati, fucilati e desaparecidos. Ma le foibe furono arma usuale dei titini, con 100mila sloveni e croati, anche civili, inghiottiti vivi nei burroni carsici.

Sempre in tema di percentuali, è bene precisare che l'occupazione italiana fece 20mila vittime: solo l'1% del totale. Con 16mila morti e dispersi fra i soldati italiani. Perché in guerra le si prende e le si dà. 

Insomma, senza assolvere Mussolini che attaccò la Jugoslavia, non scambiamo Tito per uno statista. Ruppe con Mosca? Anche la Cina di Mao lo fece. Non allineato? Anche Nicolae Ceausescu in politica estera si distingueva per la fronda contro l'Urss. Ma all'interno opprimeva la sua Romania come Stalin la sua Urss e Tito la Jugoslavia. Stesse purghe contro i capi comunisti 'devianti': il maresciallo incarcerò il delfino Milovan Gilas, e sgominò la Primavera croata di Savka Dabcević nel 1971 come quella cecoslovacca.

Si dice infine: gran merito di Tito l'aver mantenuto la Jugoslavia in pace per 40 anni. Morto lui, sono riesplosi i nazionalismi balcanici. Bella forza: tutte le dittature mantengono la pace. Quella dei cimiteri. È vero il contrario: come una pentola a pressione, la repressione titina ha aggravato le tensioni fino allo scoppio della seconda guerra civile degli anni 90. 

Insomma: la disputa sulla medaglia italiana a Tito appartiene al folklore simbolico. Ma una seria e imparziale analisi storica sulle sue imprese non può che essere impietosa. Slovenia e Croazia ci sono già arrivate da tempo.


Saturday, April 25, 1987

Jugoslavia spaccata: Slovenia e Croazia

LA LEGA DEI CONSUMISTI

Europeo, 25 aprile 1987

Inchiesta: i paesi dell'est nell'era di Gorbaciov.
Benedetta primavera/Jugoslavia, i figli di Tito non sono tutti uguali

I friulani che affollano il casinò di Nova Gorica. Lubiana l'austriaca. Zagabria la mitteleuropea. Nel ricco Nord della federazione c'è un modo per battere la crisi. Spendere

di Mauro Suttora

"Vincitrì! Diopoi, atu viodut?" ("Ventitre! Diobuono, hai visto?"). La pallina della roulette si è fermata sul 23. Il grifagno croupier sloveno spazzola impassibile il tappeto verde. E il friulano trentenne col giaccone di similpelle invoca Dio dopo aver perso tutti i gettoni. Il casinò di Nova Gorica è il più economico d'Europa. Si entra in jeans, senza cravatta, basta pagare 5mila lire. Arrivano soprattutto gli arricchiti friulani: commercianti di Udine, mobilieri di Manzano, contadini scesi dalle valli del Natisone.

Nessun jugoslavo: "Per noi i giochi d'azzardo sono vietati", mi spiega Ales Komavec, dirigente della sala da gioco. L'idea di aprire un casinò "strangers only" è venuta un anno fa ai 400 dipendenti della Hit, una delle migliaia di imprese autogestite jugoslave. Hit sta per "Hoteli, igralnica, turizem", igralnica vuole appunto dire casinò. È una specie di azienda di soggiorno, della parte slovena di Gorizia (22 mila abitanti, mentre la città italiana ne fa 55 mila), che gestisce tre alberghi e molti negozi. Risultato: un successo strepitoso, pienone tutte le sere.

Komavec non vuole fornirci i dati degli incassi, ma ci fa capire che gli affari vanno a gonfie vele. Vanno così bene che da un anno all'altro con i soldi degli italiani i dipendenti della Hit si sono raddoppiati gli stipendi. Adesso un croupier, mance comprese, arriva a guadagnare l'equivalente di un milione di lire. Poco, in confronto ai tre-sei milioni al mese dei colleghi italiani. Ma molto rispetto alla media jugoslava.

Cominciamo il nostro viaggio nella Jugoslavia della crisi da Nova Gorica, da questa isola felice dove l'autogestione permette ai dipendenti di un'azienda, se gli affari vanno bene, di aumentarsi subito gli stipendi. E di litigare fra loro: infatti ai 75 lavoratori del casinò non piace dividere il guadagno con gli altri 300 colleghi, baristi o cameriere della Hit, che le fiches non le hanno mai viste.

Alla frontiera di Gorizia ci si accorge subito del salto di ricchezza fra Italia e Jugoslavia: fino a pochi anni fa per comprare un dinaro ci volevano trenta lire, adesso ne bastano due. Ma ormai anche quello ufficiale è un tasso arbitrario: al mercato nero lira e dinaro si cambiano alla pari. Più che confine fra Est e Ovest, questo è oggi un confine con il Medio Oriente.

Certo, la Slovenia è di gran lunga la più ricca fra le repubbliche jugoslave, e la sua aspirazione a entrare nella Cee non è campata in aria: ha un reddito pro capite superiore a quello della Grecia, pari a quello spagnolo. Ma la zavorra del Sud (Macedonia, Kosovo) e i costi della burocrazia tirano giù anche le efficienti Slovenia e Croazia.
La Jugoslavia è, insomma, un Paese diviso in due. Nessuna meraviglia, allora, se il razzismo interjugoslavo aumenta, se gli sloveni considerano "turchi" macedoni e albanesi, e se spesso i numerosi immigrati bosniaci vengono presi a sassate.

Gorizia è la nostra piccola Berlino. Dal 1945, dopo la guerra persa dall'Italia, il confine jugoslavo ha incorporato la stazione e alcuni quartieri periferici. Nova Gorica, a Est, è una città nuova, costruita negli ultimi decenni, con molto verde e palazzi alti. Al centro, vicino al casinò, ci sono un'isola pedonale e un centro commerciale che potrebbero sembrare scandinavi se l'incuria balcanica non facesse invecchiare tutto precocemente.

La frontiera di Gorizia è sempre la più aperta fra le due Europe, sembra quasi di passare dall'Olanda al Belgio: niente filo spinato, solo una tranquilla cancellata verde alta due metri. Agli abitanti locali non serve il passaporto e neanche la carta d'identità: per andare a far benzina (700 lire in Jugoslavia) basta la "propusniza", un lasciapassare che permette un viavai continuo. Adesso poi, con i nuovi numeri nero su bianco, le targhe delle macchine italiane si confondono con quelle slave: GO per Gorizia, GO per Nova Gorica. C'è solo una stellina rossa in più sulle targhe jugoslave. La vera differenza sta nella cilindrata: al di là del confine sono le R4, le 126 e le vecchie 600 a farla da padrone.

Prendiamo la corriera per Lubiana, capitale della Slovenia. Il pullman è pieno di studenti, contadine e soldati di leva col cappottone fuori misura. La radio trasmette cronache entusiaste per le imprese degli sciatori jugoslavi alla Coppa del mondo di Sarajevo, inframmezzate da canzoni dei Dire Straits. Alcuni tratti della strada statale sono in pavé e cemento: un lascito dell'impero austriaco? Una delle prime ferrovie del mondo fu, nel 1848, proprio quella fra Vienna e Lubiana, allora capitale della provincia della Carniola. Oggi invece gli sloveni accarezzano il progetto del traforo autostradale sotto le alpi Caravanche, per collegare Lubiana a Klagenfurt. E in genere vanno in visibilio per tutto ciò che li unisce al Nord austriaco, italiano e anche bavarese.

È una questione molto delicata: Stane Kavcich, allora capo del governo sloveno, fu vittima dell'ultima purga del maresciallo Tito negli anni Settanta proprio perchè accusato di "voler annettere la Slovenia alla Cee e alla Baviera di Strauss". Niente da fare: i due milioni di sloveni, orgogliosi della propria lingua (una delle quattro ufficiali della Jugoslavia, con croato, serbo e macedone), continuano a fare di testa loro. C'è bisogno di uno slogan turistico? Eccolo subito pronto, fatto apposta per suscitare le ire dei meridionali: "Slovenia, terra a sud delle Alpi". C'è una rassegna teatrale? La organizza la comunità Alpe Adria, che unisce Slovenia e Croazia alle austriache Stiria e Carinzia, al Friuli, al Triveneto e alla Baviera.

Boschi, boschi e boschi: le valli attorno a Lubiana sono tutte verdi, ma le conifere anche qui sono rovinate dalle piogge acide. La Jugoslavia alla frontiera regala all'Italia un Isonzo limpidissimo, verde azzurro. Ma l'acqua è meglio non berla, perchè anche in Slovenia le industrie scaricano nei fiumi. I duecentomila abitanti di Lubiana, poi m, sono particolarmente sfortunati, perchè la loro città sorge in una conca poco ventosa: sono costretti a respirare una miscela micidiale di nebbia e carbone, ancora molto usato per il riscaldamento.

Lubiana non è in Jugoslavia. Lubiana è in Austria. I 500 anni di dominio asburgico pesano più degli ultimi 70 di faticosa unione con gli jugoslavi, letteralmente "slavi del Sud". L'architettura del centro cittadino profuma di Mitteleuropa, i marciapiedi sono puliti più che a Trieste. Nessuna minaccia separatista, intendiamoci, e poche nostalgie per l'imperatore Francesco Giuseppe. Il quotidiano principale della Slovenia, Delo, esibisce sulla testata il motto marxista "Proletari di tutto il mondo unitevi", e non c'è traccia di opposizione politica esterna al partito unico.

Ma quelle vetrine con i completi di Missoni nella via principale, quei locali con i nomi americani, quei film e quei libri alla portata di tutti, perfino quelle facce di borghesi grassi che mangiano allegri al ristorante Privitezu ci dicono tre cose: primo, che è lontana l'epoca dell'hotel Slon, dove gli agenti segreti di Tito controllavano gli stranieri; secondo, che i comunisti sloveni stanno vivendo una fervida stagione di ripensamenti ideologici; terzo, che la bancarotta jugoslava tocca solo marginalmente il Nord.

"Vuoi capire il succo del problema oggi in Jugoslavia?", mi chiede Sreco Zajc, giornalista del settimanale frondista Mladina al tavolo del fumoso bar Union pieno di giovani.
"Guarda quei due tavoli". In uno ci sono due militari di leva, "meridionali", capelli corti, sguardo smarrito, figli di contadini. A quello vicino è seduta una coppia di universitari di Lubiana. Alteri, belli, biondi, uguali a tutti gli universitari di questo mondo, con i loro occhiali e le loro sigarette.
"Ecco la differenza: mentre la Slovenia è già arrivata alla quinta generazione di lavoratori industriali, le altre repubbliche sono alla prima o alla seconda. Naturale che gli sloveni siano insofferenti. Il governo di Belgrado non può adottare le stesse misure per tutta la Jugoslavia. Qui da noi, per esempio, non c'è disoccupazione. Il rischio è che per salvare il paese dal collasso economico Belgrado adotti le maniere forti".

Loredana Panariti, ricercatrice italiana di storia all'università di Lubiana, vorrebbe una semplificazione della burocrazia: "La mia pratica per la borsa di studio è andata avanti da aprile a settembre, ho dovuto raccogliere una quantità inverosimile di documenti". Il compagno di Loredana si chiama Lloyd, ha 28 anni, viene dal Montenegro e ha gli occhi azzurri: "Mio padre mi ha chiamato così in onore del premier inglese Lloyd George".
Gli inglesi sono stati i migliori alleati dei partigiani di Tito nell'ultima guerra, e Tito li amava più dei sovietici. La storica rottura con Stalin, nel 1948, avvenne anche per una frase dell'allora primo ministro Milovan Gilas (che dal 1954 ha rotto con Tito e ha fatto otto anni di prigione): "Gli ufficiali inglesi hanno più senso morale di quelli russi".

Lloyd lavora come chimico al laboratorio dell'università e ha un ottimo stipendio: circa 600mila lire italiane al mese. L'università esegue lavori per l'industria, anche estera, e a Lloyd la Bosch tedesca aveva proposto di andare a fare rilevazioni in Algeria. Lui ha rifiutato "perchè qui guadagno di più". Infatti i prezzi sono bassi, e gli orari (si lavora dalle sette alle tre del pomeriggio) permettono una miriade di doppie attività: non si spiega altrimenti la pazienza di un Paese dove il reddito reale si è dimezzato negli ultimi otto anni.

A Lubiana poi ci sono anche molti ricchi: alcuni papaveri della nomenklatura, ma soprattutto i negozianti e gli artigiani che hanno un'attività privata. Al venerdi pomeriggio prendono la Mercedes e vanno nel "vikend", che sarebbe la villa per i week end, sulle Alpi o al mare in Istria. Se sono giovani, la sera vanno a ballare nella discoteca Valentino, immersa nel verde del parco Tivoli, oppure fanno viaggetti a Graz e in Italia. Parlano tutti un ottimo inglese, che i licei jugoslavi insegnano meglio di quelli italiani. Obbligatori anche una seconda lingua straniera, un'altra lingua nazionale jugoslava e l'alfabeto cirillico (usato in Serbia, Montenegro e Macedonia).

Le mete più pubblicizzate dalle agenzie di viaggi sono Fatima e "Lurd": in Slovenia (e Croazia) dopo 40 anni di ateismo ufficiale ci sono un 80 per cento di credenti e un 60 per cento di praticanti. Le chiese sono affollate, alla domenica offrono tre messe pomeridiane: alle quattro, alle sei e l'ultima alle nove e mezzo.

"Sacrifici? Certo: compro meno libri, non posso permettermi il personal computer, niente nuova macchina, pochi viaggi", dice il giornalista Zajc. "Ma sono felice di vivere in Slovenia, non c'è paragone con il resto della Jugoslavia. Politicamente, poi, rispetto a tre anni fa qui il cambiamento è enorme: non c'è più paura di esprimere le proprie idee, la gente scrive lettere ai giornali..."

Zagabria

I 120 chilometri di treno in prima classe fra Lubiana e Zagabria costano duemila lire. Nella stretta valle della Sava passano l'Orient Express e tutti i treni internazionali. A Krsko, vicino alla frontiera fra Slovenia e Croazia, la ferrovia lambisce l'unica centrale atomica jugoslava. Poco prima della catastrofe di Chernobyl il governo di Belgrado aveva deciso l'acquisto dall'Unione Sovietica di quattro centrali di quello stesso modello, il cui sistema di raffreddamento è d'altronde prodotto da un'impresa jugoslava, la Energoinvest della Bosnia. Decisione improvvida, e quindi rimasta segreta. Così come segreto era il piano di localizzazione delle 11 centrali jugoslave, reso pubblico a fine marzo dal settimanale zagabrese Danas: tre in Dalmazia, sul mare, le altre tutte in prossimità della Sava.
"La cooperazione tecnologica con l'estero", avverte in proposito Sreco Zajc, "è importantissima per la Jugoslavia. Se si dovesse rafforzare il legame con l'Urss, settori delicati di ricerca avanzata cadrebbero sotto il segreto militare, rafforzando il potere dell'esercito. È anche per non avere una ricerca mi mlitarizzata che vogliamo aderire al progetto Eureka dell' mEuropa occidentale".

Al confine fra Slovenia e Croazia il treno si ferma in mezzo alla campagna per cambiare locomotiva: rito assurdo e ineluttabile che si ripete a ogni frontiera delle sei repubbliche e due regioni autonome che compongono la Jugoslavia . La vecchia stazione imperialregia di Zagabria è in rifacimento, ma tutta la città è un cantiere. In luglio infatti la capitale della Croazia ospiterà le Universiadi, e questo per la Jugoslavia è un avvenimento importantissimo, paragonabile solo alle Olimpiadi bianche di Sarajevo del 1984.

Lo scoiattolino azzurro , simbolo delle Universiadi, occhieggia dalle vetrine di ogni negozio, dai poster sui muri, perfino dalle scatolette col sapone negli alberghi. Il clima di mobilitazione civica per l'avvenimento sportivo contrasta con la crisi economica, che a Zagabria ha provocato numerosi scioperi nelle fabbriche. Ma qui, al contrario che in Slovenia, il governo comunista è ortodosso, e si guarda bene dall'approfittare della crisi per chiedere maggiore autonomia economica e ideologica: bruciano ancora le ferite dell'epurazione compiuta da Tito 15 anni fa. A Zagabria tutti, anche i giovani, hanno la memoria lunga e amano la storia. Ma soprattutto la propria storia: quella della Croazia.

"Vedi quel re a cavallo?", mi chiede fiera Marina Simich, 27 anni, studentessa di etnologia, indicando il monumento che domina la piazza della stazione. "È Tomislav, fondatore dello Stato indipendente croato nell'anno Mille. Per noi è molto importante".
Dal 1527 al 1918 la Croazia ha fatto parte dell'impero asburgico, ed era l'estremo baluardo di fronte alle incursioni ottomane. Quando, fra le due guerre mondiali, si è ritrovata dentro alla Jugoslavia dominata dalla Serbia, peggio che peggio: i nazionalismi si esasperarono e portarono nel 1941 alla Croazia indipendente di Ante Pavelic, vassallo dei nazisti e capo della estrema destra Ustascia. Contro di lui combatterono sia i partigiani di Tito, sia i serbi "cetnici" di Draza Mihajlovic, i quali contemporaneamente si sterminavano fra loro.

Dalla carneficina (in Jugoslavia ci sono stati quasi due milioni di morti su 15 milioni di abitanti nella seconda guerra mondiale, contro i 400 mila italiani) è emersa la grossa personalità di Tito, l'unico che offriva una proposta federalista con il mastice dell'ideologia comunista, e che dopo il 1948 ha dato agli jugoslavi anche una forte identità internazionale, prima rompendo con l'Urss e poi fondando il movimento dei non allineati.

Le cicatrici interne sono rimarginate? Forse. Oggi Zagabria fornisce di sè una bella immagine. Nonostante la crisi economica i caffè della città alta sono pieni di giovani ogni sera, i numerosi tram trasportano quantità incredibili di persone durante l' mora di punta, dalle due alle quattro del pomeriggio, quando chiudono scuole, uffici e fabbriche, e fino alle otto di sera i negozi del centro sono affollati.

La vita culturale è intensa: teatro, opera, musica da camera e concerti, una miriade di mostre d'arte e della nuova grafica croata. Il 2 aprile sono arrivati gli Spandau Ballet: costo del biglietto 4mila dinari, 8mila lire che i giovani della Masarykova, la strada degli artisti e dei bohemien, non hanno faticato a reperire. Insomma, sotto austerità ci si può anche divertire. 
"Con l'inflazione al 130 per cento l'unica soluzione è risparmiare in valuta estera, o spendere subito tutto. Tenere i soldi in banca non conviene", spiega un primario cardiologo di Zagabria.

Zeljka Kontent, 28 anni, laureata in legge, è procuratrice legale dell'Ina, la più grossa azienda petrolifera croata. Guadagna 550mila lire italiane al mese. "Vivo con una mia amica, ma la maggioranza dei miei coetanei sta con i genitori: un po' per risparmiare, un po' perchè a Zagabria non si trova casa. All'Ina non ci sono stati scioperi. Io ho fatto la delegata sindacale per due anni, appena assunta: dicevano che bisogna ringiovanire, e allora mi hanno eletta. Ma la politica non mi interessa".

Seguiamo Zeljka alle prove del coro Joza Vlahović, dove lei va tre sere alla settimana: la sede è in una delle sale più deliziose di Zagabria, al primo piano della Kamenita Vrata, la "porta di pietra ?" che apriva la città vecchia verso Est. Il coro ha un'ottantina di persone, in maggioranza giovani. Lo dirige da 40 anni il maestro Emil Cossetto, figlio di un triestino che le persecuzioni fasciste fecero fuggire a Zagabria: "In città ci sono 80 cori, ma questo è il primo che si costituì dopo la Liberazione"  Il repertorio è diviso a metà: primo tempo folk slavo, secondo tempo classici, da Palestrina a Bach.

Viaggia per tutta Europa , il coro Vlahovic, e colleziona coppe e medaglie nei festival ai quali è invitato. "Alla fine degli anni Cinquanta, con l'arrivo della tv, la musica popolare e il nostro coro attraversarono un brutto periodo, ma poi è rifiorito l'interesse", racconta il maestro Cossetto, e sembra di sentir parlare un personaggio dello Scherzo di Milan Kundera. I giovani dopo le prove vanno in osteria e anche lì continuano a cantare, passando indifferentemente da un Agnus Dei a Milan moi, canto dalmata.

Dall'altra parte della città trasmette Radio 101, quella degli studenti. Solo rock e notiziari. È costata allo Stato 120 milioni di lire nel 1986, e altri 120 milioni li ha con la pubblicità. Rock inglese, Smiths e U2, ma anche rock jugoslavo: i migliori gruppi sono i Lacni Franz di Maribor (Slovenia) , i Film di Zagabria e gli Ekatarina Velica di Belgrado . Così sono tutti contenti: sloveni, croati e serbi.

E allora, che fine farà mai questa Jugoslavia senza Tito? Che fine faranno i suoi venti miliardi di dollari di debiti, eredità degli ultimi anni spendaccioni del maresciallo? Solo per pagare gli interessi ogni anno finiscono alle banche occidentali i due miliardi di dollari di entrate del turismo. 
Quanto a Michail Gorbaciov, negli ultimi mesi ha invitato al Cremlino i capi della Lega dei comunisti. Da che parte pencolerà la neutrale Jugoslavia nei prossimi anni? Basterà offrirle soldi per averla dalla propria parte?

Per adesso il problema pratico più grosso, per questi nostri sconosciuti vicini , oltre a quello di far quadrare i conti a fine mese , e' quello di stipare le banconote da 5 mila dinari dentro al portafoglio . Sono il taglio piu' grosso in circolazione , ma valgono si' e no 10 mila lire . Se non vuole suscitare sgradevoli ricordi di Weimar , il governo fara' bene a stampare al piu' presto nuovi tipi di banconote . Comunque , nelle banche si sono gia' attrezzati . Ad ogni sportello e' arrivato l' ultimo grido della tecnologia jugoslava : la macchinetta contabanconote.

Mauro Suttora