Tuesday, December 24, 2013

Forconi: chi sono

I LORO CAPI UNITI DA DEBITI, TASSE NON PAGATE E DISASTRI ELETTORALI 

Oggi, 18 dicembre 2013

di Mauro Suttora

Il movimento dei Forconi, attrezzo con cui vorrebbero cacciare i politici, è stato fondato l’anno scorso da Mariano Ferro, 53 anni, agricoltore con venti ettari ad Avola (Siracusa) e assegni protestati per 7 mila euro. Le disavventure col fisco uniscono tutti i capi della protesta.
Danilo Calvani, 51 anni, agricoltore di Pontinia (Latina), una compagna, quattro figli, ragioniere mancato, ha un’azienda fallita per 140mila euro fra tasse non pagate, debiti con le banche e contributi per i dipendenti non versati all’Inps. È diventato famoso per essere arrivato a un corteo sulla Jaguar di un amico camionista.
Lucio Chiavegato, 48 anni, ex falegname di Bovolone (Verona), tre figli, ditta di arredamenti per hotel, fondatore vent’anni fa degli anti-fisco di Life (Liberi imprenditori federalisti europei) e oggi animatore dei secessionisti di Veneto indipendente, ha debiti bancari per 320 mila euro.
Questi sono i tre coordinatori nazionali dei Forconi autorizzati a parlare con i media. Ma anche gli altri hanno problemi con Equitalia: l’industriale siderurgico Giovanni Zanon (ipoteca per 11 mila euro) e l’allevatore Giorgio Bissoli (27 mila).

Non è vero che ai Forconi non interessa fare un partito. In realtà ci hanno già provato tutti, ma con risultati disastrosi. Ferro, ex candidato sindaco per Forza Italia nella sua Avola, alle regionali siciliane 2012 prese soltanto l’1,5 per cento. Calvani, candidato sindaco a Latina due anni fa: 320 voti, lo 0,4 per cento. Peggio Chiavegato capolista del Partito nasional veneto alle regionali 2010: 141 voti, lo 0,18 per cento.

Ora i capi dei Forconi litigano fra loro. Andrea Zunino, 60 anni, convertito all’islam, è stato cacciato dopo una frase contro i «banchieri ebrei». Ferro e Chiavegato si sono dissociati da Calvani sulla manifestazione nazionale a Roma del 18 dicembre: «Troppi rischi di infiltrazioni violente».

Estremisti di destra (Forza nuova, Casa Pound) e di sinistra (centri sociali come Askatasuna a Torino) approfittano delle proteste pacifiche dei Forconi per attaccare le forze dell’ordine.
Le quali hanno adottato una strategia morbida. A Milano, per esempio, non sono intervenute per sgomberare gli appena 200 manifestanti che per ben quattro giorni hanno fatto impazzire il traffico nella zona nevralgica di piazza Loreto. Gli unici a usare le maniere forti sono stati i tifosi dell’Ajax per far passare il loro pullman.

Cosa vogliono i Forconi? Protestano contro tasse (Equitalia, Guardia di finanza), politici (tutti, grillini compresi) e la crisi in genere. Niente richieste specifiche. Gli autotrasportatori, che incassano ogni anno 1,4 miliardi di sconti sul gasolio, si sono dissociati.

Forza Italia e Movimento 5 stelle sperano di approfittare di questi moti di piazza, raccogliendo i voti dei Forconi alle europee del prossimo maggio. Ma nessun partito si era accorto della protesta che montava su Internet con la parola d’ordine «Il 9 dicembre blocchiamo l’Italia». 

Wednesday, December 18, 2013

Renzi: buoni e cattivi


di Mauro Suttora

Oggi, 11 dicembre 2013

Doppia vittoria per Matteo Renzi alle primarie del Partito democratico: 68 per cento con 2,6 milioni di votanti. Il nuovo segretario del Pd appena due anni fa sembrava un esagitato che urlava di voler rottamare tutti i dirigenti del proprio partito. Oggi se n’è impadronito, e per chi non è salito sul suo carro (come gli accorti Walter Veltroni ed Enrico Franceschini) si annunciano tempi duri.

«Ridurrò i costi della politica di un miliardo», promette Renzi, «sostituirò i senatori con un’assemblea di sindaci e presidenti di regione che lavoreranno gratis». Beppe Grillo trema: lo scettro dell’Uomo nuovo passa nelle mani del sindaco di Firenze. Ma anche gli altri protagonisti della politica italiana, da Silvio Berlusconi a Mario Monti, sembrano cariatidi rispetto a questo 38enne arrembante.

Ecco chi sale e chi scende (in politica, ma anche in economia, tv, mondo dello spettacolo e cultura) con l’inizio dell’era Renzi.

Romano Prodi sale: ha deciso in extremis di andare a votare, per vendicarsi dei 101 anonimi parlamentari Pd che otto mesi fa lo pugnalarono nella corsa al Quirinale. Massimo D’Alema, viceversa, scende: è stato lui il maggiore avversario del sindaco dentro al partito, e anche adesso non si tira indietro: «Ne ho visti tanti, passerà anche lui».
 
Piero Fassino, segretario Pd fino al 2007 e oggi sindaco di Torino, sale: diventerà presidente del partito. Stefano Fassina, viceministro dell’Economia ed esponente della sinistra interna, non condividerà il nuovo corso liberale.

Carlo De Benedetti, proprietario del giornale La Repubblica, ha messo le vele al vento: «È necessario saltare una generazione per cambiare il pd». Eugenio Scalfari invece, quasi 90enne fondatore di quel quotidiano, ha scritto sprezzante: «Renzi è un avventuriero, come piacione meglio Fabio Volo e i suoi libri».

Tempi duri per Mario Orfeo, direttore del Tg1: troppo accondiscendente con il premier Enrico Letta. Salgono in Rai le quotazioni di Monica Maggioni, direttrice Rainews (nonostante il buco sulla morte di Nelson Mandela), e Gerardo Greco (Agorà, Rai3).

Tempi durissimi per Susanna Camusso e tutti i sindacati: «È arrivato il momento di discutere seriamente dei loro bilanci e del loro ruolo in questo mondo del lavoro che cambia così velocemente», minaccia Renzi. Il cui volto nuovo, in tv, è l’angelica ma tosta 33enne Maria Elena Boschi, sua concittadina avvocata, una dei pochi deputati renziani.

Jovanotti è passato da Veltroni a Matteo, surfando sull’onda delle canzoni adottate come inni alle convention di Firenze. Fabio Fazio invece pare abbia votato Pier Luigi Bersani alle scorse primarie e Gianni Cuperlo in queste: doppio fallo. Come per il regista/attore Nanni Moretti.

Debora Serracchiani, rottamatrice della prima ora, adesso è governatrice della regione Friuli-Venezia Giulia. Per lei un futuro a Roma (ministro?). Della variopinta corte renziana fanno parte anche Oscar Farinetti (Eataly, presente a Leopolda 2) e lo scrittore Alessandro Baricco. Pippo Baudo ha votato per lui nel gazebo di piazza del Popolo.

Fra gli antipatizzanti nel mondo dello spettacolo Sabrina Ferilli (comunista storica, arroccata a Cuperlo come Monica Guerritore), Alba Parietti («Renzi ha una figura berlusconiana»), gli attori Elio Germano (sprezzante: «Sono di sinistra, quindi col Pd non c’entro») e Riccardo Scamarcio: «Incredibile che dei politici vestano giubbotti di pelle. Gli attori siamo noi, perché vogliono rubarci il mestiere? È avanspettacolo». Duro anche Claudio Sabelli Fioretti (Un giorno da pecora, Radio2): ««La linea di Renzi sarà un dramma per il Pd».

Fra i simpatizzanti, Victoria Cabello («È l'uomo del rinnovamento che serve al Pd e all'Italia») e Neri Marcorè: «Ha carisma e capacità». Il regista Fausto Brizzi (Notte prima degli esami, Femmine contro maschi), ospita Renzi a casa sua quando dorme (raramente) a Roma.

Sarà strage fra i dirigenti Pd: Anna Finocchiaro, Rosy Bindi, Bersani, Franco Marini, anche giovani ministri come Andrea Orlando (Ambiente). Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi e il viceministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà sono detestati da Renzi in quanto boiardi di Stato: «Chi guadagna di più nella pubblica amministrazione? Ridurre la burocrazia vale due punti di Pil». 

Fuori anche la ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri per le telefonate ai Ligresti. Niente di buono in vista, infine, per Berlusconi (che preferì Enrico Letta a Renzi come premier in aprile), Monti e Letta stesso (nonostante la colleganza di partito: due galli in un pollaio sono troppi).

Si sono invece riciclati in tempo Roberto Giachetti, Goffredo Bettini, Paolo Gentiloni. Che però dovranno obbedire a Luca Lotti, nuovo vice-Renzi a Roma. Gran furbo anche il ricco costruttore ed editore Francesco Gaetano Caltagirone  che fiutando il nuovo corso ha incontrato Renzi e ora lo loda, preferendolo al genero Pier Ferdinando Casini.

Nel mondo economico sono renziani anche il gestore di fondi Davide Serra (liquidato come «speculatore delle Cayman» da Bersani), Andrea Guerra (ad Luxottica), Francesco Micheli (banca Lazard, 10 mila euro da suo figlio Carlo al comitato Renzi), il finanziere Guido Roberto Vitale (5 mila euro), Yoram Gutgeld (ex consulente McKinsey, fatto eleggere deputato) e Fabrizio Palenzona (vicepresidente Unicredit e potente capo dell’Aiscat, concessionarie autostradali).
Mauro Suttora

Wednesday, December 11, 2013

Cgia di Mestre

In teoria dovrebbero limitarsi ad assistere gli artigiani di Venezia. In pratica, i loro comunicati fanno tremare ministri e imbestialire i burocrati romani. Ecco chi sono i «cervelloni» del Centro sudi più citato d'Italia

dall'inviato Mauro Suttora

Mestre (Venezia), 5 dicembre 2013

Gli americani hanno i Nobel del Mit di Boston, gli inglesi i professori di Cambridge, i tedeschi i think tank di Francoforte. Noi abbiamo gli artigiani di Mestre. Altro che Istat, o uffici studi Bankitalia e Bocconi. È la «Cgia di Mestre» quella che da vent’anni fa le pulci, inesorabilmente, a ogni provvedimento del governo italiano.

Letta promette sgravi fiscali? Nei tg la Cgia (sigla misera per un nome altisonante: Confederazione Generale Italiana Artigianato) lo ridicolizza subito, calcolando che sono solo 14 euro al mese. Tremonti annunciava meno tasse? La Cgia lo smentiva dopo poche ore. Monti vedeva «la luce in fondo al tunnel»? La Cgia sghignazzava, scodellando dati pessimi.

Ormai il dibattito politico/economico in Italia vede da una parte i ministeri romani, e dall’altra questa imperscrutabile Cgia. La quale gode di un successo incredibile presso tv e giornali: dal 1994 ha avuto 1.340 suoi comunicati ripresi dall’agenzia Ansa. Solo quest’anno siamo già arrivati a 300. Una cascata di notizie che arrivano sempre al momento giusto. Dopo l’alluvione in Sardegna, per esempio, la Cgia ha denunciato: soltanto l’uno per cento dei 43 miliardi di tasse «ambientali» che paghiamo va alla reale protezione del territorio.

Arruolato pure l’addetto alle paghe
Chi sono questi maghi di Mestre? E i loro dati sono attendibili? Andiamo a trovarli. Scopriamo che stanno in una avveniristica torre di vetro e acciaio alla periferia della città. Lavorano per l’ufficio studi 15 degli 85 dipendenti della Cgia provinciale veneziana. Ma perché mai gli artigiani qui sono così combattivi, e dedicano tante risorse alla polemica politica?

La risposta è tutta in un nome e cognome: Giuseppe Bortolussi. È il 65enne presidente della Cgia, per la quale lavora da un terzo di secolo. Ed è un vero «rompibae», come dicono da queste parti.
Documentatissimo e fluviale nell’eloquio, dirige la sua squadra ormai quasi a memoria. Ogni mattina si riuniscono e individuano i temi al centro dell’attenzione. Poi sfornano dati per giornalisti affamati di notizie, ma troppo pigri per trovarle da soli.
«E non ci vogliono professoroni per fare quattro calcoli», assicura Bortolussi, «basta il nostro funzionario addetto alle paghe o l’esperto sindacale per smascherare le bugie di Roma».

Parla un leghista apostolo degli evasori del Nordest? Macché. Bortolussi era candidato del Pd alle ultime regionali in Veneto nel 2010. Ha preso il 30%, contro il 60 di Lega Nord e Pdl. Ora è consigliere regionale. Prima, è stato a lungo assessore di Venezia nella giunta di sinistra di Massimo Cacciari.
I suoi 2.500 iscritti (a 200 euro l’anno) non protestano per questa sua caratterizzazione politica? «Nessuno. Perché difendiamo bene i loro interessi».

L’ufficio di Bortolussi, al quinto piano, è in cucina. Una cameretta con frigo, lavabo e gas progettata come foresteria. Ma a lui piaceva: ha aggiunto un tavolo, una sedia, e da lì fa tremare i ministri dell’Economia. Su uno scaffale i libri dei suoi economisti preferiti: Peter Drucker e Philip Kotler.
La sua apoteosi è arrivata il 15 novembre, quando il ministro Fabrizio Saccomanni ha dovuto smentire il proproprio dipartimento Finanze sui lavoratori dipendenti che pagherebbero più tasse degli imprenditori. «Non era mai successo che facessero marcia indietro su carta intestata», gongola Bortolussi.

Per conquistare valanghe di citazioni sui media la Cgia usa alcuni accorgimenti. Il principale è quello di sfornare i propri comunicati di sabato e domenica, quando spesso i giornalisti non sanno come riempire pagine e tg. «Ma non è un trucco», avverte Bortolussi, «lo facciamo perché molti nostri associati non hanno tempo di leggere i giornali quando lavorano, durante la settimana, e quindi lo fanno soprattutto nei week-end».

Bortolussi non è laureato (gli mancava la tesi di Legge). Ma, se è per questo, non lo sono neppure Bill Gates (Microsoft), Steve Jobs (Apple), Mark Zuckerberg (Facebook).
In compenso l’ufficio studi abbonda di titoli accademici e ha trenta collaboratori esterni, con molti docenti universitari. Paolo Zabeo coordina l’ufficio stampa, Catia Ventura i ricercatori.

Poca dimestichezza con le cifre
In un Paese come l’Italia, con scarsa dimestichezza per i numeri, abbondano i cialtroni (specie fra certe «associazioni dei consumatori») che spesso spacciano cifre clamorose ma infondate. Per esempio, le tredicesime che sarebbero quasi completamente ingoiate dalle tasse.
«Noi controlliamo i dati cinque volte», assicura Bortolussi, «non spariamo alla cieca per poi essere smentiti».

Unica fortuna dei burocrati statali: il «rompibae» non abita a Milano o Roma. Quindi le sue apparizioni in tv sono limitate dalla lontananza fisica dagli studi. E i collegamenti in video con Mestre non sono così efficaci come la presenza fisica.
Mauro Suttora 

Candidati primarie Pd


IDENTIKIT

di Mauro Suttora
Oggi, 4 dicembre 2013

MATTEO RENZI: IL FAVORITO

età e luogo di nascita: 38, Firenze.
formazione: liceo classico, laurea in Legge, scout.
carriera: presidente della Provincia di Firenze dal 2004 al 2009, poi sindaco di Firenze.
famiglia: moglie Agnese, tre figli: Francesco, Emanuele, Ester.
promesse difficili: «Taglierò di un miliardo i costi della politica, a partire dal Senato».
bugia: «Non ho dietro geni del marketing».
peggior avversario: il comico Maurizio Crozza. La sua imitazione su La 7 ogni venerdì sera è devastante.
merkel all’alba: lo scorso luglio la Cancelliera lo ha sì ricevuto, ma dandogli appuntamento alle sei e mezzo del mattino.
simpatizzanti imbarazzanti: «Se Flavio Briatore la prossima volta vota Pd invece che Berlusconi, sono contento». 
sogni per il futuro: «Spero di avere una vita anche dopo la politica. Mi piacerebbe diventare conduttore televisivo».
incubo: che il governo di Enrico Letta duri troppo a lungo (fino al 2015), impedendogli di candidarsi a premier.
auto, camper e jet: ha una monovolume Volkswagen. Massimo D’Alema lo ha accusato di girare l’Italia  su un aereo privato, salendo sul camper solo all’ultimo minuto. Lui ha ammesso di averlo preso, ma solo una volta: «Per andare al funerale di Pier Luigi Vigna. E me lo sono pagato io, non con strani giochetti».



GIANNI CUPERLO: L'EX COMUNISTA

età e luogo di nascita: 52, Trieste.
laurea: Dams di Bologna, 1985. Tesi in Sociologia della comunicazione.
famiglia: sposato con Ines Loddo, come lui ex dirigente dei giovani comunisti. Si sono fidanzati, pare, durante un viaggio in Corea del Nord. Una figlia (Sara), un cane (Floyd).
carriera: ultimo segretario dei giovani comunisti  (1988-92). Deputato dal 2006.
“musicista”: scelse La Canzone popolare di Ivano Fossati come inno dell’Ulivo vincente di Romano Prodi nel ’96. Scelse anche Il cielo è sempre più blu come inno Ds per la segreteria Fassino (2001-07).
citazione: «Il futuro entra in noi molto prima che accada» (Rilke). Lo scelse come slogan nel congresso Pds del 1996.
lavoro: sempre nel partito a Roma dal 1987. Ha insegnato Comunicazione politica all’Università di Teramo.
auto e moto: Mercedes Classe A del 1998 e Vespa 300.
umiliazioni: scriveva i discorsi per D’Alema segretario Pds. Lui li apprezzava molto, ma non li leggeva mai.
ha detto sua figlia dopo il confronto con Renzi e Civati: «La politica si è ridotta a un minuto e mezzo di esposizione e 30 secondi di replica».


PIPPO CIVATI: LA SORPRESA

età e luogo di nascita: 38, Monza. (All’anagrafe Giuseppe).
formazione: Laurea e master in filosofia.
primo comizio: a 17 anni nell’aula magna del liceo classico Zucchi di Monza.
carriera: consigliere comunale Ds a 22 anni, regionale in Lombardia dal 2005 al 2013. Deputato Pd da febbraio.
lavoro: ha insegnato filosofia a Milano, Firenze e Barcellona.
passioni: nel 2002 diploma in «Civiltà dell’umanesimo» all’Istituto Studi sul Rinascimento di Firenze.
auto: Audi A4
svolta: nel 2010 organizza con Renzi il primo «raduno dei rottamatori» alla Leopolda.
tradimento: nel 2011 rompe con Renzi e si allea con Debora Serracchiani.
insulti: «Occhi da cerbiatto», «Cane da riporto»: Grillo lo accusa di voler comprare i suoi parlamentari.
barba: se l’è fatta crescere quest’estate per sembrare più uomo, imitando Franceschini.
famiglia: padre di una bimba di un anno avuta dalla compagna Giulia.
indagato: per 3 mila euro di rimborsi da consigliere regionale della Lombardia.
servizio civile: nell’Arci.
dicono di lui: «È la parte migliore di Renzi» (i perfidi).
dice lui: «Sono un rinnovatore, non un rottamatore. E non punto al “recuperlo”». «Prossimo presidente? Prodi o Rodotà».
blog: dal 2004 www.ciwati.it (pronuncia: «ci voti»).

Monday, December 09, 2013

Guerra di Esselunga


IL PADRE-PADRONE 88ENNE BERNARDO CAPROTTI CONTRO I FIGLI GIUSEPPE E VIOLETTA

di Mauro Suttora

Oggi, 4 dicembre 2013

«Spero sempre in una riconciliazione con mio padre»: questo è l’unico commento che Giuseppe Caprotti fa con Oggi sul dissidio che da dieci anni lo contrappone al padre Bernardo, fondatore di Esselunga.

Il padrone quasi novantenne della più redditizia catena di supermercati in Italia (ben 230 milioni di utile su un fatturato di 6,8 miliardi l’anno scorso, con un clamoroso +3% nonostante la crisi) ha appena sparato a zero sui due figli del primo matrimonio con Giorgina Venosta (poi moglie di Aldo Bassetti): «Negli anni ho dato a Giuseppe 82 milioni, 74 a Violetta e quattro al suo ex marito newyorkese». Più la villa di famiglia con parco di Albiate (Monza Brianza) a lui, e un castello in Svizzera a lei.

Questo per rispondere alla clamorosa notizia secondo cui Caprotti senior li a vrebbe quasi diseredati: negli ultimi dieci anni, infatti, su 80 milioni di donazioni ne ha dati solo due a Giuseppe e sette a Violetta, contro 30 alla seconda moglie Giuliana, dieci alla figlia di secondo letto Marina Sylvia, e soprattutto altri dieci alla fedele segretaria 65enne Germana Chiodi. Troppo fedele, secondo alcuni: nominerebbe lei i dirigenti di Esselunga e licenzierebbe quelli non graditi.

Scene da film, con auto nere

Una vera Dinasty lombarda, insomma, con scene degne di un film. Come quella del 2004 quando Bernardo fece parcheggiare quattro Mercedes nere con autista sotto la sede centrale Esselunga a Pioltello (Milano). Dopo una burrascosa riunione licenziò in tronco tre dei massimi dirigenti, accusandoli di aver preso tangenti e facendoli portar via dalle auto.

«La quarta era per me?», gli domanda il figlio Giuseppe, che dopo una gavetta di dieci anni era diventato amministratore delegato. «Non ancora», gli rispose il padre, ridendo. Ma da allora i rapporti si sono guastati, e Giuseppe è stato esautorato.

Il 3 dicembre c’è stata un’udienza del processo in cui i figli si oppongono al padre che nel 2011 li ha privati delle loro quote nella società fiduciaria proprietaria di Esselunga. Ma i tempi della giustizia sono eterni. Intanto, Caprotti senior ha annunciato che il 23 dicembre va in pensione. Non seminerà più il panico ogni mattina negli uffici del colosso con 20mila dipendenti e 140 supermercati (due in apertura a Roma, i primi così a sud). Ma c’è da scommettere che, come azionista, continuerà a piombare di sorpresa fra casse e scaffali con le sue ispezioni.

Insomma, alla fine la guerra dei Caprotti verrà decisa all’apertura del testamento. Come in tante famiglie ricche e illustri, dai Berlusconi in giù, con dissidi fra figli di primo e secondo letto.

Lusso fra Londra e New York

E pensare che all’Esselunga fino a dieci anni fa tutto sembrava procedere per il meglio. L’irrequieta Violetta, disinteressata a una carriera aziendale, viveva fra Londra e New York. Due mariti (2004 e 2010), due sfarzosi matrimoni: il primo all’hotel Dorchester con 600 invitati, il secondo con un gallerista belga e ricevimento doppio, a Venezia e Saint Tropez.

Il tranquillo Giuseppe, invece, dopo la laurea in storia alla Sorbona e stages in catene di supermarket negli Stati Uniti, si era fatto strada nell’azienda famigliare. Sotto la sua guida Esselunga si era tolta di dosso l’immagine di catena «dura»: guerra al sindacato, severità con i dipendenti, cassiere che si lamentavano di non potere andare in bagno a fare la pipì. Caprotti junior aveva introdotto vendite online e prodotti biologici.

Poi l’improvvisa rottura, e versioni  contrapposte: l’anziano padre accusa il figlio di non far quadrare i conti, il figlio risponde con una spiegazione psicologica tratta dall’Adriano di Marguerite Yourcenar: «Eravamo troppo diversi perché potesse trovare in me quel continuatore docile che avrebbe usato i suoi stessi metodi e fatto i suoi stessi errori. Ma era obbligato ad accettarmi. Ed era un’eccellente ragione per odiarmi».
Mauro Suttora