Friday, June 24, 2016

Gli inglesi dicono no all'Europa

di Mauro Suttora

Oggi, 24 giugno 2016

Il martirio di Jo Cox non è servito a tenere il Regno Unito dentro all’Europa. La povera deputata laborista ammazzata per strada dal pazzo nazionalista Thomas Mair non ha fatto cambiar segno al referendum Brexit (British exit) di giovedì 23 giugno. Hanno prevalso gli antieuropeisti.

«La verità è che la maggioranza dei britannici non è mai stata pro Europa, fin dall’adesione all’allora Cee nel 1972», avverte Fareed Zakaria, commentatore della Cnn. La Gran Bretagna ha sempre considerato l’Europa come una semplice area di libero scambio, senza tariffe e dazi doganali. Guai a parlare di unione politica.

Per tutti gli anni 80 Margaret Thatcher fece guerra a Jacques Delors, presidente francese della Commissione di Bruxelles, e a Bettino Craxi. Oltre a rifiutare gli accordi di Maastricht che hanno poi portato all’euro, la Lady di Ferro conservatrice detestava i socialisti Delors e Craxi. Quindi nazionalismo inglese contro federalismo, ma anche liberismo thatcheriano contro statalismo.

Il Regno Unito era già l’unico dei 28 Paesi Ue (con l’Irlanda) a non avere abolito passaporti e confini. Rimasto fuori dall’area Schengen, si era guardato bene anche dall’aderire all’euro (assieme ad altri dieci Paesi). «Quindi l’uscita dall’Unione è un trauma solo fino a un certo punto, ai fini pratici», dice Zakaria, «perché i britannici sono sempre rimasti fuori a metà».

E per gli italiani, quali saranno le conseguenze di un’Europa senza Londra? 
I nostri risparmi se ne sono già accorti: le Borse e i fondi azionari (anche pensionistici) sono calati del 10% in pochi giorni fino all’omicidio Cox. L’euro forse si rafforzerà sulla sterlina, ma sicuramente s’indebolirà nei confronti del dollaro e del resto del mondo.

L’Italia non ha un grande interscambio con il Regno Unito: i 31 miliardi di import/export sono un quarto di quelli con la Germania, la metà degli scambi Italia/Francia, e valgono quanto quelli con la Russia.
La bilancia commerciale però è a nostro favore: 21 miliardi di esportazioni (cibo, moda, macchinari, mezzi di trasporto) contro 10 di import. Quindi, se si dovesse scatenare un’improbabile guerra commerciale, ci rimetterebbero le nostre aziende. Soprattutto le lombarde, che da sole coprono un quarto dell’export.

In Italia risiedono 26mila britannici: niente, rispetto al mezzo milione di pensionati inglesi che svernano in Spagna. Ma siamo amatissimi da quattro milioni di turisti che arrivano ogni anno, e che ci portano 2,6 miliardi. L’attrazione è reciproca: fra turisti italiani ed emigrati, il Regno Unito supera la Germania come nostra meta, ed è pari alla confinante Francia.

I nostri emigrati in Gran Bretagna non subiranno contraccolpi dal Brexit. Anche i più accesi xenofobi dell’Ukip (l’United Kingdom Independence Party di Nigel Farage) non ce l’hanno infatti con gli italiani, che da generazioni lavorano duramente e sono rispettati dagli inglesi. Gli antieuropeisti temono di più gli immigrati slavi e balcanici che approfittano dei sussidi in quanto cittadini Ue, e soprattutto l’ondata di africani e arabi degli ultimi mesi, con le strazianti scene a Calais.

I pericoli per l’Italia dall’addio del Regno Unito sono quindi indiretti, e politici. L’esempio del Brexit potrebbe essere seguito da altri Paesi con forti partiti neonazionalisti: Olanda, Grecia, Finlandia. Anche gli antieuropeisti tedeschi di Alternative für Deutschland, già oltre il 10%, si galvanizzeranno, così come i lepenisti francesi e i leghisti e grillini italiani. L’Unione Europea si dimostra debole e friabile: gli speculatori internazionali potrebbero scommettere contro l’euro come nel 2011.

Così lo spread degli interessi sul nostro immenso debito (2.230 miliardi) potrebbe tornare ad allargarsi rispetto a quelli pagati dai tedeschi. L’Italia rimane infatti l’anello debole d’Europa con Spagna, Portogallo e Grecia.

Infine, ci sono anche quelli che reputano vantaggioso un addio di Londra: «Senza gli inglesi che da 40 anni trascinano i piedi», ragionano i federalisti più ottimisti, «il traguardo degli Stati Uniti d’Europa potrebbe rivelarsi più vicino: unione politica, finalmente, e non solo finanziaria ed economica».
Pochi ma buoni, insomma. Magra consolazione

Mauro Suttora

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