Wednesday, January 04, 2006

Intercettazioni Usa fuorilegge

L'IMBARAZZANTE SCOOP A SCOPPIO RITARDATO DEL NEW YORK TIMES

4 gennaio 2006

New York. Per la terza volta in tre anni, il New York Times scivola su un proprio scoop e riesce a trasformare un successo in una disgrazia. Nel 2003 ci fu lo scandalo di Jayson Blair, il cronista di colore considerato un genio, e che invece s'inventava gli articoli. La scorsa estate è stata la volta di Judith Miller: un mese in carcere per essersi rifiutata di rivelare le sue "fonti". Poi però si scopre che questa supposta eroina della libertà di stampa voleva soltanto proteggere l'amico Scooter Libby, ex capo di gabinetto del vicepresidente Dick Cheney. Infine, il grande scoop del 15 dicembre: il presidente George Bush fa intercettare senza mandato le comunicazioni di cittadini americani in territorio americano, mentre una legge del 1979 lo proibisce.

Un 'colpo' giornalistico di gran peso politico, rimbalzato in tutto il mondo e arricchito dalla rivelazione (da parte del settimanale Newsweek) che il 6 dicembre Bush aveva convocato alla Casa Bianca editore e direttore del quotidiano newyorkese, scongiurandoli di non pubblicare l'articolo. Niente da fare. Trionfo del quarto potere. Peccato però che solo poche ore dopo il sito web Drudgereport abbia rivelato che quel commendevole scoop era stato tenuto nel cassetto per più di un anno, e che non era stato pubblicato prima del voto presidenziale del novembre 2004 per non interferire nella campagna elettorale.

Due giorni fa James Risen, l'autore dell'articolo, grande esperto di servizi segreti, ha pubblicato il libro 'State of War: The Secret History of the Cia and the Bush Administration'. Dentro c'è per intera la lunga inchiesta del 15 dicembre, più altre storie. Il libro è stato chiuso in tipografia mesi fa. Cos'è successo, allora? Il Times ha voluto fare un favore al proprio reporter, ritardando la pubblicazione dello scoop affinchè facesse da traino alle vendite del libro? Inconcepibile, per un giornale serio. Più credibile una seconda ipotesi: Risen, contrariato per la non pubblicazione dello scoop, si è preso un'aspettativa, ha scritto il libro, e solo in prossimità dell'uscita il Times si è deciso a pubblicare l'inchiesta, per non fare la figura del censore e fornire a Risen l'aureola del giornalista silenziato.

E qui entra in scena Byron Calame, una vera calamità per i vertici del New York Times. Il quale, prendendo sul serio il proprio ruolo di "public editor" del quotidiano, cioè di difensore dei diritti del lettore, ha mandato ben 28 domande al direttore Bill Keller: "Perchè il ritardo di un anno nella pubblicazione dello scoop? E' vero, come ha scritto lo stesso Risen il 15 dicembre, che il giornale ci ha messo così tanto perchè ha voluto sottoporre l'inchiesta a tutte le verifiche possibili? Quali sono state queste verifiche? Come mai c'è voluto un anno per effettuarle? Quand'era pronta la prima versione dell'articolo? Prima o dopo il voto presidenziale del 2004? Quali pressioni avete avuto da Bush per la non pubblicazione?" E così via.

Keller si è rifiutato di rispondere a tutte le domande: "Non è possibile avere una discussione completa sui retroscena di questa storia senza rivelare quando e come abbiamo saputo quel che abbiamo saputo. E questo, non possiamo farlo", si è limitato a replicare seccamente. L'indomito Calame si è rivolto allora al giovane editore Arthur Sulzberger. Ma anche lui non ha volto rispondere. E allora il public editor si è vendicato pubblicando parola per parola sul New York Times, nello spazio a lui dedicato domenica scorsa, tutta la vicenda del suo inutile tentativo di chiarimento: "Un pesante silenzio sulle intercettazioni", è stato il titolo masochista inflitto agli increduli lettori.

Intanto, mentre da sinistra il Times è accusato di censura, a destra l'addebito è di aver danneggiato la lotta contro i terroristi. Per questo il ministero della Giustizia ha aperto un'inchiesta sulla vicenda, con l'obiettivo di scoprire chi siano i confidenti di Risen dentro ai servizi segreti. Si apparecchia quindi un altro caso Miller, sulla protezione delle gole profonde in nome della libertà di stampa.

L'unica stampa che finora ha beneficiato della vicenda è stata quella del libro di Risen, nel quale sono contenute ulteriori rivelazioni sull'intelligence poco intelligente del dopo 11 settembre 2001. Nel settembre 2002, per esempio, la Cia reclutò un'anestesista irachena ormai cittadina americana, Sawsan Alhaddad di Cleveland, spedendola a Bagdad da suo fratello, scienziato coinvolto nel programma nucleare di Saddam Hussein. Il quale, stupito dalla sue insistenti domande, le rivelò che il programma non esisteva più da dieci anni. Altri trenta parenti di scienziati iracheni furono inviati in Iraq con missioni pericolose di questo tipo, tutte senza esito. Ciononostante, nell'ottobre 2002 i servizi Usa conclusero ufficialmente che Saddam aveva ricominciato il programma atomico.

Un altro inquietante capitolo del libro rivela che un dirigente Cia inviò per sbaglio a un proprio agente iraniano un documento dal quale si potevano individuare tutte le spie che l'agenzia aveva in Iran. Quell'agente purtroppo faceva il doppio gioco: nel giro di poche settimane la rete spionistica americana in Iran fu quasi completamente smantellata, con arresti e incarcerazioni. Chi ha visto l'ultimo film di George Clooney, "Syriana", non fatica a credere a questi incidenti.

Mauro Suttora

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