Wednesday, April 20, 2022

Neanche San Chomsky fa il miracolo: l'Ucraina frantuma la sinistra radical

di Mauro Suttora

Le armi a Kiev dividono famiglie storiche: Anpi, sindacato, ex e post comunisti. Ora il loro totem divide anche i no global. Convergenze rossobrune

HuffPost, 20 Aprile 2022

Oltre alle macerie dell'Ucraina, ecco quelle della sinistra. Oggi il 93enne Noam Chomsky, nume dei sessantottini libertari nella trinità Marcuse-Chomsky-Illich, dice al Corsera che "Zelensky dimostra grande coraggio e integrità nel guidare la resistenza ucraina, eroica e pienamente giustificata contro l'aggressione omicida" di Putin. Non condona il suo bersaglio storico, gli Stati Uniti, ma prende posizione netta. Invece metà sinistra, in Italia e nel mondo, accusa anche Usa e Nato, e soprattutto è contraria a mandare armi all'Ucraina.

Famiglie ideologiche come quella di Lotta Continua si spaccano: Erri De Luca, Manconi, Lerner e Sofri con gli ucraini armati; Guido Viale, Liguori e Capuozzo assai dubbiosi. E anche dentro l'Anpi un'invalicabile linea di faglia separa il presidente Pagliarulo dal presidente onorario Smuraglia.

A peggiorare le cose e a sparigliare le carte, poi, c'è l'oggettiva convergenza rossobruna. I fascisti sono quasi tutti putiniani, anche se qualche movimentista di Casa Pound è partito per combattere al fianco degli ucraini. E pure gli estremisti di sinistra, da Fratoianni a Rizzo, detestano Zelensky. Attore come Reagan.

Eppure Putin non è una bestia nuova. Prima di lui, trent'anni fa, per primo il presidente serbo Milosevic assommò in sé il nazionalismo di estrema destra e l'eredità del comunismo titoista. Cosicché gli orfani dell'Urss si trovarono a fianco dei fascisti nel condannare le bombe Nato sulla Serbia dopo la strage degli 8mila bosniaci a Srebrenica (1995) e la tentata pulizia etnica su 800mila kosovari (1999). Scatenata pure la Lega: "Meglio Milosevic di Culosevic", fu il fine slogan omofobo di Bossi contro i radicali di Pannella e Bonino, che proprio in quegli anni '90 inventarono il Tribunale internazionale per i crimini di guerra.

Poi arrivò il movimento noglobal contro il neoliberismo (Seattle 1999, Genova 2001), e l'imbarazzante alleanza fra opposti estremismi si replicò. Dai fascisti anni '80 di Terza Posizione arrivava la polemica terzista contro le élites cosmopolite mondialiste: "Abbasso il comunismo, ma anche il capitalismo liberale". A loro si sommava la sinistra antagonista di centri sociali ed ex autonomia, fino a tute bianche, anarchici insurrezionalisti e black block. E anche nei noglobal si inserivano i leghisti, con il localismo delle piccole patrie, e perfino una spruzzatina di ecologia (il mito del km zero contrapposto ai container in arrivo dalla Cina). 

L'antiamericanisno rossobruno riesplode nel 2003 contro l'invasione bushiana dell'Iraq, e nel 2011 contro la nofly zone di Obama in Libia. Sono questi, ancor oggi, i caposaldi della propaganda putiniana: "Biden vuol far fare a Putin la fine di Saddam e Gheddafi". 

Ma gli anti-Usa a prescindere accusano Washington sia quando interviene, sia quando non lo fa: i cospirazionisti di destra e sinistra infatti riescono ad addebitare a Obama e a Hillary anche il mancato intervento in Siria nel 2013. Nel frattempo nascono i grillini in Italia, i trumpiani negli Usa. E inventano un complotto ancor più spericolato: gli Usa avrebbero addirittura "creato", o almeno favorito, l'Isis. Sconfitto poi dall'ottimo Putin.


Il problema è che tutte queste fantasie, fino a vent'anni fa confinate nei deliri di qualche rivista o sito complottista, sono diventate maggioritarie nel mondo libero: in Usa con la vittoria di Trump (2016), in Italia con i gialloverdi (2018), in Francia una settimana fa con Le Pen, Zemmour e Melenchon, i quali sommati superano il 50%. Infine due anni di rivolta novax, nomask, nolockdown, nopass e notutto hanno centrifugato nostalgici fascisti e comunisti, grillini e leghisti in un rifiuto permanente della realtà, che si è trasferito tal quale (come tutti i rifiuti, di cui Guido Viale è studioso) sull'Ucraina. 

Per cui ora i putinisti fanno le vittime come le pittime di De Andrè, ma il mainstream di cui si lamentano ormai sono loro: lo dimostrano i sondaggi, che li danno in parità (40 a 40%) sulle armi a Zelensky, e in maggioranza assoluta contro l'aumento delle spese militari. 

Alla sinistra in pezzi non resta che sparire (come i comunisti e socialisti greci e francesi) o aggrapparsi a demagoghi tipo Melenchon. Così in Italia, dopo le fallimentari rifondazioni comuniste e liste Ingroia o Tsipras, ora rischiamo un bel poker di rimescolamento Di Battista-Paragone-Orsini-Fusaro. Perché, come cent'anni fa con Mussolini, le estreme si toccano. Dietro la schiena.

Mauro Suttora 

Monday, April 18, 2022

Quando Bob Dylan cantava: "Attendono tranquilli che il bullo si addormenti..."



Dal premio Nobel, oltre a "Blowin' in the wind", parole dure e taglienti contro tutti i Signori della guerra. E quelli che restano a guardare

di Mauro Suttora

HuffPost, 18 Aprile 2022

"Spero che moriate, e che la vostra morte arrivi presto/
Seguirò la vostra bara nel pomeriggio pallido/
Veglierò mentre vi calano nella tomba/
E starò lì finché sarò sicuro che siate morti".

Questa è l'invettiva che Bob Dylan scagliò contro i 'Masters of war', i Signori della guerra come Putin. Per niente pacifista. Eppure esattamente sessant'anni fa, nell'aprile 1962, il premio Nobel cantò per la prima volta la sua 'Blowin' in the wind' in un folk club di New York. Quello che divenne l'inno della pace cantato in tutti i cortei e le chiese del mondo si limita a porre domande: "Quante volte devono volare le palle di cannone prima di essere proibite per sempre? Quante morti ci vorranno prima di capire che è morta troppa gente?
La risposta, amico mio, soffia nel vento".

Innocua, ecumenica.
 Nello stesso lp, però, Dylan è meno nonviolento e assai più preciso nelle sue accuse:
"Signori della guerra, vi nascondete dietro ai muri e le scrivanie, ma io vedo attraverso le vostre maschere/
Giocate col mio mondo come se fosse un vostro giocattolo, mi mettete un fucile in mano e sparite, vi voltate e fuggite quando le pallottole volano/
Come Giuda mentite e ingannate [...], caricate le armi per far sparare gli altri, poi vi sedete e guardate mentre il conto dei morti sale/
Vi nascondete nei vostri palazzi, intanto il sangue dei giovani scorre fuori dai loro corpi ed è sepolto nel fango".

Il 21enne Dylan è sicuro: "Neanche Gesù perdonerebbe quel che fate". E completa il trittico antimilitarista del disco 'Freewheeling' (A ruota libera) con l'incubo della guerra nucleare 'A Hard rain's gonna fall', Una dura pioggia (radioattiva) cadrà. 

Nel 1964 esce 'With God on our side', Con Dio dalla nostra parte, che oggi può essere dedicata al patriarca ortodosso di Mosca Cirillo, così entusiasta per l'invasione dell'Ucraina: "Se Dio è dalla nostra parte, fermerà la prossima guerra". 

Ma forse la canzone di Dylan che meglio descrive Putin (e i nostri putinisti) risale al 1983, nel disco 'Infidels': 'Neighborhood bully'. Lui la dedicò a Israele, suscitando polemiche, ma è perfetta anche adesso: 

"È circondato da pacifisti che vogliono solo la pace, che pregano perché lo spargimento di sangue finisca/ Loro non farebbero male a una mosca, attendono tranquilli che il bullo si addormenti/ 
È il bullo del quartiere".


Friday, April 15, 2022

Nel circo dei talk spunta un nuovo saltimbanco: il giornalista russo di regime












E mentre gli ospiti in studio rispondono alle loro panzane, i cronisti di Putin sfoderano smorfie sarcastiche, scuotendo la testa meglio di uno Scanzi

di Mauro Suttora 

HuffPost, 15 Aprile 2022

Finché i talk tv invitavano personaggi pittoreschi, pazienza. Da Mauro Corona in su, pare che il folklore faccia audience. E quindi avanti con gli Orsini, le De Cesare, i Freccero. Per alcuni putiniani può starci l'insinuazione o illazione che non lo facciano totalmente gratis, come il figlio del leggendario Teti editore filosovietico del Calendario del popolo. 

Ma è dura trovare contraddittori seri per i dibattiti sull'Ucraina. Al massimo ci si può adagiare su anti-Usa automatici come Vauro, o su anti-Nato di nuovo conio come Travaglio. Insomma, capiamo la difficoltà di chi deve assicurare scintille allo spettacolo del circo tv, senza scivolare completamente nello zoo.

Era quindi sembrata un'ottima idea invitare giornalisti russi, per assicurare un contraddittorio. Perciò l'ottima Gruber si è lanciata in collegamenti con Mosca, e ci sono apparse le facce di croniste anche spigliate, senza la "lingua di legno" degli apparatchik governativi. 

Lilli all'inizio era cordiale, forse in omaggio a una certa sorellanza femminista: "Diamoci del tu, siamo colleghe". Il problema è che loro, quando hanno cominciato a parlare, hanno subito smentito una qualsiasi colleganza. Si sono lanciate nella più pura e noiosa propaganda di regime, senza una minima sbavatura rispetto alle veline del portavoce Peskov. Anzi, è già tanto che non abbiano precisato: "Non mi dia del tu, altrimenti finisco in Siberia". 

Gruber si innervosiva durante i loro comizi, e ha cominciato a trattarle male. Ma cosa aspettarsi da una 'giornalista' della tv del Cremlino Rt (Russia Today), e poi da un'altra che addirittura lavora per il giornale dell'esercito russo? Sarebbe come aver preteso un commento eterodosso dal direttore del Telegrafo dei Ciano sotto il fascismo, o da un qualunque cronista cinese o nordcoreano. Impagabili poi i 'sorrisetti', quelli che Crozza/De Luca imputa ai radicali chic. Mentre gli ospiti in studio rispondevano alle loro panzane, le giornaliste di Putin sfoderavano smorfie sarcastiche, scuotendo la testa meglio di uno Scanzi.

Insomma, a 'Otto e mezzo' si sono accorti della impossibilità di promuovere a commentatrici ascoltabili delle funzionarie di regime. Così ieri sera finalmente hanno invitato una giornalista russa, ma vera: Zoja Svetova, della Novaya Gazeta. L'unico quotidiano indipendente, quindi chiuso da tre settimane. Il suo direttore è premio Nobel per la pace, una sua collega era Anna Politkovskaya, fatta assassinare da Putin nel 2006. E naturalmente Zoja ci ha fatti tornare alla realtà. Ha detto che i sondaggi sulla pretesa popolarità di Putin in Russia sono falsi, "perché nessuno sotto un regime osa dire la verità sul governo". E che l'ucraino Zelensky le sembra un presidente ottimo e coraggioso, in sintonia con il suo popolo. 

Poi ho cambiato canale, e sono capitato su Margelletti di 'Porta a porta'. Chiaramente un tifoso dell'Occidente (anzi, cominciamo a chiamarlo mondo libero, visto che libere democrazie come Giappone, Corea del Sud, Taiwan o Filippine stanno anche in estremo Oriente). Ma è stato liberatorio sentire Margelletti rispondere così a Vespa, che gli chiedeva di "spiegare le due versioni" sull'affondamento della nave russa: "Non esistono due versioni. C'è la versione di Putin, e poi c'è la verità". Più binario di così.

Mauro Suttora 

Monday, April 11, 2022

Anche Venezia per tre secoli ha avuto la sua Ucraina



Facevamo combattere i serbi contro i turchi, come oggi gli ucraini contro i russi

di Mauro Suttora 

HuffPost, 11 Aprile 2022 

U-krajna vuol dire 'sul confine'. E al confine fra la repubblica veneziana e l'impero ottomano, dal 1500 al 1797, c'era la regione Kraina con capolugo Knin, alle spalle di Spalato. Non era l'unica: tre infatti erano le Kraine che separavano i turchi, attestati in Bosnia, dalla Serenissima a ovest e dall'impero asburgico a nord. Funzionavano da 'antemurale', prima del muro: linee di difesa avanzata.  

Inizialmente popolate da croati, austriaci e veneziani accettarono di buon grado una fortissima immigrazione di serbi ortodossi, guerrieri temibili. E loro, spinti dall'odio sia etnico che religioso contro i turchi islamici che avevano invaso la Serbia, li combattevano con pari ferocia.

Venezia non era interessata a conquiste territoriali in Dalmazia. La costa è protetta dalle alpi dinariche, e alla Serenissima bastava il controllo dei porti: Zara, Spalato, Sebenico, Cattaro. Ma le incursioni turche la costrinsero ad ampliarsi all'interno per proteggersi, fino a inglobare la Kraina di Knin e oltre. I trattati di Carlovitz e Passarowitz a inizio '700 fissarono la frontiera dov'è ancor oggi, fra Croazia e Bosnia. Così, proprio mentre nel Mediterraneo Venezia perdeva via via posizioni (Cipro, Rodi, Creta), in Dalmazia ne acquistava, grazie alle guerre per procura combattute dai suoi serbi, lautamente armati (come noi oggi con gli ucraini) e pagati. 

Le enclaves serbe delle Kraine sono sopravvissute fino agli anni '90. Le guerre della ex Jugoslavia hanno provocato pulizie etniche reciproche, finché un'ultima offensiva croata ha fatto piazza pulita dei serbi a Knin nel 1995. 

Si potrebbe dire che anche i russi di Putin hanno fatto da 'antemurali' cristiani contro gli islamisti, combattendoli prima in Cecenia e poi in Siria. Ma questo è un altro discorso.

Mauro Suttora


Saturday, April 09, 2022

'Nuvole sul Mekong', di Alessandra Zenarola

di Mauro Suttora

9 aprile 2022

Alessandra Zenarola ha una scrittura sensoriale: leggendola si sentono odori, sapori, rumori. Attraverso le sue parole si vedono e si toccano cose, persone, paesaggi.

Nel suo bellissimo libro 'Nuvole sul Mekong' (ed. Tabula Fati, 2021) racconta viaggi in cinque Paesi: Cipro, Israele, Malesia, Thailandia e Vietnam. Quasi sempre assieme a un uomo piuttosto misterioso: "La nostra storia è caotica, imprecisa, si svuota e si riempie con la velocità di una barca con un buco sul fondo". L'impressione è che quando tornano in Italia si dicano sbrigativamente 'ciao ciao', come nella canzone di Sanremo, fino al viaggio successivo.

Ad Alessandra piacciono posti "trascurati e privi delle attrattive della modernità. Ai miei occhi emanano un fascino irresistibile".

Per esempio, il minimarket di un villaggio nella Cipro turca "che non esiste sulle carte geografiche": "Nel supermercato fa più caldo che fuori, l'aria è smossa da pale sul soffitto ma è aria torrida. La merce è esposta senza criterio, ciabatte accanto alle uova, l'aranciata vicino allo shampoo. Da ganci piantati sul soffitto penzolano polli così piatti che sembrano li abbiano passati sotto un rullo compressore".

È la vita vera del terzo mondo che la maggior parte dei turisti a pacchetto assaggia solo durante le pochissime ore di libertà concesse nei dintorni dei resort.

"Appena si aprono le porte dell'aereo vengo investita dall'odore inconfondibile della Thailandia, che esiste solo lì ed è diverso da tutti gli altri odori nel resto dell'universo. Di benzina, di incenso, di sterpaglie bruciate, un miasma agrodolce che aderisce come colla agli abiti e ai capelli".

Con l'acribia di un'entomologa, Zenarola descrive bimbi vietnamiti "grossi e rotondi. Non so se siano il nuovo benessere o gli omogeneizzati rinforzati, ma certi neonati sembrano manzetti al pascolo. Gonfi, più che paciocconi".

Sempre a Saigon si concede "una cena in un locale sulla riva del fiume con i camerieri cerimoniosi e il vino nel secchiello del ghiaccio, le candele e la luna che sparisce dietro alle nuvole. Ma ho già nostalgia dei vicoli della vecchia Saigon e dell'osteria casalinga con la cameriera che serve in tavola e intanto chatta sullo smartphone".

Perché Alessandra è così attratta dai vicoli cenciosi? "Un uomo dorme con la testa appoggiata sopra un tavolino pieno di piatti con residui di cibo. Due bambini in mutandine tormentano un gatto che si è accoccolato dentro un vaso. Altri abitanti accovacciati sull'uscio delle case ci guardano con occhi spenti. Domattina ci offriranno frutta fresca, un taglio di capelli o una batteria usata per la Nikon". Sembrano le parole di una canzone di Leonard Cohen.

Ad Ao Nang (Thailandia) "esplode un temporale spaventoso. Non ho mai visto il cielo tingersi di verde, un verde acquoso rigato di lampi arancioni. Fa impressione, è un'immagine abbacinante. Le stradine del villaggio si allagano in pochi minuti. Una bambina in piedi dentro una pozzanghera abbassa le mutandine e fa la pipì, poi le tira su e saltella nell'acqua sporca. Cartelli e merce dei negozi rotolano sui marciapiedi, i gazebo si rovesciano. Dal nulla compare un venditore di ombrelli, ma quando gli passo la banconota da 50 bath e afferro l'ombrello, l'acquazzone è già finito".

La magica aria thailandese: "Toglie il fiato, ha un potere inebriante. Spegne l'energia e lascia intatti solo i desideri".

Malesia: "Il cameriere birmano ti parla in veneto perché ogni capodanno Koh Lipe è invasa da vicentini e padovani".

Il radar di Zenarola capta i casi strani. La padrona di un'osteria "ha l'aria stanca e un occhio appannato dal glaucoma. Dietro a lei arrivano due ragazzetti che apparecchiano il nostro tavolino con tovaglie di carta e posate colore ciclamino".

Non tutto è poeticamente squallido, però: a Cipro Nord "Il sole si assottiglia fino a diventare una lamina color albicocca e tra i cespugli si intravedono spicchi di mare".

È anche un libro autoironico: "Ho mal di stomaco, colpa dei vostri liquori sturalavandini", si lamenta Alessandra in una farmacia turcocipriota di Girne. Unico suo vizio capitale: collezionare magneti per il frigorifero. 

Ed è la prima volta dopo mezzo secolo che leggo la parola 'shake': in un resort israeliano sul mar Morto "mi avvio al night e ballo uno shake anni '60 in mezzo a giovani americani, oppressa da un vago sentore di ridicolo. Il loro accompagnatore col mitra alla cintola beve acqua tonica al bancone, i liceali si stanno sbronzando con cocktail colorati".

Tuesday, April 05, 2022

Chi crederà a Putin se un giorno dovesse dire la verità?



Cambiare il significato delle parole per nascondere la realtà: ogni giorno ha la sua menzogna

di Mauro Suttora 

HuffPost, 5 Aprile 2022

Ieri, dopo gli eccidi di Bucha, ho fatto un esperimento. Ho scritto su Facebook: "Se sgancerà l'atomica (tranquilli, una piccola, tattica) Putin dirà che sono stati gli Usa. E non pochi disagiati in Italia gli crederanno". I disagiati hanno subito risposto: "È più probabile che lo faccia Biden", "Gli unici a sganciare l'atomica finora sono stati gli americani", "Come le armi di distruzione di massa di Saddam", eccetera. Gran successo sui social per una cronaca quasi minuto per minuto in cui Toni Capuozzo cerca di dimostrare che lo foto di Bucha sono una montatura.

Insomma, le bugie di Putin pigliano. Fin dall'inizio è stato lui a dettare le regole, d'altronde. La sua guerra non è una guerra. L'Ucraina è piena di drogati e nazisti da estirpare, di tradizione ortodossa da salvaguardare e di russi da difendere. L'ultima menzogna, il giorno prima dell'attacco: "Rivendichiamo Donbass e Crimea". E invece invade tutta l'Ucraina.

Il ribaltamento della realtà è proseguito quando le cose si sono messe male. I suoi tank lanciati verso Kiev sono stati inceneriti? "Ora ci riposizioniamo". I suoi missili colpiscono ospedali? "Non c'erano malati, erano stati trasformati in basi del battaglione nazista Azov". Ha ammazzato civili? "Erano scudi umani usati dagli ucraini". Non permette l'evacuazione delle famiglie di Mariupol? "Sono gli ucraini a impedir loro di partire".

Sembra che Putin voglia applicare alla lettera le regole di Orwell: cambiare il significato delle parole per nascondere la realtà.

Dopo le fosse comuni di Bucha si è aggiunto il ministro degli Esteri Lavrov: "È tutta una messa in scena occidentale". Il ricordo va ad Alì il Chimico, il ministro dell'informazione iracheno che nel 2003 negava l'invasione di Bagdad anche coi soldati statunitensi già per le strade. Normalmente i governanti, di fronte ad accuse raccapriccianti contro i propri militari, si rifugiano nella frase: "Istituiremo una commissione d'inchiesta". A volte si scusano, come gli Usa lo scorso agosto dopo che un loro drone uccise una famiglia a Kabul.

Invece la menzogne seriali di Putin si affastellano all'infinito. È un dramma: chi gli crederà, dovesse un giorno dire la verità? Obiettano i putiniani nostrani: in guerra tutti mentono, sempre. Alt. In Vietnam furono proprio i giornalisti embedded con gli americani (compresa la nostra Oriana Fallaci) a svelare la verità. I governi possono cercare di mentire, ma se sono democratici la verità viene fuori. Sono le dittature a basarsi sulla propaganda: sempre, in pace e in guerra. La nostra Eiar esultò perfino nel 1943, quando gli Alleati sbarcarono in Sicilia: "Li abbiamo respinti sul bagnasciuga". 

I meccanismi del consenso nei regimi totalitari sono stati svelati già nel 1941 da Erich Fromm in Fuga dalla libertà (libro tradotto solo vent'anni dopo in Italia, perché indigesto anche ai comunisti). Quel che Fromm non poteva prevedere, era la presa che la disinformazione può avere anche nel mondo libero. Qui da noi, fra grillini, leghisti, nostalgici fascisti, filosovietici e complottisti vari, sono milioni i creduloni. Tutti i testimoni a Bucha accusano Putin? Ancora peggio: è il "mainstream", il pensiero unico, i giornaloni. Che bello essere controcorrente. Mica ce la danno a bere. Chi? Loro. Cioè chi? I poteri forti. Non c'è via d'uscita dalla paranoia cospiratoria.

Tutti noi abbiamo un amico, un parente, un conoscente un po' svitato che come l'Anpi, di fronte alle foto di Bucha, chiede una "commissione d'inchiesta indipendente". O almeno cerca di salvarsi in corner con l'ecumenico "perché meravigliarsi, tutte le guerre sono così". È un vicolo cieco, Popper è sconfitto. 

Non sbaglia quindi Putin a rifugiarsi nella spudoratezza, a negare sempre anche l'evidenza come un qualsiasi traditore col coniuge, a spargere la "nebbia della guerra" su ogni sua malefatta. Gettando merda nel ventilatore, qualche schizzo produrrà qualche dubbio. Che magari lo salverà dal Tribunale internazionale dei crimini di guerra verso cui, come Milosevic, sembra agevolmente avviato. 

Mauro Suttora

Saturday, April 02, 2022

Pannella si batteva contro ogni forma di censura. Non è il caso di Orsini (sta sempre in tv)

Il professore invoca a sua difesa il leader scomparso. Tra l'altro dimentica che i radicali hanno sempre combattutto Putin

di Mauro Suttora

HuffPost, 2 Aprile 2022 

Lo so, la miglior difesa dagli esibizionisti è l'indifferenza. Ma se Orsini invoca Pannella  contro la censura di cui sarebbe vittima, merita una risposta. Anche perché se mi chiamassi Orsini mi vanterei di avere scritto ben tre biografie (troppe) sul capo radicale.


È certamente vero che "Pannella si batteva contro ogni forma di censura". Non è questo il caso di Orsini, il quale in un mese è stato invitato in prime serate tv più di Pannella in vent'anni.


Ma, entrando nel merito, Orsini dimostra - ad abundantiam - di non aver "studiato abbastanza" (sempre per usare le sue parole). Il leader radicale e il suo partito, infatti, sono fra i rari politici italiani, forse gli unici, che non solo non hanno mai apprezzato né lodato Putin, ma lo hanno combattuto con decisione fin dall'inizio. Tanto che nel 2000 Lavrov, allora ambasciatore russo all'Onu, chiese l'espulsione del Partito radicale dall'Ecosoc, l'organismo delle Nazioni Unite dedicato alle ong. E quanto i microbi radicali risultassero fastidiosi per Russia e Cina (anch'essa voleva cacciarli) me lo confermò lo stesso Lavrov quando due anni dopo lo incontrai a un ricevimento al consolato russo di New York: "Chi sono veramente questi radicali italiani?", mi chiese, brillante e affabile come sempre (mieteva successi fra le signore di Manhattan).

Ma non c'è molto da scherzare, nei rapporti Pannella/Putin. Perché c'è di mezzo anche un assassinio: quello di Antonio Russo, giornalista di Radio Radicale ammazzato a Tbilisi mentre indagava sui misfatti di Mosca in Cecenia. Probabili esecutori, i servizi segreti di Putin ha. Lo picchiarono fino a sfondargli gli organi interni. Negli anni seguenti il segretario radicale Olivier Dupuis denunciò il putinismo in ogni consesso internazionale, invitando i ceceni nonviolenti (sì, esistono anche loro) a parlare alla Commissione Onu per i diritti umani a Ginevra, assieme agli uiguri perseguitati dai cinesi e ai dissidenti di tutte le dittature del mondo.


Insomma, su Putin Pannella prenderebbe Orsini a pernacchie. E poi lo inviterebbe a cena, perché era anche simpatico, e gli piaceva da matti litigare (come Orsini). Ma c'è di più. Pannella nel 1991 indossò la divisa militare croata e si fece fotografare nelle trincee di Vukovar. Scandalo totale: il Gandhi italiano delle marce antimilitariste e dell'obiezione di coscienza alla naja sputava sulla nonviolenza? Anch'io barcollai. E invece aveva ragione. Aveva capito prima di tutti la natura criminale del presidente fasciocomunista serbo Milosevic. Neanche i croati erano agnellini. Ma quella volta, in quei giorni, erano loro a subire la pulizia etnica. Quindi, come dicono a Roma, "quanno ce vo', ce vo'".

Così, anche in questi giorni non pochi pacifisti accettano che gli ucraini vengano aiutati con quel che loro chiedono: armi per difendersi. E i radicali chiedono l'incriminazione di Putin al Tribunale internazionale che loro (Bonino) crearono negli anni '90. Allora per punire stragi come Ruanda e Srebrenica, oggi Mariupol. 

Pannella era filoUsa e filoGb: "Perché le democrazie anglosassoni sono le più antiche, e le uniche che non hanno mai conosciuto la dittatura". Ma questo non gli impedì di chiedere l'incriminazione di Blair per aver mentito al suo popolo durante la seconda guerra del Golfo. 

Altro insegnamento di Pannella: "Le democrazie non fanno guerra ad altre democrazie". Per non parlare del conflitto delle Falkland/Malvine, di cui proprio dopodomani cade il quarantennale: spesso i dittatori cadono grazie alle guerre che dichiarano, come i generali argentini nel 1982 o i colonnelli greci nel 1974. Ma devono trovarsi di fronte dame di ferro tipo la Thatcher. O ex comici come Zelensky. Non sociologi amanti della "complessità" e vittimisti (un po' come Pannella) tipo Orsini.

Mauro Suttora