Sunday, April 07, 2019

La bufala del franco cfa

Da più di un anno i fascisti francesi della Le Pen fanno circolare una maxibufala sul franco cfa che affamerebbe l'Africa e causerebbe emigrazione clandestina verso l'Italia.

Naturalmente la ghiotta balla antiMacron è stata subito ingoiata dai vari fessi neonazi/onalisti di destra e sinistra (in Francia Melenchon, in Italia grillini e leghisti).

Ecco una mia replica che mi è stata censurata dal Fatto Quotidiano: 

In un'intervista al Fatto dell'8 febbraio 2019 Otto Bitjoka afferma che la causa del golpe subìto nel 1968 dal presidente del Mali Modibo Keita sarebbe stata il suo annuncio di uscita dal franco Cfa.
In realtà il Mali aveva già lasciato il franco Cfa nel 1962, per poi rientrarvi nel 1984. Quindi non fu questa la causa del golpe.

Non è poi esatto dire che le ex colonie francesi in Africa siano obbligate a stare nel franco Cfa, pena la cacciata o uccisione dei loro presidenti.
Oltre al Mali, anche Guinea, Madagascar e Mauritania l'hanno lasciato senza problemi.

Le cause dei golpe contro gli altri 4 presidenti citati furono varie, e il franco Cfa c'entrava poco o nulla.

Il togolese Sylvanus Olympio era odiato dai militari locali che non aveva integrato nel proprio esercito dopo il loro servizio coloniale con la Francia.

L'ottimo Thomas Sankara del Burkina Faso aveva decine di fronti aperti con l'Occidente intero, e nel 1987 era più detestato dagli Usa di Reagan che non dalla Francia di Mitterrand.

L'ivoriano Laurent Gbagbo fu cacciato nel 2010 perché aveva truccato le elezioni.

Fantasioso, infine, il legame con la caduta di Gheddafi: egli non godeva di alcuna stima da parte dei presidenti africani, che non avrebbero mai messo le loro valute in comune con la Libia.

Lungi da me difendere le porcate commesse dalla Francia in Africa, da Bokassa in giù. Ma i francesi non sono peggio di Cina, Usa, Russia o Gran Bretagna. 
Quindi non c'è bisogno di accusarli con gli argomenti complottisti dei gruppi di estrema destra sovranisti e antisignoraggio.

Il franco Cfa ha i suoi pro e contro, ma è assurdo dire che "se la Costa d’Avorio vende cacao per un miliardo di euro, mezzo miliardo deve restare come riserva valutaria al Tesoro francese".

Tutti i Paesi hanno riserve monetarie a garanzia dei tassi di cambio, e le imprese esportatrici non devono certo versare il 50% dei propri incassi ad alcuna Banca centrale.

Molti Paesi, infine, fanno stampare le proprie banconote da società specializzate in antifalsificazione, a Londra o a Lione.
Mauro Suttora

Friday, April 05, 2019

Lorenzo Borrè, l'avvocato incubo dei grillini

"ANCHE LA MULTA DEL GARANTE E' UNA NOSTRA VITTORIA"

di Mauro Suttora

Libero, 5 aprile 2019



«La condanna di ieri con annessa multa di 50mila euro del Garante della Privacy contro la piattaforma Rousseau, su cui si svolge online tutta la vita politica grillina, nasce da un nostro esposto dell’ottobre 2017 contro la profilazione dei votanti», dichiara l’avvocato Lorenzo Borrè di Roma a Libero.

Borrè è la bestia nera del Movimento 5 stelle. Il quale dal 2012 ha espulso centinaia di attivisti e 44 parlamentari, in un crescendo di autoritarismo che confina con la paranoia.
Tutti i grillini che in Italia fanno causa chiedendo i danni si rivolgono a lui. E lui si è ormai specializzato nella giungla di documenti che regola la vita di questo strampalato non-partito.

Proprio per sfuggire alle cause di Borrè, che finora ha ottenuto 75mila euro di risarcimenti per i suoi clienti, la società Casaleggio ha infatti cambiato statuto per la terza volta in otto anni, nel dicembre 2017. 

Peccato che l’avvocato Luca Lanzalone, che lo redasse, sia finito in carcere nel giugno 2018 per le tangenti del costruttore Parnasi sul nuovo stadio della Roma. 
Lanzalone, che verrà processato a luglio e che ha tuttora il divieto di dimora a Roma dopo mesi di arresti domiciliari, era considerato il vero sindaco di Roma al posto della evanescente Virginia Raggi. 
Era succeduto in questo suo ruolo di “vicario” romano a Raffaele Marra, anch’egli incarcerato e condannato a tre anni per corruzione.

Il primo a rivolgersi a Borrè è stato nel 2016 il professor Antonio Caracciolo, escluso dalle comunali di Roma e insultato pubblicamente da Grillo («È sporco dentro») per alcune sue asserite dichiarazioni negazioniste sull’Olocausto rivelatesi infondate.

Poi la mancata candidata sindaca di Genova Marika Cassimatis e la consigliera comunale Cristina Grancio di Roma, espulsa perché unica contraria allo stadio della Roma. 
Anche Ernesto Leone Tinazzi, popolare grillino romano che con i suoi voti fece eleggere Alessandro Di Battista nel 2013, e Andrea Aquilino, sono finiti in una delle periodiche purghe grilline.

Il caso più grottesco è quello di 23 attivisti napoletani accusati, in perfetto stile stalinista, di avere fondato una “corrente” con un gruppo Facebook segreto, come una volta i “deviazionisti”.

«A giorni attendo l’esito del ricorso contro l’espulsione del senatore De Falco, di fama schettiniana (“risalga subito a bordo, cazzo!”) reo di non aver votato la fiducia sul decreto sicurezza leghista», dice Borrè. Il quale è lui stesso un ex grillino, per qualche anno fino al 2016. Conosce quindi i suoi polli. E li infilza a suon di cavilli. Curioso destino, per un movimento nato con lo slogan «Legalità!», quello di dover sopportare le più cocenti e imbarazzanti sconfitte proprio nelle aule dei tribunali.
Mauro Suttora

Grillo assediato dai debiti

I PENTASTELLATI LO BOMBARDANO DI CAUSE. DECINE DI EX CACCIATI CHIEDONO I DANNI AL COMICO: FINORA È STATO CONDANNATO A RISARCIRE 75MILA EURO. IN PIU', LA MULTA DI 50MILA EURO DEL GARANTE DELLA PRIVACY. UN CONVEGNO A MILANO ANALIZZA IL M5S

di Mauro Suttora

Libero, 5 aprile 2019



Che sfortunato Davide Casaleggio. Proprio nel giorno delle primarie online per scegliere i candidati alle europee del 26 maggio, la sua piattaforma Rousseau è stata dichiarata fuorilegge dal Garante della Privacy: «Non garantisce gli standard minimi di segretezza e sicurezza del voto, che è manipolabile dagli organizzatori in qualsiasi momento, senza lasciar traccia». La sanzione è salata: 50mila euro.

Da sempre i dissidenti grillini denunciano l’assurdità di far votare gli iscritti del primo partito italiano sul server privato della società commerciale milanese Casaleggio & Associati. E senza alcuna certificazione esterna, tranne in due casi (le presidenziali 2013 e il voto per un nuovo statuto).

Il Garante avvertiva già da due anni della fragilità di Rousseau. Il rampollo Casaleggio, succeduto dinasticamente al padre Gianroberto dopo la sua morte tre anni fa, aveva assicurato di avere riparato le falle del sistema. Che però qualche burlone continua ad hackerare allegramente in varie votazioni. E che ora viene giudicato irregolare alla radice.

La tegola sul Movimento 5 stelle (M5s) arriva proprio alla vigilia di Sum 2019, che si apre domani a Ivrea: il convegno annuale in cui Casaleggio junior si autoproclama «guru del futuro», giurando pe di non essere il capo del M5s con Luigi Di Maio, ma un semplice «tecnico al servizio del movimento».

A Ivrea in livrea arriveranno domani, fra gli altri, Franco Bernabé (ex ad Eni e Telecom, dirigente del club Bilderberg, una volta odiato dai grillini complottisti), Marco Travaglio e l’allenatore Zeman. Sarà dura, questa volta, magnificare le doti di Rousseau («piattaforma per la democrazia unica al mondo«), ma rivelatasi una ciofeca.

Qualche grillino ora per disperazione sosterrà che si tratta di una vendetta in extremis del presidente della authority Garante della Privacy, Antonello Soro, ex deputato Pd, in scadenza quest’anno. Dimenticando che si tratta di un organo collegiale. 
Gli altri membri sono Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, e Giovanna Bianchi Clerici, ex deputata leghista.

Ma la multa di 50mila euro rischia di essere nulla in confronto ai 75mila euro di risarcimento danni cui è già stato condannato finora il M5s nelle cause intentate dai numerosi grillini radiati ingiustamente in questi anni. 
Cifra che aumenterà di molto, perché riguarda solo i primi espulsi: Roberto Motta e Antonio Caracciolo a Roma hanno ottenuto 30mila euro nel 2018, Mario Canino sempre a Roma 22mila euro a gennaio, più sei attivisti napoletani. 

Sono pendenti altre nove cause con una trentina di “vittime” in tutta Italia: due a Palermo con l’ex deputato e capogruppo Riccardo Nuti, una a Genova con Marika Cassimatis, cacciata da Grillo dopo aver vinto le primarie per sindaco, altre due a Napoli con ben 23 attivisti, e altre quattro a Roma.

I soldi dovranno tirarli fuori Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Ed è questo il principale motivo per cui il comico genovese si è allontanato dalla sua creatura: per non essere travolto finanziariamente dalla gestione autoritaria del movimento fondato nel 2009.

Intanto ieri i Cinquestelle sono stati messi sotto scrutinio in un convegno all’Umanitaria di Milano dall’associazione di giuristi Italiastatodidiritto, presieduta dall’avvocato Simona Viola.
 Il tema era: «Il M5s crede veramente alla democrazia, o si regge su princìpi non democratici riducendo i suoi 330 parlamentari a semplici portavoce?»

Per Fabrizio Cassella, docente di diritto costituzionale all’università di Torino, la risposta è chiara: «I Cinquestelle violano la Costituzione, che all’articolo 67 esclude il vincolo di mandato. Ogni parlamentare rappresenta la Nazione, e per approvare leggi nell’interesse generale dev’essere libero di argomentare, dibattere e negoziare, arrivando assieme ai suoi colleghi a una sintesi che bilanci i vari interessi particolari».

Ai deputati e senatori grillini, invece, tocca obbedire a una ferrea disciplina di partito. E chi osa dissentire viene punito con l’espulsione. È capitato a 40 di loro la scorsa legislatura, e ad altri quattro in questa.

Il comandante Gregorio De Falco, in particolare, che soltanto un anno fa fu l’acquisto più prestigioso nella nuova compagine parlamentare (noto per aver intimato al capitano Francesco Schettino di non abbandonare la sua nave), è stato cacciato a gennaio. Non aveva votato la fiducia sul decreto sicurezza.

«Mi rendo conto che difendere il divieto di vincolo di mandato in un Paese di trasformisti non è popolare», ammette l’avvocato Guido Camera, «ma in democrazia la forma è tutto. Possiamo avere idee diverse sul contenuto delle leggi, ma sulle regole del gioco per farle dobbiamo essere tutti d’accordo».

E i referendum, caposaldo della democrazia diretta propagandata dai grillini? 
«Guardiamo alla Svizzera, il loro Paese ideale», ha detto il professor Dino Guido Rinoldi dell’università Cattolica di Milano, «dove lo scorso 25 novembre i cittadini hanno detto no a un quesito che voleva ridurre l’efficacia dei trattati internazionali».

Tipico tema sovranista, ma gli elvetici si sono dichiarati ben felici di sottostare a leggi sovranazionali. «Principio presente anche nell’articolo 11 della nostra Costituzione: l’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».

«In realtà nei referendum la domanda è sempre importante quanto la risposta», ha avvertito Valerio Onida, già presidente della Corte Costituzionale. Chi decide quali argomenti sottoporre a un sì e a un no, e in che forma? Nel caso dei grillini, è sempre la srl Casaleggio, dall’alto, a formulare i quesiti online per i suoi iscritti. Non c’è mai stata una votazione su iniziativa della base.

In questo senso una testimonianza preziosa è, dall’interno, quella di Nicola Biondo
Già responsabile della comunicazione dei deputati grillini, Biondo pubblica proprio in questi giorni il suo secondo libro sul M5s: Il sistema Casaleggio (ed. Ponte alle Grazie, con Marco Canestrari): «Il vero padrone del movimento non è mai stato Grillo, ma prima Gianroberto Casaleggio e poi il figlio Davide. 
Abbiamo così il partito che governa una delle principali potenze industriali del mondo in mano a una società privata. I grillini hanno avuto successo opponendosi al finanziamento pubblico dei partiti e alla Casta dei politici. Bene. Ma ora usano anche loro i milioni pubblici dei gruppi parlamentari e dei loro stipendi per finanziare la società commerciale che li dirige. 
Insomma, la Casta mantiene se stessa. Almeno prima il finanziamento ai partiti serviva anche per tenerne aperte le sezioni territoriali, palestra di democrazia. Adesso invece c’è solo la piattaforma Rousseau. Che finalmente è stata giudicata per quel che è: un imbroglio».
Mauro Suttora