Wednesday, April 29, 2009

L'Eurocasta lavora 33 giorni all'anno

dal nostro inviato a Strasburgo (Europa)

Mauro Suttora

Oggi, 29 aprile 2009

In Francia il presidente Nicolas Sarkozy ha abolito la settimana lavorativa di 35 ore. Il Parlamento europeo, invece, quest’anno ha introdotto una novità mondiale: l’anno lavorativo di 33 giorni. Ai 785 eurodeputati, pagati 30mila euro mensili, basta volare a Bruxelles o a Strasburgo una volta al mese, starci due-tre giorni, ed è fatta.

Certo, ci sono anche le mezze giornate, come si vede nella tabella. Lunedì 4 maggio, per esempio, la seduta comincia alle 17 e va avanti fino a mezzanotte. Ma in realtà è una giornata libera: basta che l’eurodeputato prenda un aereo dal suo Paese verso le nove di sera, atterri a Strasburgo alle undici e vada subito a firmare il registro presenze. Così non perde la diaria di 300 euro al giorno. Idem per le mezze giornate al mattino: non è tanto importante l’orario di chiusura, le 13, quanto quello di inizio seduta: le nove. Anche lì, una capatina in sala, firmetta, e poi via verso l’aeroporto.

Il 2009 è un anno particolare, è vero: il 7 giugno si vota, quindi salta la sessione di quel mese. Risultato: ferie extralunghe, dall’8 maggio al 14 settembre. Ai nuovi eletti basterà andare tre giorni a Bruxelles a metà luglio per acclimatarsi.

L’eurodeputato radicale Marco Cappato ha chiesto che il Parlamento renda noti i dati di presenza dei suoi membri, in vista delle elezioni: unica occasione in cui possiamo giudicare i nostri rappresentanti. Niente da fare, il presidente ha opposto questioni di privacy. Allora i radicali hanno fatto da soli, e hanno compilato la classifica dei più assidui e degli assenteisti (pubblichiamo i dieci italiani migliori e peggiori nella pagina seguente). Attenzione, però: hanno calcolato non solo le riunioni plenarie, dove come abbiamo visto il giochetto è facile, ma anche altri indici di «produttività»: la partecipazione alle commissioni, il numero di rapporti scritti, di interrogazioni, di interventi in aula. I risultati sono imbarazzanti.

«Il problema degli eletti italiani è che non sanno le lingue», ci dice una dirigente dell’Europarlamento, ai piani alti della Torre di Strasburgo. Anonima, altrimenti addio carriera. La maggioranza assoluta dei nostri eurodeputati non parla bene l’inglese, o almeno il francese. «E questo è grave non tanto per le riunioni d’aula, dove è assicurata la traduzione simultanea, quanto per tutti i contatti di corridoio con i colleghi delle altre nazioni, che rappresentano il vero lavoro utile da svolgere a Bruxelles».

Infatti, da un punto di vista concreto l’Europarlamento serve a poco. E’ un organo consultivo, non decide quasi niente da solo. Non nomina governi, non toglie la fiducia, tutte le leggi (direttive) devono essere «codecise» assieme ai burocrati della Commissione. Alla fine chi comanda veramente non sono né il Parlamento né la Commissione, ma il Consiglio, composto dai ministri dei 27 stati membri. «E neanche loro hanno l’ultima parola, perché poi ciascuno stato è libero di mettere il veto, o di non applicare una norma».

Insomma, quello che voteremo fra un mese è un enorme, simpatico e costosissimo ente inutile che serve soprattutto per far socializzare centinaia di giovani portaborse multietnici (dalla Lettonia a Malta, dall’Irlanda a Cipro): sono loro a effettuare il vero lavoro, per l’eurodeputato di cui sono «assistenti». Il quale è libero di decidere quanto pagarli. Dispone di 17.500 euro al mese: può darli tutti a uno solo (magari parente o amante), oppure assumerne 17 a mille euro ciascuno. Può tenerli al Parlamento oppure nel proprio collegio elettorale.

Nella Babele di Strasburgo si parlano 22 lingue. Quindi, in teoria, il numero di interpreti è di 22 al quadrato, perché ciascuna lingua dovrebbe essere tradotta in ogni altra. Impresa impossibile. assorbirebbe tutto il bilancio dell’Unione. «Ci sono quindi le lingue-ponte», spiega la dirigente, «per esempio un interprete dall’estone all’inglese, e subito dopo un altro dall’inglese all’italiano».
Il risultato è comico. Se qualcuno fa una battuta, un terzo della sala ride subito, un terzo dopo dieci secondi, e gli altri dopo venti. Sempre che capiscano qualcosa, perché si calcola che ad ogni traduzione si perda in media il 30 per cento del significato.

«Gli irlandesi hanno preteso che il gaelico diventasse lingua ufficiale, anche se neppure loro lo parlano. E così i maltesi». Ora si aspettano il croato, il serbo, l’albanese, il norvegese, l’islandese, l’ucraino e il turco. Si spera invano che i moldavi accettino il rumeno.

L’altro grande spreco dell’Europarlamento sono le tre sedi: Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo Grandi traslochi di migliaia di persone e casse ogni mese. Costano 120 milioni di euro all’anno in più, calcolano i radicali. Di più, secondo i verdi. 200 milioni Dieci anni fa sia il Belgio sia la Francia, per paura di perderlo, hanno costruito un nuovo palazzo. Tutto è doppio.

Fino al ’99 Strasburgo usava le sale del Consiglio d’Europa: un altro ente diventato inutile dieci anni prima, col crollo del Muro di Berlino e l’entrata dei Paesi dell’Est nell’Unione. Ora i due palazzi troneggiano uno accanto all’altro, desolatamente vuoti per quaranta settimane all’anno.

Questa è la vita dell’eurodeputato. Pagatissima, undici mesi di ferie annui. Ma frustrante.

Mauro Suttora

3 comments:

lucabagatin.ilcannocchiale.it said...

In effetti è assai triste...e pensare che l'europa federata, con un suo governo sovranazionale, sarebbe una grande conquista....
Sono quasi certo, ad ogni modo, che quest'anno - a queste elezioni farsa con sbarramenti e liste del menga - non andrò a votare.

mildareveno said...

Basterebbe usare l'esperanto come lingua ponte. Si assicurerebbe la pari dignità delle lingue e il risparmio.

Trovo incredibile il masochismo dei paesi non anglofoni, considerato anche che in Gran Bretagna non hanno nemmeno adottato l'euro.

mildareveno said...

Tra l'altro è stata una proposta radicale.