Friday, April 27, 2007

Foto Berlusconi

COMMENTI DI POLITICI

Oggi, 24 aprile 2007

Daniele Capezzone, deputato radicale:
«Immagino che queste foto procureranno a Berlusconi ulteriori fastidi familiari. Ma alla lunga si riveleranno un successo mediatico, come l’immagine della bandana. L’idea che un signore settantenne si intrattenga con cinque belle ragazze, infatti, piacerà sia ai suoi coetanei, che ai giovani. I quali lo apprezzeranno, o lo invidieranno, checchè ne dicano certi salotti benpensanti».

Nando dalla Chiesa, sottosegretario all’Università e Ricerca (Margherita):
«Queste foto sono di una comicità involontaria ma irresistibile. Ho scritto libri e portato a teatro le gesta di Berlusconi, “eroe di un'Italia vera ma apparentemente inverosimile”. Ma è lui stesso un’inesauribile miniera di gag, che lasciano sempre un passo indietro anche il comico più irriverente e fantasioso. Insomma, la realtà supera la fantasia. Trovo sublime, poi, che una delle ragazze, la rossa mi pare, si autodefinisca “opinionista”, seppure di Buona Domenica...»

Gabriella Carlucci, deputata Forza Italia:
«Sono foto prese di sguincio fra molte altre persone. Non ci vedo niente di male, Berlusconi apre spesso le porte della sua villa a ospiti, anche semplici sostenitori del partito. La scorsa estate invitò tutti noi parlamentari, avrei potuto esserci anch’io in quelle immagini. Per par condicio, però, avrei pubblicato anche le foto di Sircana. Oppure né Sircana, né Berlusconi».

Elisabetta Casellati, vicepresidente senatori FI:
«Si è verificata una forte lesione della privacy. Queste incursioni nella vita privata delle persone sono inaccettabili, anche per personalità pubbliche. Pubblicare immagini di questo tipo, estrapolandole dal contesto in cui sono avvenute, è come entrare a gamba tesa nella vita di una persona. Equivale a isolare una parola o una frase da un libro, per poi ricamarci sopra».

Silvana Mura, dep. Italia Valori:
«Nei panni della signora Lario non sarei assolutamente contenta, quindi le sono vicina. Va detto però che Berlusconi era a casa sua, quindi mi sembra sia stata violata la sua privacy, che dovrebbe essere sacra e inviolabile per tutti i cittadini. Comunque sono foto che non mi stupiscono: fanno parte del suo personaggio, gli piace dare l’immagine di uomo che affascina le ragazze».

Fiorella Ceccacci (in arte Rubino), dep. FI:
«Non mi sembrano foto così sconvenienti: lui è un personaggio pubblico, ma era nel suo giardino, non in strada. Rispettiamo quindi la sua vita privata».

Giorgia Meloni, vicepres. Camera, AN:
«Un politico dovrebbe incarnare i valori di riferimento del suo partito. Quindi diventa rilevante, interessa ai cittadini, sapere come si comporta anche nella propria vita privata chi sbandiera i valori della famiglia. Io, per esempio, ho firmato la proposta di Casini per sottoporre ad antidoping i politici: così vediamo chi sono i veri proibizionisti sulla droga.
Detto questo, si può anche passeggiare e parlare con cinque donne senza suscitare malignità. E rispetto al caso Sircana avete adottato due pesi e due misure diverse».

Marina Sereni, vicepres. deputati Ulivo (Ds):
«Chi ha scelto di fare politica sa di essere esposto più di altri a invadenze nella vita privata. L’interesse giornalistico c’è sempre, ma per fortuna non sono un giudice per decidere se queste foto violino la privacy di Berlusconi. Non tutte le curiosità del pubblico, comunque, possono o devono essere soddisfatte: la nostra vita privata non è quasi mai rilevante per gli elettori».

Sunday, April 22, 2007

Benvenuti a radioVespa

Bruno Vespa e il figlio Federico conducono un programma di storia su Rtl

Roma, 17 aprile 2007 - Oggi

Vanno d’accordo su tutto tranne la Roma e l’Afghanistan. Vespa padre e figlio: 63 anni Bruno, 28 Federico, 35 in mezzo. Raccontano e discutono di storia italiana ogni venerdì mattina sulla radio Rtl 102.5, dalle 8 alle 9. Un anno alla settimana. Hanno cominciato con il 1979, quand’è nato Federico, ora sono al 1984. Andranno quindi avanti per parecchi mesi.

Li incontriamo a casa Vespa, un attico stupendo vicino a Trinità dei Monti, terrazza con vista fra le più belle di Roma. «L’ho presa in affitto da ottobre, prima stavamo sul Lungotevere dei Mellini», dice Bruno. Sono le nove del mattino, lui è in giacca blu e cravatta rosa, telegenico e già pronto per il suo Porta a Porta serale (che viene registrato poche ore prima dell’andata in onda).

Il figlio Federico invece comincia alle 11 il turno giornaliero di otto ore alla radio, dov’è stato assunto da poco con un contratto temporaneo. La sera prima la sua Roma ha perso sette a uno col Manchester, l’umore è quello che è. Papà Bruno sorride: «Oggi mi sento molto solidale con lui anche se, essendo nato all’Aquila, sono juventino. Gli abruzzesi tifano prevalentemente per le squadre del Nord: Roma e Lazio per noi non esistono».

Si affaccia in sala per un attimo mamma Vespa: Augusta Iannini, magistrato, direttore generale al ministero della Giustizia. Saluta, le proponiamo di unirsi per qualche foto. Declina sorridendo e scappa via. L’altro figlio Alessandro, 26 anni, è a Londra a studiare l’inglese.

«Quando mio padre mi ha chiesto se mi andava di fare un programma radio con lui, pensavo scherzasse», racconta Federico. «Più che un’idea all’inizio era un gioco», precisa Bruno. «Credevo che lui mi mandasse subito a pedalare. Invece, con mia grande sorpresa, l’ha condivisa. E per me è stato un graditissimo ritorno al primo amore, la radio, dove avevo cominciato a lavorare subito dopo avere vinto il concorso Rai del 1968».

Padre e figlio che si confrontano sulla storia contemporanea: evento unico per una radio a livello europeo, forse mondiale. All’età di Federico, Bruno Vespa era già un giornalista affermato, e pochi anni dopo si sarebbe confrontato con l’evento più difficile e doloroso della sua carriera: il delitto Moro del ’78.

«Per fortuna abbiamo cominciato questa nostra trasmissione con l’anno seguente», dice Bruno, «anche se al rapimento Moro abbiamo accennato di sfuggita. Finora l’avvenimento che ha suscitato il maggior interesse negli ascoltatori, con un numero di telefonate pari a quello per i Mondiali di Spagna, è stato l’assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa dell’82. C’è ancora un grande ricordo per quel generale, che ha sorpreso anche me».

Federico si è laureato in legge nel 2005: «Volevo fare l’avvocato, ho cominciato la pratica legale in uno studio. Contemporaneamente, però, continuavo con l’hobby di sempre: commentare il calcio a Radio Spazio Aperto, due ore al giorno con Ennio Abbondanza. Dopo sei mesi mi sono accorto che il lavoro di penalista non fa per me: troppi rinvii ed espedienti tecnici. In aula a pronunciare una bella arringa si arriva solo tre-quattro volte all’anno, tutto il resto è routine. Così ho insistito con la radio, e devo ringraziare sia Radio 101 che mi fece esordire con le cronache delle partite della Roma, sia Rtl dove dopo un anno e mezzo mi hanno offerto il primo contratto nella redazione di Roma. Quanto al mio cognome, tutti pensano che sia stato assunto per questo. E fanno bene a pensarlo, lo penserei anch’io se non sapessi che sono passato attraverso la gavetta per dimostrare di essere valido».

«Gli ho fatto un lavaggio del cervello durato anni per dissuaderlo dal fare il giornalista», dice papà Bruno, «perché è un mestiere complicato e con molte frustrazioni. Ma, giustamente, i consigli dei padri sono fatti per non essere seguiti...». E oggi come giudica suo figlio, professionalmente? «Possiede un buon ritmo radiofonico, da radiocronista, anche se ha il difetto di parlare troppo veloce». E nella vita? «È allo stesso tempo generoso ed egoista, caratteristiche che non sono in contraddizione: generoso con gli altri, ma a casa si mette sempre al centro delle attenzioni domestiche».

E infatti il quasi trentenne Federico, come la stragrande maggioranza dei suoi coetanei italiani, nonostante l’indipendenza economica raggiunta con lo stipendio si guarda bene dal lasciare la cuccia di mamma e papà: «Se con i genitori ci si trova bene, in un ambiente caldo e protetto, perché andarsene prima di avere trovato la donna con cui iniziare un’altra famiglia?».

Il tipico mammone italiano. Vespa senior lo inviterebbe a Porta a Porta se non fosse suo figlio, in una puntata sui giovani? «Mah, gran parte dei nostri ospiti sono predeterminati, quasi obbligati. E poi anche lui, come quasi tutti i suoi coetanei, schematizza molto: ha opinioni coinvolgenti ma poco approfondite».

Per esempio? «Nella puntata della nostra trasmissione sul 1980, strage di Bologna, Federico era convinto che i terroristi condannati siano in realtà innocenti. Hai voglia a spiegargli che le sentenze, finché ci sono, vanno rispettate...». «Ma quella è solo una verità: quella giudiziaria», replica subito Vespa junior.

Un altro tema caldo è quello delle guerre in Iraq e Afghanistan. Federico Vespa è nettamente contrario: «E non perché sia di sinistra, anzi non ho neppure votato Prodi. Ma sono convinto che da Kabul sia meglio andarsene: sarebbe una soluzione pratica e dignitosa per non farsi ricattare. E anche in Libano, non c’è proprio bisogno dei nostri soldati. Non abbiamo motivo di stare in terre altrui, dando ai terroristi pretesti per attaccarci».

La lite più furibonda a casa Vespa, però, si è consumata quella mattina in cui Federico si rifiutò di alzarsi per andare al liceo: «Decisi che non ne potevo più di greco e latino, che volevo lavorare». Come finì? «Lo presi in parola, e chiesi subito al benzinaio di piazza Mazzini se aveva bisogno di un aiuto», racconta Bruno, «poi ripiegai su un idraulico che stava lavorando nel nostro palazzo». Risultato: «Quando l’idraulico mi disse che l’orario di lavoro era dalle sei del mattino alle otto di sera, tentennai», confessa Federico, «e alla fine optai per un trasferimento dal liceo classico allo scientifico. Scoprendo che matematica e chimica erano ancora peggio di greco e latino».

Ma i due Vespa la guardano Porta a Porta, a casa la sera? Bruno: «No, non mi riguardo quasi mai. E sbaglio, perché mi accorgerei dei miei errori». Federico: «Raramente. Certo non quando si parla di diete. Solo se ci fosse un bel dibattito, a livello D’Alema-Fini. Altrimenti, meglio i gialli di Carlo Lucarelli».
E i libri annuali di Vespa senior, ti servono almeno per la trasmissione? «Ammetto che di mio padre ho letto soltanto la Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi. E solo perché devo prepararmi per Rtl...».

Mauro Suttora

Wednesday, April 11, 2007

Momo

NE' FOLLETTO NE' GNOMO, SONO SOLO MOMO

Intervista con la cantante di "Fondanela"

Oggi, 5 aprile 2007

Eccoci nel regno di Momo. Il quartiere romano di San Lorenzo, accanto alla stazione Termini: qui la rivelazione del Festival di Sanremo è nata e cresciuta artisticamente. Nella vita reale no: è di Lanciano in provincia di Chieti, e da lì sono venuti i suoi genitori, Vittorio e Licia Cipollone, entrambi 77enni, per applaudirla nella sua prima esibizione pubblica dopo il festival. Un trionfo: teatro della Garbatella strapieno, e il giorno dopo quotidiani che strabordano di articoli positivi. «Momo non è soltanto la cantante-autrice di Fondanela, svelata da Piero Chiambretti all’ultimo Sanremo. È molto di più: è l’ultima reincarnazione della Gelsomina felliniana, è la sfida disarmata della fantasia alla violenza del nostro mondo», la loda Cesare Romana, critico musicale del Giornale.

Gli articoli li tiene in un sacchetto di plastica della spesa Antonella, amica giornalista che aiuta Momo a fronteggiare la fama improvvisa delle ultime settimane. Tutti, papà, mamma, produttore, coautori, parenti e amici, sono seduti al tavolino di un bar in via dei Volsci. «Il pianoforte dove Momo ha imparato a suonare a cinque anni me lo regalò la Zanussi come premio per aver venduto caldaie», ricorda papà Vittorio. Sono i primi che Momo ringrazia nella copertina del disco appena uscito, i genitori. Che l’adottarono orfanella, e che l’hanno sempre aiutata da quando si mise in testa di fare la cantante.

Una gavetta interminabile, durata 17 anni: «Subito dopo il diploma magistrale Momo è emigrata a Roma con un solo chiodo fisso: la musica», ci dice il signor Cipollone, «e noi l’abbiamo sempre assecondata. Ricordo che quando un giornale locale abruzzese la intervistò, quindici anni fa, disse che il suo obiettivo era Sanremo. Una decina d’anni fa siamo venuti a Roma per vederla in un concerto al teatro Colosseo, con Sabina Guzzanti...»

Ma insomma, fino a sei settimane fa Momo con la musica proprio non ci campava: qualche serata nei locali di Roma, qui a San Lorenzo, ma soldi pochi o niente. Quindi per mantenersi lavorava: lavapiatti, cameriera, baby-sitter. Negli ultimi tre anni ha tenuto a bada un bambino, Ludovico, che ha appena compiuto undici anni ed è venuto pure lui a festeggiarla al concerto romano: «Ma ormai è grande, non ha più bisogno di me», dice Momo.

Momo è popolarissima fra i bambini. Ce ne accorgiamo quando usciamo dal bar per andare a fotografarla nella giocheria L’Orbita, visto che il suo primo disco si chiama Il Giocoliere. Quelli del quartiere la conoscono, la fermano sul marciapiede. «Oggi in classe abbiamo letto con la maestra l’articolo del giornale su di te», le dice uno. Lei si ferma, è gentile con tutti, si china a parlare, alcuni li conosce per nome.

«Ora Momo verrà a suonare al teatro Centrale di Lanciano», pregusta orgogliosa mamma Licia. Il 26 aprile ci sarà un primo concerto al Juxtap di Sarzana (La Spezia), il locale del produttore Simone Grassi. Poi, in maggio, all’Hiroshima di Torino. Stanno fioccando le prenotazioni per l’estate: tutti vogliono Momo. A Giffoni (Salerno) il 14 luglio, al festival Gaber di Viareggio. Infine, in autunno, la prima tournée in giro per l’Italia.

Momo è accompagnata da musicisti che suonano strumenti strani, come un circo ambulante di altri tempi: Ludovica Valori, nipote di Bice, è al bombardino; al mandolino c’è Desirée Infascelli; al contrabbasso Daniele, tanto alto quanto Momo è minuta. Riescono a creare un’atmosfera magica, la stessa che ha ammaliato gli spettatori del dopoFestival fin dalla prima volta che Momo ha intonato la sua Fondanela. «Che poi sarebbe la “fontanella” dell’energia», spiega lei, «come la pronunciava l’osteopata cinese Wang facendo fare esercizi a me e alla mia amica pianista Alessandra. Eravamo andate da lui perché avevamo la schiena bloccata, e quando siamo tornate a casa abbiamo riso così tanto su quella “fondanela” che è nata la canzone, con i suoi buffi movimenti d’anca».

Movimenti che stanno conquistando mezza Italia, come ai tempi della Lambada: ci ha ballato perfino il direttore di questo giornale, Pino Belleri, quand’è andato ospite a Tutti quelli che... il calcio su Raidue. Le altre canzoni di Momo sono difficili da descrivere, bisogna ascoltarle: «Genere inclassificabile», decreta il programma i-Tunes quando infiliamo il disco nel computer. «Ti ispiri a Kurt Weill?», provo a chiederle. E lei, scherzando: «Kurt che...? È francese?», pur conoscendo benissimo il musicista tedesco del teatro di Bertolt Brecht.

L’humour di Momo traspare in molte sue canzoni. In Buon Governo propone di eleggere ministri Mandrake «venditore d’illusioni», Topolino, Pippo, Dylan Dog, Batman, Robin, Paperone alle finanze, Superman «giramondo, con l’Ombra che cammina addetta al terzo mondo», e soprattutto Qui Quo, Qua. In un’altra prende in giro Sanremo, «club de li potenti, solo artisti snob che s’atteggiano ad artisti pop». Canta anche Embè, la canzone contro la maldicenza con cui il suo amico Simone Cristicchi, vincitore quest’anno, l’anno scorso arrivò secondo fra i giovani: «Che bella gente, capisce tutto, ha pistole con proiettili di malignità».

È stato un bel Sanremo 2007 per Roma, per una certa Roma giovane, povera e anticonformista lontana mille miglia dalle vallette Rai e Mediaset: quella di Momo, di Cristicchi, e anche di Pensa di Fabrizio Moro, vincitore giovani. Ma chi è in realtà Momo? «Non sono un folletto, non sono uno gnomo, sono Momo», si autodefinisce lei sul suo sito Internet, www.momoart.it

Surreale, dada, anarchica, hanno scritto. Cesare Romana l’ha paragonata addirittura a Omero. Una sua canzone s’intitola Momosessuale. Sei omosessuale?, le chiediamo. «No», sorride, «sono momosessuale, appunto. Per la libertà». È bastato questo per far titolare a qualcuno «Momo profeta dei Dico», i «Diritti di convivenza», anche gay, attualmente osteggiati dalla Chiesa. Ma lei sfugge a ogni etichetta, non vuole farsi ingabbiare. Momo è solo Momo, con le sue melodie stralunate da cabaret e le rime ermetiche. Prendere o lasciare.

Mauro Suttora

Thursday, April 05, 2007

Invasioni Barbariche

quotidiano Libero, giovedi 5 aprile 2007, pag.31

Gli scrittori spiati dal Grande Fratello

Domani alle 'Invasioni Barbariche' il primo programma verita' dedicato alla letteratura. Tre autori chiusi in un appartamento a parlare di libri erotici.

di MASSIMILIANO PARENTE

Mia cara Daria Bignardi, lo sai. È successo che ieri pomeriggio mi hai sadicamente rinchiuso in un minireality letterario, insieme a Andrea Laffranchi del Corriere della Sera e Mauro Suttora di Oggi, autore di No Sex and The City, per parlare di tre scrittrici erotiche o aspiranti tali: Gisela Scerman, Carolina Cutolo e Clara Sereni.
La “location” era un loft dietro al San Pietro, e sul campanello c’era scritto “vacanze romane” ma non c’era traccia di Audrey Hepburn, e una volta saliti neppure delle tre pornografomani sentimentali. Tuttavia è stato bello vedere Laffranchi infilato nella vasca da bagno a leggere passi del libro della Scerman, edito da Castelvecchi, che infatti sembra l’upgrading di Pulsatilla.

Al povero Suttora, un ragazzone alto, compostissimo e compagno radicale, è toccata Clara Sereni in edizione provvisoria, copertina rossa senza il minimo indizio. Io mi sono scelto d’istinto il libro della Cutolo, attratto dalle coscette lolitesche in copertina, forse della medesima autrice, e già una che si mette in copertina dalla vita in giù promette male. La cosa interessante era che non si capiva più chi leggeva cosa, i tre libri sembravano lo stesso e di tre non ne facevano uno.
Ogni tanto mi alienavo da me e pensavo a quello che stavo facendo, mi avete fatto declamare le paginette della Cutolo come non ho mai fatto pubblicamente neppure con Leopardi. Un amico mi ha scritto «ma chi te lo ha fatto fare?» e devo ancora rispondergli.

Tra l’altro, Daria, ancora con questa storia dei maschi contro le femmine? E io lì dentro a rappresentare i maschi? Non esiste un punto di vista femminile sulla letteratura, non ne esiste neppure uno maschile, e se esiste c’è solo quando manca la letteratura. Proust è maschile o femminile? Kafka è maschile o femminile? Virginia Woolf è maschile o femminile? Il problema interessa solo Loredana Lipperini di Lipperatura, ma siamo di nuovo nei blog, o si parla di quote rosa, ma siamo in politica, o ne parlerete voi che sarete lì domani sera, ma siamo in televisione. I tre libri di queste autrici sono libri femminili, perché non sono letteratura ma diarismi rilegati, e siccome sono libri di casalinghe evolute ma pur sempre casalinghe, devono coniugare il sesso con il sentimento, ma allora perché cercare di farlo venire duro, anche se alla Cutolo piace tanto barzotto?

Non esiste un’erezione d’amore, Daria, solo la Cutolo può costruirsi da sola un vibratore col cuoricino sulla punta, ma come si fa, dietro un simbolo fallico non può esserci un cuore, tantomeno un’anima, solo un altro simbolo fallico, è lì che ha fallicamente fallito il femminismo storico. Come si può dare il culo con amore? E poi la Cutolo si lamenta di ritrovarseli barzotti. Piuttosto Florence Dugas di Dolorosa Soror, lei sì che è una scrittrice, non certo Carolina Cutolo o Clara Sereni o Gisela Scerman, da non confondere con l’unica Sherman importante che conosco, che si chiama Cindy.

Comunque sia, non essendoci niente di letterario di cui parlare, il refrain nascosto di noi tre deportati dell’erotismo che non c’era continuava a essere: ma come saranno queste tre? Intellettualmente non ci fanno né caldo né freddo, ma sono almeno fighe? Cercavamo di scaldarci con un minimo di cameratismo da sfigati. Il più gongolante sembrava Laffranchi, perché aveva una modella in copertina che magari, abbiamo supposto, era la Scerman. Se anche non fosse stata la Scerman sulla quarta c’era scritto che la Scerman ha fatto la modella, lasciando ben sperare. Dopo questa scoperta, quasi invidioso della sua Scerman, ho cercato di smontare Laffranchi, guardando perplesso le mie coscette di Cutolo: «Che ne sai Andrea, magari adesso questa Scerman è in carozzella, senza gambe».

Suttora, serafico e distinto come un lord, sul divano con le gambe incrociate, si teneva stretta la sua copertina rossa anonima, non vedeva l’ora di andarsene, e infatti dopo il pranzo offerto dalla Endemol, e dopo il brindisi «alle scrittrici porno non romantiche» che vedrete domani sulla Sette, si è dileguato e chi s’è visto s’è visto.

E in ogni caso non ho capito, Daria, perché in televisione, dove ormai si sbaciucchiano e si slinguazzano tutti a ogni Grande Fratello, a me mi scaraventi in un mini reality di sei ore dove finisco da solo, sdraiato sul letto matrimoniale, vicino a un altro sfigato nella vasca da bagno, a leggere pensierini sulle candide vaginali di Carolina Cutolo? Neppure nel collegio austriaco di Robert Musil si arrivava a tanta crudeltà sessista. Lele Mora, se ci sei aiutami tu.

La proposta: un happening

Per cui, Daria, ho deciso di proporti un happening fetish o merce di scambio molto terra terra, a cominciare dalle inquadrature: io, oltre a aver reso la tua trasmissione immortale regalandoti la mia illustre presenza, ti faccio pubblicità non occulta e dico «o miei lettori, domani guardate tutti le Invasioni Barbariche con dentro le scrittrici pornoromantiche e Parente e Laffranchi e Suttora segregati come tre imbecilli nel loft romano», e tu in cambio fai togliere le scarpe in diretta alle tre autrici.
Perché? Perché, altro che libri e blog, l’unico modo di distinguere una donna cosciente da una sedicente tale, a maggior ragione se intende diventare scrittrice, è vedere che alluci ha, e questo posso valutarlo lombrosianamente e darwinianamente solo io, e soprattutto se hanno i piedi smaltati di rosso sempre, anche d’inverno, e questo potete vederlo perfino voi e così, su due piedi, mica storie. Ci stai? Ai posteri barbarici di domani l’ardua sentenza.

Massimiliano Parente

Wednesday, April 04, 2007

Un miliardo in missioni militari

La pace ci costa un miliardo
Quanto spendiamo per le missioni militari italiane all' estero

Occorrono mille milioni all' anno per i nostri soldati nelle aree di crisi. Dai 75 mila euro per 100 semafori a Nassiriya al milione per l'ambasciata a Kabul, ecco tutte le curiosità tratte dal bilancio

Oggi, 04/04/2007, pag. 57/58

Matite, penne, zainetti. Li hanno distribuiti tre settimane fa i nostri soldati in una scuola elementare del Libano, per conto dell' Associazione internazionale regina Elena. Si tratta di un gruppo legittimista monarchico (vuole ufficialmente il ritorno del re in Italia), guidato dal pronipote della suddetta regina: il principe Serge di Jugoslavia, figlio di Maria Pia Savoia. I 2.500 militari della Repubblica italiana in missione in Libano, dunque, distribuiscono la beneficenza di chi auspica il ritorno della monarchia. Curioso. Valeva la pena di mandarli lì con i carri armati per fare regali ai bimbi libanesi ? Non bastavano, per un compito tale, due volontari di una qualsiasi Ong (Organizzazione non governativa) ? Spendiamo quasi mille miliardi all' anno in lire per disarmare i pericolosi hezbollah: questo indica lo scopo ufficiale della missione Onu. Peccato che finora, in sette mesi, non abbiamo sequestrato neppure una pistola ad acqua.

Così i nostri militari si consolano con le attività umanitarie. In Afghanistan, invece, prima dell' escalation di tensione degli ultimi tempi, i nostri militari avrebbero costruito una chiesetta. La notizia, trapelata a Herat, è stata subito smentita per non irritare gli estremisti. Quanto al Kosovo, chi si ricorda che 2.300 nostri soldati ancora languono in una guarnigione, otto anni dopo esserci arrivati per pacificarlo ? Missione compiuta, almeno lì ? Neanche per sogno: "Ci vorranno vent'anni per riportare la calma fra albanesi e serbi", ci dice pessimista Nino Sergi, segretario generale di Intersos (Cooperazione civile). Intanto, però, anche la missione in Kosovo dev'essere rifinanziata. Così è finita pure questa nel calderone del cosiddetto "decreto Afghanistan", votato al Senato martedì 27 marzo. Le polemiche si concentrano sull' opportunità di tenere le nostre truppe nel Paese dei talebani a seimila chilometri di distanza.

Ma il decreto finanzia molte altre missioni militari all' estero , per un totale di un miliardo di euro nel 2007. E, leggendone le 300 pagine, si scoprono molte curiosità. Qualcuno sapeva, per esempio, che tre nostre navi con 105 marinai da anni vagano per il Mediterraneo alla ricerca di "terroristi e pirati" nella missione Active Endeavour ? Il pattugliamento era stato deciso dalla Nato dopo l'11 settembre 2001, quando si temeva qualche altro attacco, questa volta marittimo, o trasporti di armi da parte di Al Qaeda. Ma ancor oggi spendiamo otto milioni all' anno per far navigare la fregata Maestrale e il cacciamine Termoli. Nonché il nuovo sommergibile Todaro, che ha appena terminato il suo primo mese di missione.

Nessuno lo sa, ma abbiamo sei militari di collegamento nel quartier generale americano per l'Afghanistan che sta a Tampa, Florida. Eppure ci avevano detto che si tratta di una missione Nato Onu, non più a guida statunitense. E poi: che ci fanno 95 nostri avieri ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi ? Mantengono tre aerei C 130 per il trasporto truppe da e per l' Afghanistan. Dall' Iraq ce ne siamo andati. Però continuiamo a spendere. Il decreto stila un elenco minuzioso. Cento semafori da installare a Nassiriya, 75 mila euro. Anche mettendone quattro per incrocio, esistono a Nassiriya 25 incroci con un tale traffico da giustificare semafori ? Oppure faranno la fine dei precedenti, che nessuno nelle rotonde caotiche e polverose piene di carretti trainati da asini ha mai rispettato ? E i 500 mila euro per la "mappatura satellitare" dei beni culturali iracheni, serviranno ad ammansire i terroristi ?

Un milione di euro finanzierà un corso di 45 giorni per sessanta tecnici del petrolio iracheni a Piacenza (ospitati all'Hotel Ovest, quattro stelle). Come se le compagnie petrolifere, la nostra Eni o altre, non fossero abbastanza ricche da poter pagare loro la formazione. E poi: due "esperti" da inviare in Kurdistan per "facilitare la penetrazione commerciale italiana", al modico stipendio annuo di 180 mila euro l' uno. Costerà 300 mila euro l' affitto annuo dell' ambasciata italiana a Kabul. Ma molto più del doppio costerà sorvegliarla: 770 mila euro. Più che per aiutare, insomma, spendiamo per difenderci da chi vorremmo aiutare.

Mauro Suttora


"Dobbiamo rispettare le alleanze"
L' esperto spiega perché bisogna armarsi e partire. Andrea Margelletti, del Centro studi internazionali. Con un debito di 1.500 miliardi che senso ha spendere un miliardo di euro all' anno in missioni militari ? "È necessario impegnarsi perché non si ripeta la follia dei talebani. L' Italia ha il dovere di aiutare i popoli meno fortunati che non hanno nemmeno luce, acqua e strade". I sondaggi, però, dicono che la maggioranza degli italiani vuole il ritiro dall' Afghanistan... "La politica estera non la fa la piazza, ma il Parlamento. Si decide col cervello, non con la pancia". Ma contro i terroristi servono navi e sommergibili ? "Fanno parte di una flotta Nato, ci sono alleanze e strategie da rispettare. Lo sa bene la Germania, per esempio, che pur non avendo sbocco nel Mediterraneo ha inviato una nave da guerra davanti al Libano".

"A Kabul ci credono guerrafondai"
È l' opinione di chi si occupa di Cooperazione civile "L'Afghanistan è una missione nata male". Parola di Nino Sergi di Intersos (organizzazione non governativa presente in Afghanistan). "Nel 2001 gli Stati Uniti rifiutarono l' aiuto Nato, attaccando unilateralmente. Nel 2003 ci coinvolsero perché avevano la guerra anche in Iraq e non ce la facevano più. Ci mettono sempre di fronte al fatto compiuto. Noi diciamo "sì" per ragioni di alleanza, ma come Paesi europei abbiamo anche una certa dignità. Ora stiamo rimediando a errori tragici. Ma ormai siamo dentro a un ingranaggio che non può funzionare". Ma i nostri soldati non servono per proteggere voi cooperanti ? "Al contrario: i militari ci creano problemi. I locali ci confondono con loro, pensano che siamo gli stessi: un giorno in divisa e col mitra, un giorno senza. Perciò abbiamo chiesto e ottenuto una netta distinzione dei ruoli".