Tuesday, March 27, 2018

Fico: i segreti dell'estremista convertito

CHI È VERAMENTE IL NUOVO PRESIDENTE GRILLINO DELLA CAMERA. DURO E PURO A PAROLE, DOPO L'INCORONAZIONE DI DI MAIO SI È ALLINEATO

di Mauro Suttora

Libero, 25 marzo 2018

«Foglia di fico». È il soprannome che Roberto Fico si è guadagnato in questi cinque anni da presidente della commissione di vigilanza Rai. Perché i grillini volevano smantellarla: «Vendere tutti i canali tranne uno», promettevano nel loro programma 2013. 
Tutto dimenticato dopo pochi mesi: «Prima ci vuole una legge sul conflitto d’interessi, per non favorire Mediaset», disse Fico, ormai appollaiato sulla sua poltrona. Campa cavallo. Unica differenza col passato: Fico ha rinunciato all’auto blu e all’indennità aggiuntiva (26mila euro annui).

Nato nel 1974 in una famiglia benestante (come tutti i grillini napoletani, da Di Maio a Carla Ruocco), Roberto dopo il classico si trasferisce a Trieste e si laurea in Scienze della comunicazione (tesi sulla canzone neo melodica napoletana). Sostiene di avere conseguito nel 2002 un master in ‘knowledge management’ del Politecnico di Milano, ma in realtà era un corso per 150 disoccupati campani e siciliani.

Fa l’Erasmus in Finlandia, poi comincia a lavorare alla Kuoni Gastaldi Tour di Genova per riprogettare la rete intranet. In seguito è all’ufficio stampa della Fedro, piccola società di formazione aziendale di Roma. Per un anno lavora al call center di Vodafone, e per due come redattore della casa editrice scolastica Esselibri Simone. Poi fa il capo del personale, degli eventi e della comunicazione nel Best Western di Napoli, albergo a quattro stelle.

Intanto, nel 2005, fonda il meet-up di Grillo a Napoli. Ma la sua carriera politica comincia con due disastri. Nel 2010 solo l’1,3% alle regionali in Campania, 5mila voti in tutta la regione come capolista. Ci riprova l’anno dopo alle comunali di Napoli, ma da candidato sindaco è di nuovo trombato: 1.200 preferenze, contro le 35mila di De Magistris. Con l’1,4%, il Movimento 5 stelle è sull’orlo della scomparsa.

Nel 2012 il vento gira: il grillino Pizzarotti diventa sindaco di Parma, il M5s tocca il 18% in Sicilia. Alle primarie per le politiche Fico prende 228 voti. Dopo di lui un ragazzo 26enne di Pomigliano: Luigi Di Maio, 189 voti. Non aumenteranno molto le preferenze alle ‘parlamentarie’ di questo febbraio: appena 315 per Fico, 490 per Di Maio.

Nel 2013 Fico fu accusato da alcuni attivisti di non potersi candidare a Napoli, perché risiedeva a San Felice Circeo (Latina). Cambiò in fretta e furia la residenza nei giorni in cui il regolamento grillino impose di essere residenti nella circoscrizione di candidatura. 

Un’altra controversia riguardò la sua fidanzata fotografa Yvonne De Rosa che, residente a Londra, vinse le primarie per l’Europa con 70 preferenze. «Parentopoli!», lo accusarono i puristi. Yvonne si ritirò, per non danneggiarlo.

Nel 2013 suscitò stupore il reddito zero dichiarato nell’ultimo anno prima di essere eletto: «Vivevo di rendita grazie ai risparmi messi da parte con i lavori del mio passato». Fico aveva aperto una ditta individuale di import tessuti dal Marocco. «Ma come tutte le start up, aveva bisogno di un po’ di tempo prima di partire e fare profitti. Per questo nel 2012 ho deciso di chiudere la partita Iva, e mi sono dedicato a tempo pieno alla politica».

Nel 2014 Roberto viene nominato da Casaleggio e Grillo nel direttorio che guida il M5s, con Di Maio, Di Battista, la Ruocco e Sibilia. Addio sogni libertari, di quando proclamava: «Credo in un movimento senza leader, trasparente, orizzontale. Mai più capi, mai più deleghe».

Alla fine 2015 incappa nel suo più grosso infortunio: nel grande comune di Quarto, 45mila abitanti vicino a Napoli, il consigliere grillino più votato è sospettato di essere un terminale della camorra. Ma lui e Di Maio espellono la sindaca 5 stelle Rosa Capuozzo che si era opposta alle sue richieste. Cacciano anche il tizio, ma solo dopo che risulta indagato dall’antimafia per voto di scambio e tentata estorsione.


Nel 2016 le disavventure della sindaca romana Raggi, con il carcere per il suo numero due Marra, si abbattono su Di Maio e fanno crollare il direttorio. Fico diventa il capo dei movimentisti. A settembre, nel festival annuale di Palermo, urla dal palco: «Il movimento deve tornare alle origini!». 
Ma ormai il figlio di Casaleggio appoggia Di Maio il moderato, e Roberto rischia l’espulsione. Poi china la testa. Ieri, il premio.
Mauro Suttora


Saturday, March 24, 2018

I grillini epurano un altro capolista

FRIULI-VENEZIA GIULIA: IL FAVORITO PER IL VOTO REGIONALE DEL 29 APRILE 2018 ELIMINATO CON UN CLIC. RIVOLTA NELLA BASE

di Mauro Suttora

Libero, 23 marzo 2018

Ci risiamo. Ancora una volta i capi grillini hanno eliminato senza motivo un loro candidato capolista, senza dare spiegazioni. 
Dopo i clamorosi casi di Marika Cassimatis l’anno scorso e di Patrizia Bedori nel 2016, che avevano vinto le primarie per sindaco a Genova e Milano, ora è la volta dell’avvocato triestino Fabrizio Luches, 44 anni, al quale è stato impedito con un clic di concorrere a governatore del Friuli-Venezia Giulia nelle regionali del 29 aprile, prima verifica elettorale dopo il 4 marzo.

«Da mesi sei dei principali Meetup regionali mi avevano proposto come candidato. Ma all’ultimo momento sono stato escluso dalle votazioni online senza una spiegazione. Ho scritto subito allo staff della Casaleggio a Milano, ma non mi hanno risposto», racconta Luches.

Dopo una settimana, verbalmente, gli hanno spiegato che non poteva concorrere perché non si era dimesso dalla segreteria del gruppo regionale del Movimento 5 Stelle.
«Ma è una scusa: quello era un requisito solo per le candidature a Roma, non in Regione. E poi io sono un funzionario della Regione, non un dipendente del gruppo». 

E adesso farà ricorso? 
«Sono un professionista, conosco il carico di lavoro dei tribunali. Non ritengo opportuno occupare un magistrato per decidere su questioni che potevano essere risolte con una semplice risposta via mail».

Quindi cosa farà? «Mi sono dimesso dal gruppo consiliare, dove ero stato chiamato da loro a lavorare tre anni fa, fruendo di una legge che assegna funzionari della Regione per assistere i gruppi consiliari. La mia dignità personale e professionale è un limite invalicabile».

La vita dei grillini friulani e triestini è sempre stata turbolenta. Già quattro anni fa ci furono le prime epurazioni: cacciati il deputato Walter Rizzetto di Pordenone (oggi rieletto con Fratelli d’Italia, l’unico ex parlarentare grillino ad avere mantenuto il seggio) e il senatore Lorenzo Battista di Trieste. Loro avversario, proconsole della società Casaleggio, era Stefano Patuanelli, ex consigliere comunale triestino, ora neoeletto senatore e già nominato vicepresidente del gruppo.

Si respira un’aria di famiglia fra i grillini locali. Un eurodeputato voleva candidare la moglie a sindaco di Trieste, e gli attivisti insorsero accusando di Parentopoli. Ora sono due mariti di consiglieri comunali triestini a scendere in campo per le regionali. Questa volta però tutti zitti. 
Non ci sono divergenze politiche fra i gruppi rivali, solo personalismi. Eliminato Luches, non ci sono state neppure le primarie. È rimasto un candidato unico, il ricercatore universitario Alessandro Fraleoni Morgera, 48 anni, ex iscritto ad Alleanza nazionale, imposto direttamente da Luigi Di Maio e Casaleggio junior.

Ma fra i grillini è la rivolta. Protestano in tanti: Matteo Muser, ex candidato sindaco a Tolmezzo (Udine), si è dimesso; Kascy Cimenti, primo dei votati alle regionali per l'alto Friuli ha rinunciato alla candidatura e ha abbandonato il movimento; Elisabetta Maccarini, vicepresidente del consiglio comunale di Monfalcone (Gorizia), dice: «Speravo in un errore informatico, Fraleoni non lo conosce nessuno». 
«Luches invece è un attivista di lunga data, conosciuto dai territori, dagli attivisti, dai portavoce e da moltissimi cittadini del Friuli Venezia Giulia, persona incredibilmente preparata e competente. Sono estremamente imbarazzato», dice Muser.

Depennata dalla lista dei candidati pure una consigliera comunale udinese, Claudia Gallanda. A Udine anche Elena Porzio ha lasciato il movimento.

Insomma, un terremoto aggravato anche dal risultato scarso alle politiche in regione: appena il 24%. Il Meetup di Trieste aveva 850 iscritti, adesso gli attivisti sono solo 230. E alle primarie i candidati più votati hanno avuto al massimo un centinaio di preferenze: niente, in una regione con oltre un milione di abitanti.

Commenta amaro con Libero Luches, che ha una vasta esperienza su urbanistica, ambiente, diritto amministrativo e fisco degli Enti locali, e che proprio per questo era stato cercato dai grillini: «Forse ho pagato un eccesso di competenza, in un’organizzazione che predica una linea di trasparenza e poi nei fatti ne porta avanti un’altra, diametralmente opposta».
Mauro Suttora


Friday, March 23, 2018

Chi comanda veramente nei 5 stelle

IL FIGLIO DI CASALEGGIO VANEGGIA SUL WASHINGTON POST, E ORGANIZZA UN GALA ESCLUSIVO SUL ROOFTOP DI UN HOTEL A ROMA, CON VISTA SU SAN PIETRO

di Mauro Suttora

Libero, 21 marzo 2018

«I partiti sono vecchi e moribondi. La politica ha modelli organizzativi obsoleti e diseconomici. La democrazia rappresentativa sta perdendo significato. Quella diretta, resa possibile da internet, dà una nuova centralità ai cittadini e destrutturerà le attuali organizzazioni politiche e sociali».

Altro che ammorbidimento dei grillini. Davide Casaleggio, sulle orme del padre, conferma tutta la carica eversiva del Movimento 5 stelle, e pubblica sul Washington Post un articolo dai toni trionfali e incendiari.

L’unica speranza sono i pentastellati: «Di Maio ha detto: “Non si può fermare il vento con le mani”. Il nostro è un vento inarrestabile che continua a crescere, perché appartiene al futuro».

Passando dalla poesia alla concretezza: «Con il 33% abbiamo raggiunto un successo storico nelle democrazie occidentali. Abbiamo avuto 11 milioni di voti, al costo di 8 centesimi l’uno. Una cifra coperta da micro-donazioni di 19mila cittadini che hanno dato 865mila euro, coprendo tutti i costi della nostra campagna elettorale. Ai partiti tradizionali invece ogni voto è costato fino a cento volte di più: il partito +Europa, per esempio [quello di Emma Bonino, ndr] ha un costo stimato di 7 euro a voto».

Casaleggio jr riprende i toni millenaristici e definitivi del padre: «Sulla nostra piattaforma Rousseau tutti i cittadini possono proporre e votare le leggi online. E non ci fermeremo qui. Già adesso scegliamo i nostri parlamentari sulla Rete, e non nelle stanze piene di fumo dei vecchi partiti. Ma puntiamo a un milione di iscritti. Applicheremo una certificazione decentralizzata su ogni votazione online. E fonderemo la Rousseau Open Academy per selezionare candidati di altissima qualità».

Sogni? Vaneggiamenti? Sicuramente il figlio di Casaleggio con questo articolo-programma pubblicato grazie al World Post del Berggruen Institute (finanziato da Nicolas Berggruen, uno speculatore Usa eccentrico tipo Soros) dimostra ancora una volta di non essere un «semplice attivista» di «supporto tecnico», come si autodefinisce con finta modestia.

E la conferma c’è stata l’altra sera, quando i parlamentari grillini hanno fatto a gara per essere invitati al gala romano della sua fondazione privata, ospitato sul rooftop dell’hotel Atlantic, con splendida vista su San Pietro.

I fortunati invitati (pagando 300 euro di iscrizione e 60 la cena) sono quelli che contano. Chi non c’era, non conta niente. «Formichine», direbbe Casaleggio junior. 

La nomenklatura grillina è fatta a strati. Iscriversi al Movimento non costa nulla, quindi vale nulla. Il cuore del potere vero sta nelle fondazioni Casaleggio e Rousseau. E lì non si può essere eletti, ma solo scelti, in barba a ogni democrazia diretta o indiretta.

«Nessun conflitto d’interesse: questa è un’iniziativa culturale», ha assicurato Davide, annunciando per il 7 aprile la seconda puntata del meeting di Ivrea in memoria del padre, inaugurato l’anno scorso. 

Fra gli invitati al gala c’era Alberto Bonisoli, direttore della Naba (Nuova accademia di belle arti) di Milano. Trombato al voto del 4 marzo, a causa dello scarso risultato ottenuto dal M5s in città (17%), ma già nominato ministro della Cultura nel futuribile governo grillino. 
E fra i non politici spiccava il presenzialista Arturo Artom, assiduo dei salotti della Milano bene.

Intanto, la sindaca 5 stelle di Roma Virginia Raggi annuncia un grande risultato: dopo due anni è riuscita ad abbassare la tassa rifiuti. Dello 0,7%.
Mauro Suttora


Tuesday, March 20, 2018

Silenziati i parlamentari grillini

DI MAIO METTE IL VETO SU ROMANI, MA SI RIPRENDE IL SENATORE CHE PAGA 7 EURO D'AFFITTO 

di Mauro Suttora

Libero, 20 marzo 2018

Primo giorno di scuola ieri per i 338 parlamentari grillini a Roma. Le Camere hanno aperto le registrazioni, e loro sono andati a farsi la foto ufficiale e ritirare i tesserini. Disciplinati come scolaretti, ubbidiscono all’ordine della Casaleggio srl: nessuna dichiarazione agli odiati giornalisti. Parlamentari che non parlano. E costretti a ingoiare anche le nomine preconfezionate dei loro dirigenti da parte della ditta milanese.

Sono stati già decisi, infatti, i venti fortunati (fra presidenti, vicepresidenti, segretari e tesorieri) che comporranno i direttivi dei gruppi parlamentari. Prima ruotavano ogni tre mesi, in omaggio alla democrazia diretta. Ora rimarranno imbullonati alle loro poltrone per un anno e mezzo, non più eletti dalla base ma nominati dall’alto dal cerchietto magico di Di Maio. 
Neanche il Pci stalinista era così verticista e antidemocratico, ai gruppi parlamentari lasciava una certa autonomia.
     
L’unico a violare l’obbligo del silenzio (esteso anche ai social) è il senatore Nicola Morra, rimasto capo dei movimentisti dopo la sottomissione a Di Maio di Roberto Fico e Paola Taverna. Con un tweet ha silurato la candidatura del leghista Roberto Calderoli a presidente del Senato: “Anche lui ha problemi con i 52 milioni di Belsito”. Morra dà voce ai tanti grillini, soprattutto meridionali, contrari alla luna di miele con la Lega. E non gli dispiace mettere un bastone fra le ruote dei dimaiani.

Un altro a cui l’onnipotente Rocco Casalino, capo dell’ufficio stampa grillino, concede libertà di esprimersi è Fabio Massimo Castaldo. Ma il vicepresidente grillino dell’Europarlamento, nel tentativo di accreditarsi come forza responsabile ed europeista dopo gli attacchi di Macron e Merkel contro gli “estremisti” italiani, in realtà peggiora la situazione.

Castaldo infatti ribadisce di volere “superare il fiscal compact, archiviando la stagione dell’austerità”. 
Promette di sfasciare i conti: “Serve una spesa pubblica che generi posti di lavoro. Il debito è uno strumento, non il fine. Inutile appellarsi agli zero virgola”. 
Sui migranti, “la riforma del regolamento di Dublino deve includere anche quelli economici”.

E la Russia? 
“Le sanzioni non hanno ottenuto alcun risultato. È una potenza globale da cui dipende la nostra sicurezza energetica”. 
E pazienza se avvelena dissidenti a Londra: “L’unica via è il dialogo con Putin”.

Ma la spallata più grossa al Di Maio in versione democristiana arriva da Beppe Grillo. Il fondatore del movimento lo avverte: “No agli inciuci. Dobbiamo rovesciare gli schemi, cambiare il modo di pensare. Non assisterete a una mutazione genetica del movimento. Possiamo adattarci a qualsiasi cosa, a patto che si affermino le nostre idee. L’Europa è indifendibile, ormai l’epicentro di tutto sono Russia e Cina. Io non mollo, terrò gli occhi aperti su tutto. Anche su di noi. Governare non è dividere le poltrone”.

Dopo aver letto questa intervista incendiaria a Di Maio ieri mattina si è guastato l’umore. Poi si è ripreso, ed è andato a palazzo Madama per cercare di galvanizzare i suoi neosenatori: “Noi abbiamo il sorriso stampato sulla faccia, e con quello li facciamo impazzire tutti. Sono gli altri che si agitano”.

Dopo la girandola di deludenti telefonate di domenica agli altri leader, cerca di autoconvincersi: “Per il governo, credo che abbiamo ottime possibilità. Sono molto fiducioso, perché una forza politica delle nostre dimensioni è difficile metterla nell’angolo”.

Per ora, dall’angolo è stato lui a tirar fuori Emanuele Dessì, il corpulento senatore laziale cacciato dal M5s dopo aver scoperto che paga 7 euro al mese di affitto e che era amico del clan Spada: riammesso nel movimento. Così come le furbette del bonifico, la romagnola Giulia Sarti e la pugliese Barbara Lezzi. Nessuna pietà invece per Paolo Romani, il forzista candidato presidente del Senato: crocefisso per il telefonino imprestato alla figlia.

Mauro Suttora


Monday, March 19, 2018

Di Maio nel Nord che non lo ama

IL CAPO GRILLINO VA A COMO, DOVE HA RACCOLTO SOLTANTO IL 19%

di Mauro Suttora

Libero, 18 marzo 2018

La provincia di Como è stata avara con i grillini, appena il 19% dei voti il 4 marzo. Ma ieri Luigi Di Maio è tornato a Carugo, in Brianza, a trovare l’artigiano marmista Giuseppe Caggiano, fondatore di un’associazione antitasse che lo aveva ospitato in campagna elettorale, e lì ha magicamente moltiplicato la propria forza: «Abbiamo il 36% dei deputati, quindi rivendichiamo la presidenza della Camera».
In realtà il M5s ha preso il 32% dei voti, e anche calcolando la percentuale in seggi si arriva al 35% (222 eletti su 630, escludendo impresentabili, massoni e truffatori del bonifico, già espulsi in pectore).

Ma la matematica traballante non è mai stata un problema per lo statista di Pomigliano. Quindi ora, forte dei sondaggi che approvano un eventuale governo M5s-Lega (favorevoli il 43-46% dei grillini, il doppio di quelli che preferirebbero un’alleanza col Pd), cerca di piazzarsi al centro dei giochi e annuncia magnanimo: «Telefonerò ai principali esponenti dei futuri gruppi parlamentari: Salvini, Brunetta, Meloni, Martina e Grasso. A ognuno di loro dirò che noi vogliamo coinvolgere tutti in questa fase di individuazione delle figure che presiederanno le Camere, naturalmente riconoscendo il peso specifico di ogni vincitore».

Bontà sua. E aggiunge l’ovvio: «Non accetteremo candidati condannati o indagati». Come se gli altri partiti smaniassero dalla voglia di imporre loschi figuri. Ma effettuando così un’ulteriore inversione a u rispetto all’ultimo garantismo appiccicaticcio grillino, che ora deve assolvere i numerosi indagati presenti anche nelle proprie fila.

Infine, il capo pentastellato se la piglia con i vitalizi: «I nuovi uffici di presidenza dovranno abolirli». Peccato che siano già stati cancellati dal governo Monti sei anni fa. Quanto a quelli pregressi, difficile che i tribunali cancellino i diritti acquisiti. E pericoloso per le pensioni di tutti noi.

Insomma, un Di Maio in perenne campagna elettorale ancora mezzo mese dopo il voto, che fa propaganda e gira come una trottola per l’Italia. In mattina si era fatto vedere al Cosmoprof alla Fiera di Bologna, assieme al ras grillino locale Max Bugani.
È l’unico abilitato a parlare, fra le centinaia di parlamentari grillini cui è stata imposta la mordacchia dal figlio di Casaleggio e dal capo della comunicazione Rocco Casalino (che, si scopre ora, si è inventato un master negli Usa).

Così il dibattito si sfoga nei gruppi privati di facebook, dove la fa da padrone la rivelazione di Vittorio Sgarbi: «Mi dicono che Di Maio sia fidanzato con Vincenzo Spadafora, suo collaboratore fatto eleggere senatore in Campania».
Ovviamente tutti precisano che i gusti sessuali dell’aspirante premier grillino sono irrilevanti. «Però sarebbe buffo che per negarli Gigi si circondasse di finte o vere fidanzate», commenta perfida Marika Cassimatis, vincitrice delle primarie a sindaco di Genova poi espulsa dal movimento.

Un altro espulso, Fabio Fucci sindaco di Pomezia (città laziale di 65mila abitanti, grillina da 5 anni), lodatissimo fino a pochi mesi fa come amministratore modello, è stato fatto cadere dai suoi compagni di partito. Non sopportano che, sulle orme di Federico Pizzarotti a Parma (rieletto trionfalmente), voglia ricandidarsi. «Viola la regola dei due mandati», strillano. La stessa regola che centinaia di parlamentari grillini neoeletti si apprestano a violare in caso di ritorno alle urne.

Intanto, nel totonomine per la presidenza della Camera, salgono le quotazioni del 5 stelle ex berlusconiano Emilio Carelli, che sarebbe andato a chiedere una sponsorizzazione personale perfino a Gianni Letta, eminenza grigia dell’ex odiato Cavaliere.

Mauro Suttora