Monday, January 16, 2006

Corruzione negli Usa

PAROLE E PORTAFOGLI

Abramoff fa tremare Washington ma non il sistema: la politica in America è caccia ai finanziamenti

giovedì 5 gennaio 2006

New York. Il suo tempo valeva oro: 750 dollari all'ora. Per fare più in fretta, e guadagnare perfino sui propri regali, aveva aperto a Washington un elegante ristorante, il 'Signatures' su Pennsylvania Avenue, nel quale invitava a pranzo e a cena i suoi clienti. Offerta anche cucina kosher. E tutti potevano essere clienti di Jack Abramoff, il 46enne principe dei lobbisti statunitensi: dagli indiani che volevano aprire casino' (gli unici col permesso di farlo, fuori da Las Vegas e Atlantic City, e che gli hanno versato 82 milioni) ai politici in cerca di soldi per la rielezione. Ora, allo scopo di ridurre da venti a dieci gli anni che passerà in carcere per truffa, associazione a delinquere ed evasione fiscale, collabora con la giustizia. E 240 parlamentari statunitensi tremano.

Abramoff è repubblicano, negli anni Ottanta fece fortuna come giovane reaganiano, e nel '94 è montato in groppa al trionfo del suo partito che per la prima volta dopo quarant'anni aveva riconquistato la maggioranza al Congresso, proprio con lo slogan "ripuliamo Washington". Ora assieme a lui finisce nella polvere Tom DeLay, l'ex presidente della Camera texano, il terzo repubblicano più potente degli Stati Uniti dopo il presidente e il capogruppo al Senato. Ma i quattro milioni e mezzo di tangenti che Abramoff ha distribuito negli ultimi sei anni sono andati anche a 80 democratici, oltre che a 120 repubblicani.

"L'aspetto più choccante dello scandalo Abramoff non è la ricchezza che distribuiva, ma il numero dei congressmen che eseguivano i suoi ordini", commenta desolato l'editorialista di Usa Today. Tutti disposti a votare si' o no solo in base al posto in palco di lusso alla partita di baseball, al viaggio in Scozia per giocare a golf nel campo di St. Andrews, ai 50mila per la mogliettina del portaborse e agli altri status symbol della capitale americana.

Ma se Abramoff ha potuto avere successo, ammonisce il senatore John McCain, è perchè il lobbismo è l'industria più sviluppata di Washington. Sono ben 700, infatti, i membri della American League of Lobbyists, i quali hanno già cominciato a innaffiare abbondantemente i candidati alle elezioni midterm del prossimo novembre. Tutto - quasi tutto - alla luce del sole, con tanto di rendiconti pubblici: i repubblicani hanno finora raccolto quasi tredici milioni di dollari, i democratici undici, i sindacati ne hanno distribuiti nove, quelli dei dipendenti pubblici quattro, quelli delle costruzioni due.

Ci sono i lobbisti verdi corti di manica: finora hanno raccolto da propri simpatizzanti un milione e 700mila dollari, ma ne hanno distribuiti soltanto mezzo milione. Gli advocacy groups per i diritti umani, invece, sono avventati: hanno già promesso ai futuri parlamentari 900mila dollari, avendone in cassa soltanto 500mila. E poi avanti con la pioggia di bigliettoni: assicuratori, donne, medici, cinematografari, antiabortisti e prochoice, cacciatori e anti...

Il recordman, in questo festival del fundraising, è Michael Bloomberg. Il sindaco di New York appena rieletto fino al 2010 è infatti quello che ha speso di più nella storia per una singola campagna elettorale: 75 milioni. Con un record ulteriore: tutto di tasca propria. Ma sbaglia chi scambiasse la democrazia americana per una plutocrazia: il magnate della birra Pete Coors, per esempio, nel 2004 non è riuscito a farsi eleggere senatore del suo Colorado, nonostante investimenti altrettanto sontuosi. Ne' i lobbisti riescono a comprare tutto: proprio Bloomberg, per esempio, l'altro giorno si è scagliato contro il commercio troppo libero delle armi da fuoco, nonostante la pressione costante della potentissima Nra (National Rifle Association, quella che coniò lo slogan "Happiness is a warm gun" apprezzato perfino da John Lennon).

La battaglia anticorruzione di McCain

Lo scandalo Abramoff, con le sue probabili decine di vittime imminenti, raddrizzerà Washington? Non scherziamo. L'ultimo sondaggio Gallup conferma i film di Frank Capra: il 49% degli americani adulti sono convinti che la maggioranza dei membri del congresso siano corrotti. Disprezzo bipartisan: il 47% punta il dito contro i repubblicani, l'altro 44 contro i democratici. Lo schifo nei confronti della politica professionista è talmente spontaneo, nello statunitense medio, che il presidente George Bush lo sfrutta abilmente nei propri discorsi: "Ho proposto questo e quello, ma i politici di Washington mi hanno bloccato", neanche fosse un qualsiasi Mr. Smith.

Che fare, allora? Tutta la campagna presidenziale di McCain, nel 2000, si era sviluppata sul tema della lotta contro le lobbies. Ma McCain ha perso, perchè fra le abitudini connaturate degli americani c'e' quella di "far combaciare le parole col portafogli", e quindi di tirar fuori i soldi quando si crede in una causa o in una persona. Proibire i contributi alle campagne elettorali e abolire i lobbisti è quindi impossibile. Negli Stati Uniti non esistono sezioni di partito e segretari: ci sono soltanto "fundraiser", raccoglitori di fondi per pagare le campagne elettorali. La politica consiste in questo. Si possono soltanto stabilire patetici paletti, come il limite di poche migliaia di dollari ai contributi personali verso un singolo candidato, nell'illusione di calmierare l'influenza dei Paperoni.

Ora si parla di punire gli eletti che votano su un tema per il quale hanno ricevuto contributi nelle settimane o mesi precedenti. Ma al povero dittatore Omar Bongo del Gabon, che per essere ricevuto da Bush nel 2004 dovette versare milioni di dollari ad Abramoff, i soldi chi li restituirà?

Mauro Suttora

3 comments:

Alessandro Bonomonte said...

She's not a girl who misses much...
Happiness is a warm gun, una delle più belle canzoni dei Beatles è di Paul.

Alessandro Bonomonte said...

When I hold you in my arms
and I feel my finger on you trigger
I know nobody can do no harm
Because Happiness is a warm gun mama

Sono proprio una bestia: è di John

Mauro Suttora said...

"Questo brano era giudicato da Lennon uno dei suoi migliori e sfodera un notevole vigore, operando a un livello emozionalmente allusivo che pochi compositori sono riusciti a realizzare"

Ian McDonald, 1994