Monday, July 30, 2007

Il nostro McInerney nella citta' dell'eros

Nel suo libro 'No Sex in the City' Mauro Suttora riscopre i metodi degli anni '80

recensione del quotidiano 'Libero', 30 dicembre 2006

di Francesco Specchia

La classe non è acqua. E se lo fosse, potrebbe essere solo l'acqua grigia e vanitosa del fiume Hudson. Che a est taglia il New Jersey; mentre a ovest accarezza Manhattan come un sorso di champagne sprizzato in una flute.
Il suo scrosciare echeggia, lieve, fra i jazz club di Bleecker Street, i negozi di Armani e Calvin Klein, il profumo delle librerie antiquarie e quello dei dollari; fino a insinuarsi negli appartamentini del Village. Dove branchi di intellettuali radical chic ticchettano al computer la loro storia.

Uno di quegli intellettuali è Jay McInerney, l'uomo che nel best seller 'Le mille luci di New York' spogliò la Grande Mela, la rintronò d'alcol e cocaina e ne fece un mito degli anni '80. Un altro (meno intellettuale e - vivaddio - più giornalista) è Mauro Suttora, classe '59, moderatamente single, corrispondente del settimanale Oggi e columnist del New York Observer dal "centro esatto del mondo", ossia lo sterno, le viscere e l'inguine di Manhattan.

I due, Suttora e McInerney, non lo sanno ma si somigliano assai. Il primo è stato titolare d'un posto da cronista in una rivista chic, di tre mogli e due fidanzate, tutte modelle (l'ultima, Helen Bransford, è corsivista di Vogue); di due psicanalisti di fiducia; una passione smodata per Joseph Conrad e le storie dei reietti che galleggiano nei docks e la vodka on the rocks.

Il secondo ha vissuto, vent'anni dopo, tra preconcetti neocon e mostre al Guggenheim, donne-mantidi che lo divoravano in taxi o lo piantavano per email; mogli di ambasciatori che cattolicamente si spogliavano e pretendevano di "non essere penetrate"; riunioni condominiali all'insegna dell'equo canone selvaggio; aspiranti futuri suoceri Upper Eastsiders (abitatori di quartieri molto snob) che ritengono il gioco del golf e l'affitto di elicotteri le più nobili delle occupazioni.

Un'avvertenza. Il sesso - quello, vischioso, nelle feste per mannequin e brokers di McInerney e quello giocoso nel Rizzoli bookstore sulla 57esima Strada di Suttora - in questo tipo di letteratura è solo una scusa. O meglio una lente, un fil rouge che intreccia sapide microstorie, un espediente letterario che finisce per raccontare l'anima di New York stessa, la città più citta di tutte, il crogiuolo etnico che Henry James dichiarava "spaventosa, fantasticamente priva d'eleganza, confusamente orrenda".

New York è il cuore, il cervello, l'estremità, il pinnacolo del Nuovo Mondo. Per molti di noi è l'universo passionale dell'architetto Stanford White e Irving Berlin, di Dorothy Parker e dei coniugi Bernstein nel quale tutti ci muoviamo con confusa dimistichezza, una dimensione già descritta nel cinema di Chaplin, Scorsese, De Niro, Pacino, e dalla televisione di 'Sex and the City', del quale il libello di Suttora è la vera, solidamente virile, risposta italiana. L'ironia che annaffia il tutto, perlomeno, è la stessa.

Quando, ad esempio, parla dell'esemplare di fenotipo femminile un po' frigido dell'Upper East Side, Suttora suggerisce che "utilizza il proprio organo sessuale soprattutto per intrattenerci monologhi. Di qui il devastante successo della pièce teatrale sull'argomento: 'I monologhi della vagina'..."
E, forse senza nemmeno rendersene conto, si riaggancia al McInerney di 'Com'è finita', il cinico narratore di mignotte e prosseneti d'alto bordo, ex portaborse di deputati democratici che si mutano in fenomenali voltagabbana, gente che si giustifica ricordando che "Non è stato Kissinger a dire che il potere è afrodisiaco?"

Certo Suttora è meno politico di McInerney; soprattutto non fa del post-yuppismo una categoria dello spirito, non foss'altro perché sarebbe anacronistico. Dal suo "esilio newyorkese" il cronista vede l'eros come inevitabile compagno d'avventura. Gli dà, quasi, una forma socratica.
Quando, citando un indimenticato apologo di Massimo Fini sulla poesia del fondoschiena femminile, attribuisce agli americani la qualifica rozza e volgarotta di "bosomen" (più portati al seno che al culo, contrapposti ai "bottomen"), egli certifica un'innegabile prevalenza culturale europea; e, al contempo, traccia una mappa dei luoghi cittadini visti da dietro: "Quello fra Upper West Side e Central Park è un fondoschiena intellettuale, colloquiale... Il culo di Carnegie Hill è invece nobile: alto, lungo e appena rilevato... i culi popolari, bassi e larghi, sono purtroppo rari a Manhattan".
Come gli scrittori italiani che davvero sanno corteggiarla.

Wednesday, July 18, 2007

I conti in rosso delle auto blu

Sprechi d'Italia. Quanto ci costano le vetture di politici e dirigenti

Dieci miliardi di euro l'anno per mantenere il parco macchine di Stato più oneroso del mondo. Tutti i governi promettono di darci un taglio. Ma i privilegi restano. E noi paghiamo

Oggi, 18 luglio 2007

di Mauro Suttora

Roma, Villa Borghese, nove del mattino. In piazzale del Fiocco c' è un viavai continuo di auto blu. In teoria nel parco pubblico dovrebbero passare solo polizia, pompieri, ambulanze, bus e taxi. In pratica, per evitare gli ingorghi, la Casta di politici e dirigenti ministeriali che abitano ai Parioli trovano comodo raggiungere i propri uffici in centro grazie a questa furba scorciatoia.

Quante sono le auto blu (e grigio metallizzate, colore oggi più di moda) in Italia? Esattamente 574.215, ha calcolato due mesi fa l'associazione Contribuenti.it. Cifra tanto minuziosa quanto esagerata, perché ci sono finiti dentro tutti i veicoli di proprietà pubblica. Compresi per esempio i mezzi militari, le auto delle forze dell' ordine o tutte le ambulanze. "Trecentomila", ha sparato il settimanale L'Espresso l'anno scorso, ma includendo anche i veicoli di regioni ed enti locali. Altrimenti, "150-170 mila per le sole auto di ministeri ed enti pubblici non territoriali". La verità è che nessuno sa quante siano.

L'unico dato su cui tutti concordano: sono troppe. "Le auto di rappresentanza non possono essere uno status symbol, ma una risposta a reali necessità", aveva tuonato il premier Romano Prodi nel suo discorso d'insediamento, un anno fa. E si era impegnato a dimezzare le scorte per i politici. Anche perché i confronti con l' estero sono umilianti (vedi la tabella nella pagina precedente). Infatti l'articolo 11 del decreto legge sulla riduzione dei costi politico amministrativi che sta preparando il governo (sull'onda dell'indignazione popolare) prevede appunto una drastica riduzione delle macchine a disposizione dei rappresentanti del popolo. Ma è facile che nei successivi passaggi in Parlamento le buone intenzioni finiscano per rimanere tali.

Siamo troppo pessimisti ? No, citiamo la storia che in questo caso sempre si ripete. Prima di Prodi, in tanti avevano promesso di darci un taglio: "Per ordine del presidente Benito Mussolini tredici vetture su sedici dovranno dismettersi entro domani sera", intimava la lettera ricevuta il 7 marzo 1923 dal ministero degli Interni. Ne rimanevano solo una per il capo della polizia De Bono e due per i sottosegretari Giacomo Acerbo e Aldo Finzi. Il ministro era Mussolini stesso, che però utilizzava l' auto da presidente del Consiglio.

Il governo Andreotti stabilì, nel 1991, che avessero diritto all' auto di Stato solo ministri, sottosegretari e qualche direttore generale. Nulla di fatto. Umberto Bossi tornò alla carica nel ' 93, e dopo di lui il primo governo Prodi quattro anni dopo. Niente. Silvio Berlusconi nel 2001 incaricò il consulente Luigi Cappugi di risolvere infine la questione. L'economista calcolò che ogni auto blu costa al contribuente 70 mila euro l'anno, inclusi autista, benzina e manutenzione. Totale: dieci miliardi e mezzo di euro, una cifra folle. Soluzione draconiana, quindi: togliere l' auto blu a quasi tutti i politici e dirigenti, sostituendole con taxi. Risparmio: sette otto miliardi, tutto il "tesoretto" di cui si parla in questi giorni. Ma ancora una volta la burocrazia ha avuto la meglio.

Ci ha riprovato il deputato di Forza Italia Guido Crosetto nel 2004, facendo approvare nella Finanziaria un taglio del dieci per cento annuo sulla flotta delle auto blu in ogni ministero, per tre anni fino al 2007. "E per evitare trucchi", dice a Oggi, "avevo fatto includere anche quelle in leasing e a noleggio. Conosco i miei polli...".

Il problema è che lo Stato stesso non conosce la consistenza della propria flotta di auto blu. Solo un anno fa, infatti, è arrivata la prima relazione con i numeri che ogni ministero ha svogliatamente contabilizzato (vedi la tabella in alto a destra). Per confondere le acque, però, sono state inserite negli elenchi migliaia di auto che non c' entrano nulla: tutte le 8.489 della Guardia di Finanza, per esempio, senza differenziare fra vetture di rappresentanza per i generali e quelle operative. Più onestamente, il ministero della Difesa ha specificato in 304 le auto blu per gli alti gradi dei Carabinieri. Il ministero degli Interni ha addirittura barato in toto, denunciando 20.444 mezzi della Polizia, 2.523 per i Vigili del fuoco, e nessuna auto blu. Non compare quindi nella nostra tabella.

Il ministero più "sprecone" è quello della Giustizia, con ben 712 auto in "uso esclusivo", cioè assegnate personalmente con autista, a ministro, sottosegretari e magistrati, più altre 1.186 blindate per magistrati in uso non esclusivo (a turno, o temporaneamente). Ma davvero sono così tanti i magistrati nel mirino ? Sia chiaro, nessuno vuole far correre rischi a chi combatte la mafia o i terroristi, ma sarebbe interessante conoscere quante auto blu blindate ci sono nelle regioni a rischio, e quante invece a Roma. Il dato, però, è top secret.

Il ministero più generoso nel concedere le vetture in uso esclusivo (il massimo dello status) è quello di Infrastrutture e Trasporti: ben 69. Un capitolo a parte merita il ministero dell' Istruzione, che fino a un anno fa inglobava anche Università e Ricerca. Ebbene, la sola università di Pisa risulta avere 124 vetture: come quella di Firenze, e più del doppio dell' università La Sapienza di Roma, che però è assai più grande. Di ben 40 auto dispone l' università della Tuscia di Viterbo, nata solo nel ' 69. Perché mai rettori, presidi e professori universitari devono andare in giro con l' autista, visti anche i miseri stipendi dei loro colleghi nelle altre scuole di ogni ordine e grado ?

Nell' elenco, oltre ai ministeri, abbiamo inserito anche tre enti presenti nella relazione al parlamento: Consiglio di Stato e Tar, i tribunali amministrativi regionali, Monopoli e Corte dei conti. Particolarmente imbarazzante la situazione di quest' ultima: su 51 auto blu in dotazione, ben 41 sono in uso esclusivo. È una percentuale più alta di qualsiasi ministero. Spetta proprio alla Corte dei conti vigilare sugli sprechi di denaro pubblico, ma forse la Corte i controlli dovrebbe cominciare a farli su se stessa... "Quel che più allarma, in tutto questo spreco", ci dice Franca Rame, senatrice dell' Italia dei Valori, "è l' aumento degli ultimi anni".

La presidenza del Consiglio nel 2005 ha speso per 115 auto blu 2,1 milioni di euro: più del doppio rispetto a quattro anni prima. La Camera dei deputati, oltre alle 37 auto blu per presidente, vicepresidenti e tutti i presidenti di commissione, l' anno scorso ha pagato per il noleggio di auto con autista il 357 per cento in più del 2001 (da 28 a 140 mila euro). Quanto al Senato, negli ultimi cinque anni la spesa per il noleggio di veicoli si è impennata del 36 per cento, ben oltre l' inflazione (da 309 a 460 mila), mentre, in parallelo, il costo della "gestione autoparco" (da 116 a 220 mila euro) veniva quasi raddoppiato e contemporaneamente aumentavano del 122 per cento gli "acquisti di autoveicoli" (da 41 a 100 mila).

Ma lo scandalo non riguarda solo Roma. Tutte le Regioni, sia di destra sia di sinistra, fanno a gara nel regalare auto ai propri assessori. La Campania spende ogni anno più di due milioni di euro per le sue 80 vetture, provvedendo anche ai Telepass. La Lombardia nel 2005 ha sborsato 1,2 milioni di euro, otto volte di più che nel 2000. Il Friuli ha rinnovato una flotta auto "vecchie" di appena due anni con dodici Lancia Thesis e Alfa 166 superaccessoriate (dieci altoparlanti hi fi, interni in pelle).

In Lazio ben 76 auto blu sono destinate a giunta, presidenti di commissione e a qualche dirigente: più di quelle di Camera e Senato messe insieme. Nei primi cinque mesi della giunta di Piero Marrazzo sono stati spesi 37 mila euro solo in benzina, 20 mila in manutenzione ordinaria e 3 mila in lavaggi. Assicurazioni e bolli costano alla regione Lazio quasi 100 mila euro annui. In Veneto gli assessori hanno in uso auto persino di cilindrata 3.000!

Casi limite si verificano dappertutto: da Palermo, dove in auto gratis vanno tutti i presidenti dei consigli di quartiere, all'apice del potere a Roma, dove il diritto viene mantenuto a vita da tutti gli ex giudici costituzionali. Il comune di Napoli ha un parco veicoli per sindaco, assessori e dirigenti di 120 vetture. Esiste perfino un'associazione, il Siar (Sindacato italiano autisti rappresentanza), con duemila soci e un segretario nazionale, Andrea Vignotto, che due mesi fa ha fatto chiedere da deputati di An l'istituzione di un albo nazionale degli chauffeur.

Si può almeno invertire la tendenza all'aumento continuo di auto blu ? I provvedimenti per ridurle si sono risolti finora in grida manzoniane. Tutti i ministeri hanno chiesto "esenzioni" alla diminuzione del 10 per cento prevista nel 2004. Ora il governo torna alla carica con il disegno di legge contro gli sprechi presentato dal ministro Giulio Santagata. "Ma non sono ottimista", confessa Franca Rame. Anche perché il governo non può imporre nulla agli altri organi dello Stato: parlamento, regioni, Corte costituzionale, il Quirinale (una grande istituzione, certo, ma in fondo con 27 auto per una persona sola: il presidente della Repubblica).

Eppure, basterebbe una legge con cinque sole parole: "Da domani tutti in taxi". E, visti i 1.600 miliardi di debito pubblico dell'Italia, per risparmiare qualcuno potrebbe pure prendere l' autobus, come fanno certi ministri a Stoccolma e Copenaghen. Con 15 mila auto blu in meno, il traffico di Roma scorrerebbe meglio. In fondo, perfino il sindaco miliardario di New York Michael Bloomberg va a lavorare in metro.

Mauro Suttora

Wednesday, July 04, 2007

Gli orfani di Bagdad

Trattavano i bambini come se fossero bestie

Lo scandalo dell' orfanotrofio lager di Baghdad

Durante un controllo i soldati americani hanno scoperto l' orrore: in un istituto, 24 orfani erano legati e abbandonati nudi per terra. Stavano morendo di fame. Mentre i carcerieri gozzovigliavano nella stanza accanto

di Mauro Suttora

Oggi, 4 luglio 2007

Baghdad

Incredibile: invece di dimettersi o punire immediatamente tutti i colpevoli, il ministro del Lavoro e degli Affari sociali iracheno, lo sceicco sciita Mahmoud Radi, ha accusato le forze americane di avere "fabbricato ed esagerato" le informazioni riguardo alla scoperta di ventiquattro bambini scheletrici distesi in terra o incatenati ai letti in un orfanotrofio di Baghdad. Le forze degli Stati Uniti, in Iraq da più di quattro anni nel disperato tentativo di pacificare il Paese dopo averlo liberato dalla dittatura di Saddam Hussein, nel rendere nota la scoperta fatta il 10 giugno scorso non avevano certo potuto nascondere la realtà: nell' orfanotrofio al Hanan c' erano bambini tra i tre e i quindici anni emaciati, nudi, coperti dai loro stessi escrementi e da mosche. Nello stesso edificio, in magazzino, c' erano abbondanti scorte di cibo e vestiti, mentre i guardiani, alcuni dei quali sono stati poi arrestati per ordine del premier Nuri al Maliki, si trovavano in cucina e si preparavano un lauto pranzo.

Che cosa imputa adesso il ministro Radi agli americani? "L' irruzione dei soldati statunitensi è avvenuta in piena notte, ma mi chiedo quali fossero i motivi umanitari per compiere un simile raid alle due del mattino", ha dichiarato l' uomo politico. Secondo Radi, i bambini erano nudi a causa della mancanza di energia elettrica per alimentare i condizionatori d' aria. Alcuni di loro erano legati al letto, ha aggiunto, perché sono disabili e incapaci di distinguere il cibo dai loro stessi escrementi. "Mi assumo ogni responsabilità per ciò che accade nel mio ministero e anche per gli atti commessi nell' orfanotrofio", ha detto il ministro, che appartiene all' Alleanza sciita di cui fa parte anche il premier Al Maliki.

Radi ha comunque affermato di avere ordinato "un' ispezione generale per investigare sull' incidente. Mi aspetto una procedura legale nei confronti di coloro che ne sono responsabili, chiunque essi siano, e i risultati saranno resi pubblici". Nel 2004 causò un enorme scandalo mondiale la scoperta che nel carcere iracheno di Abu Ghraib alcuni soldati americani molestavano i sospetti terroristi arabi detenuti, denudandoli, aizzando contro di loro i cani e sottoponendoli a sevizie fisiche e psicologiche ai limiti (o ben oltre) della tortura. Anche ora la scoperta è avvenuta per caso. Ma questa volta gli Stati Uniti non c'entrano.

La scena che si sono trovati davanti alcuni militari statunitensi e iracheni che durante una ronda notturna di pattuglia nel centro di Baghdad sono entrati in un orfanotrofio pubblico, era di vero e proprio orrore: davanti ai loro occhi bambini abbandonati a loro stessi da più di un mese, prostrati dalla mancanza di cibo e di cure, alcuni con evidenti segni di maltrattamento. Non si può neanche sostenere che si sia trattato di una ben orchestrata operazione di pubbliche relazioni da parte delle forze occupanti di Washington, come accusano alcuni iracheni, perché oltre alla catena televisiva americana Cbs anche il sito del quotidiano indipendente spagnolo El Mundo ha mostrato le immagini di quello che ai soldati è apparso subito essere un incubo, un inferno.

"Al piano terra c' erano diversi corpi stesi sul pavimento", ha raccontato il sergente Mitchell Gibson. "Pensavamo fossero tutti morti, così abbiamo lanciato una palla da basket per attirare l' attenzione e uno dei ragazzi ha alzato la testa, ha dato uno sguardo e poi è tornato a sdraiarsi per terra. A quel punto ci siamo detti "oh, sono vivi", e abbiamo controllato l' edificio". Il sergente Michael Beale descrive "bambini cui potevi letteralmente contare ogni singolo osso del corpo tanto erano magri: non avevano forze per fare alcun movimento, rimanevano totalmente inespressivi". Molti di loro hanno handicap mentali. Uno dei piccoli era "completamente coperto da mosche, non riusciva a muovere alcuna parte del corpo", ricorda Gibson. E prosegue: "Gli abbiamo tenuto la testa, l' abbiamo smossa per capire se stava bene, ma l' unica cosa che riusciva a muovere erano i bulbi oculari". Solo dopo una settimana di alimentazione adeguata quel bambino è riuscito a sedersi nel lettino con le sue sole forze. Due sorveglianti del centro sono stati arrestati. Il direttore invece è scomparso, così come due delle tre assistenti.

In Iraq, intanto, l'incubo continua. Ormai è guerra civile fra sciiti e sunniti, ogni giorno vengono uccisi soldati americani (sono 3.500 le vittime statunitensi dall'inizio della campagna), mentre le vittime civili sono più di centomila. L' aumento delle truppe statunitensi (da 130 a 150 mila unità), ordinato dal presidente George W. Bush in febbraio, non sembra aver migliorato la situazione. Ora anche il Kurdistan, la regione autonoma del Nord che finora era stata risparmiata dagli attentati, è minacciato dalle bande di terroristi sunniti e di Al Qaida. Quanto agli sciiti, controllano tutto il Sud per conto dell' Iran, e gli squadroni della morte di Moqtada al Sadr (autori della strage dei nostri soldati a Nassiriya) seminano il terrore fra la popolazione civile sunnita.

Sunday, July 01, 2007

intervista a Giulia Bevilacqua

Oggi, luglio 2007

Tosta come nella sua fiction. Giulia Bevilacqua, 28 anni, l’agente Anna Gori di Distretto di polizia, da sette anni serie regina delle prime serate di Canale 5, intavola subito una trattativa: per la location di questa intervista: «Abito a Monteverde, vieni qui domani?» 

La Rizzoli sta a piazza Ungheria. Passa tu qui.
«Facciamo a metà strada. Trastevere?» 

Ma Trastevere sarebbe a metà fra Parioli e Monteverde? Ci vediamo a piazza del Popolo, bar Canova.
«Troppo lontano. Campo de’ Fiori».

E va bene. Alle undici.
«Mezzogiorno. Alla vineria d’angolo con via dei Baullari».

Simpatica però, una che dice «vineria» invece di «wine bar». Arriva con addosso due scarpe buffe, tipo pantofolone. 
E queste cosa sono? 
«Nike col dito separato. Scusa se è poco». 

Sei maniaca delle scarpe?
«Sì. Ho un armadio pieno». 

Più di cento?
«Credo. Non oso contarle».

Ora state girando?
«Tutta l’estate. Dodici ore al giorno, dalle sette alle sette».

Qui a Roma?
«Sì, da gennaio. I 26 episodi della settima serie, che andrà in onda da settembre».

Lavorate a Ferragosto? «Una settimana di vacanza». 

Dove vai? 
«Croazia».
 
Col tuo fidanzato? 
«Sì». 

Simone Corrente, attore veterano del Distretto. 
«Non voglio parlare di lui».

Dai, non fare la solita attrice che fa finta di non voler parlare del fidanzato. «Stiamo assieme da quasi due anni».

E..? 
«E cosa?»

Dimmi qualcosa di più. Vi vedono in sei milioni ogni settimana. Otto, nella puntata in cui è morto Ricky Memphis. Siete la coppia più «vista» d’Italia. «Ecchettedevodì? Stiamo bene assieme. Conviviamo». 

E i tuoi che dicono? 
«Hanno storto un po’ il naso. Ma solo perché è stato tutto molto veloce. I miei sono cattolici, e anche un po’ anziani. Sono l’ultima di quattro figli». 

È vero che tuo padre ha progettato sette chiese? 
«Sì, fa l’architetto qui a Roma. Anche mia madre e due dei miei fratelli. Pure io ho fatto tre esami d’architettura, dopo il liceo classico. Poi gli ho detto che volevo fare l’attrice, e mi hanno preso per matta». 

E invece...
 «Sono riuscita a entrare al Centro sperimentale. Solo dodici posti per il corso d’attore ogni anno, con 500 domande». 

Dopodiché, tutto in discesa.
«Sono stata fortunata. Nel 2003 mi hanno preso nella serie tv Grandi Domani. E due anni dopo sono approdata al Distretto di Polizia 5».

E hai trovato il fidanzato. 
«E dagli».
 
Qual è la cosa più bella che ti ha detto? «Non l’ha detta a me, ma al produttore Valsecchi: “Grazie per aver preso Giulia, è stato il regalo più bello della mia vita”».

E la più brutta?
«Che assomiglio a mia madre». 

Oddio, è così strega? O solo suocera? «Ma no, infatti: è una donna stupenda. Le voglio un bene dell’anima, e anche lui. Lo dice solo per criticarmi».

Cosa c’è da criticare?
«Niente, appunto. Diciamo che i miei mi hanno dato un’educazione un po’ rigida, lontana mille miglia dalla cultura dell’apparire, e da un certo mondo dello spettacolo».

Per esempio?
«Non potevo scoprirmi la pancia. E truccarmi, pochissimo».

Soffrivi?
«Macché, anzi. Ero anch’io convinta che le ragazze che si truccano troppo rischiano di apparire un po’... come dire?...»

Zoccolette?
«Ecco».

Questa è la tua terza estate di lavoro a Roma.
«Sì, giriamo tutto l’anno tranne novembre e dicembre. E per la prima volta io romana ho potuto scoprire quant’è bella la città in agosto». 

Prima andavi sempre via?
«Sì, i miei ci portavano con loro in viaggio. Mostre in Finlandia, Biennali a Venezia, musei, monumenti. A cinque anni mi portarono al Louvre». 

Una tortura. 
«No, anzi: sono grata ai miei genitori che mi hanno trasmesso un bagaglio culturale. Oggi mi serve molto».

Quanti altri anni di Distretto di polizia farai?
«Spero tanti: mi piace moltissimo, ormai siamo una grande famiglia. Ma per non fossilizzarmi in un solo ruolo ho anche fatto due film».

Cardiofitness, e poi L’ora di punta di Vincenzo Marra. 
«Sì, con Fanny Ardant. Spero che vada a Venezia». 

Che fai con il tuo fidanzato nel tempo libero?
«E ridagli. Alla sera siamo così stanchi che ce ne stiamo quasi sempre a casa. Usciamo poco, neanche al cinema».

Ultimo bel film visto?
«Little Miss Sunshine, in dvd. Poetico, ma anche con un suo messaggio morale».

Ultimo bel libro letto?
«Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini. Lo consiglio anche a chi non ama leggere. Ti travolge.Ho pianto sei volte, non mi era mai successo».

Il tuo sogno?
«Un film accanto a Castellitto, con Almodovar regista».

Bene, allora arrivederci a Cannes fra dieci anni.
«Facciamo cinque».
Mauro Suttora