Thursday, February 13, 2003

intervista a Sandra Bullock e Hugh Grant

Grant racconta i litigi con la Bullock sul set del loro film culto

Sandra, io sono nevrotico: i pantaloni li lascio portare a te

"È anche la produttrice di "Due settimane per innamorarsi" e quindi era il mio capo, oltre che la mia partner", spiega il divo "La mattina io ero sempre di cattivo umore e lei presa da mille problemi" "Hugh mi ha insegnato un sacco di nuovi... insulti", rivela l' attrice

New York (Stati Uniti), febbraio 2003

Vogliono conquistare il titolo di coppia più romantica del cinema, e minacciano di riuscirci. Sandra Bullock e Hugh Grant sono riusciti a incassare già 100 milioni di dollari in soli due mesi in America col loro ultimo film 'Due settimane per innamorarsi', e stanno spopolando in Italia dove sono arrivati nel giorno di San Valentino. È un agguerrito testa a testa con l' 'Amore a cinque stelle' di Jennifer Lopez e Ralph Fiennes, altra grande commedia rosa che in Italia vedremo da aprile. Sandra Bullock recita la parte di una combattiva avvocata delle cause perse, militante ecologista che all' inizio del film non esita a sdraiarsi in strada contro una speculazione edilizia, per poi alla fine sdraiarsi nel letto dello speculatore. Non si capirà bene se è stata lei a conquistare, convincere e redimere lui, o viceversa. Quel che è certo è che quando due attori sono belli, affascinanti e simpatici come la Bullock e Grant, il lieto fine è doveroso. Anche se al povero Hugh toccano personaggi ripugnanti come quello del film: un figlio di papà falso, immaturo e incapace.

Peccato che poi, nella vita, questi due campioni del romanticismo non riescano a trovare l' anima gemella. E ormai, sia per Sandra che per Hugh, l' età avanza: oltre i quaranta lui (42), appena sotto lei (38). Li incontriamo entrambi al Park Lane Hotel di Manhattan per intervistarli. Chiariamo subito, intanto: sul set vi siete amati come sostengono gli esperti di gossip ? Vi siete odiati ? O siete restati indifferenti l' uno all' altra ?

"Era da tanto tempo che volevamo recitare assieme; finalmente siamo riusciti a realizzare questo desiderio...", attacca diplomaticissima Sandra. In questo film è lei che porta i pantaloni. Non solo perché il suo personaggio è più maturo del vacuo seduttore interpretato da Hugh, ma anche perché nella realtà la Bullock è pure produttrice. E in questo film non si è limitata a recitare, ma ha fatto anche il "padrone": la Warner Brothers ha subappaltato alla sua società la produzione esecutiva. "È stata un' esperienza utile e interessante, ma non la ripeterò mai più", confessa lei, "perché è da schizofrenici pensare alla propria parte, decidere se una scena va ripetuta o no, discutere col regista sui costi di questo e quello... Non voglio più sostenere il peso di queste responsabilità". Forse a causa del nervosismo per il superlavoro, pare che sul set Sandra non fosse tranquilla, e che anche nei rapporti con Hugh a volte la tensione salisse. O perlomeno, questo è ciò di cui hanno spettegolato durante i mesi delle riprese i giornali di New York.

Lei, ovviamente, nega tutto: "Hugh è la persona più charming che esista. Però è vero che entrambi siamo perfezionisti. Io pensavo di essere la più esigente del mondo sul set, e invece ho scoperto che lui è ancora più preciso di me. Se è convinto di non aver recitato bene una scena, vuole ripeterla finché non è soddisfatto. "A questo aggiungete che anche il regista è un perfezionista, e che a New York, a differenza di Los Angeles dove gli spazi sono più ampi, si gira per strada, e quindi qualsiasi passante può assistere ai retroscena... Insomma, basta una parolaccia ad alta voce per dare l' impressione che si stia litigando. La verità è che sia io che Hugh amiamo il linguaggio colorito. Anzi, lui mi ha insegnato dei nuovi insulti...".

La versione di Hugh Grant sui rapporti con Sandra è surreale: "Sì, volevo farmela da tempo, qualche anno fa eravamo finiti nello stesso albergo in due camere vicine e ho cercato di conquistarla sussurrandole oscenità rivoltanti. Da allora non ha più voluto vedermi... Scherzi a parte, il problema è che, mentre il film procedeva, lei aveva sempre più energia nel suo ruolo di produttrice, io sempre meno. La verità è che sono un nevrotico totale, e con la pressione dei soldi e del tempo divento paranoico. La parte peggiore della giornata è al mattino. Riesco a essere orribile e quando mi arrabbio il tono dei miei strilli sale fino a livelli da gallina di pollaio. Al pomeriggio va molto meglio".

Non è un segreto che il finale del film abbia dovuto essere girato di nuovo, dopo che le riprese erano finite. "Sì", conferma la Bullock, "ma non è avvenuto perché la Warner, come ha scritto qualcuno, era scontenta. Al contrario, erano talmente soddisfatti da concederci aumenti di budget nel caso ci fosse stata qualsiasi cosa da fare per migliorare ulteriormente il film. Così abbiamo preferito rifare la scena finale in un ambiente più intimo". Sandra e Hugh vanno sull' intimo varie volte nel film. A un certo punto, lei si ubriaca sul suo yacht e lo bacia con foga. "Mi è sembrato il bacio più lungo che abbia mai dato a chiunque, anche nella vita vera", scherza lei, una delle zitelle più ambite degli Stati Uniti. E lui: "Sandra è davvero attraente, ma con alcune donne, per quanto mi piacciano, non riesco a flirtare. Sono quelle troppo intelligenti. Mi trovo più a mio agio con quelle meno brillanti".

Hugh Grant, dopo la disavventura del 1995 con la prostituta di colore Divine Brown (venne arrestato per atti osceni in auto a Los Angeles) e la separazione da Liz Hurley, è uno degli scapoli d' oro più attivi di Hollywood. Da anni svolazza di party in party, ogni sera alle prese con nuove splendide ma sconosciute modelle e starlette. Pochi giorni fa si è favoleggiato di un' ulteriore impresa nel campo del sesso non convenzionale, quando l' ascensore su cui erano saliti lui e una bella ragazza in un albergo di Los Angeles è rimasto a lungo bloccato fra un piano e l' altro. Ma tutto ciò che riusciamo a strappargli, come commento serio sulla sua instancabile e volubile attività di rubacuori, è un laconico: "Ammetto di non essere molto paziente in questo periodo con le donne". E subito dopo si rifugia nella battuta: "Riconosco che il figlio di cui Sandra è attualmente incinta è mio". Un riferimento ironico alla vicenda della sua ex, Liz Hurley, che è dovuta ricorrere in tribunale per far riconoscere il figlio Damian al playboy Steve Bing.

Anche Sandra Bullock da anni non va oltre le avventure più o meno fugaci. Ora sta con l' attore Ryan Gosling, 22, coprotagonista nel suo penultimo film. Non ha problemi ad affrontare seriamente l' argomento amore: "Le mie relazioni non sono mai state facili, e ammetto che è avvenuto per colpa mia. Il problema sono io. Ho bisogno di qualcuno che mi faccia sentire piccola quando gli sto vicino. Qualcuno a cui non debba chiedere nulla quando ho bisogno d' aiuto, perché l' aiuto me l' ha già dato lui spontaneamente". La seconda fidanzata d' America (il primo posto lo detiene sempre Julia Roberts) ha scandalizzato tutti confessando pochi giorni fa di avere fatto una volta l' amore in taxi ("Però è successo prima di diventare famosa"). Nel film ci mette due settimane per innamorarsi di Hugh Grant. Quante gliene occorreranno per trovare l' amore della sua vita ?

Wednesday, February 12, 2003

Kalpana, l'astronauta indiana

KALPANA CHAWLA, L’ASTRONAUTA INDIANA MORTA NEL DISASTRO SHUTTLE

di Mauro Suttora

Oggi, 12 febbraio 2003

Era nata a Karnal, un paese 130 chilometri a nord di Nuova Delhi, e fin da piccola il suo sogno era di volare nello spazio. Come quegli astronauti americani che a otto anni vide atterrare per la prima volta sulla Luna in Tv, da un apparecchio che trasmetteva traballanti immagini in bianco e nero provenienti da una lontanissima città che si chiamava Houston. 

Così la piccola Kalpana Chawla cominciò a comportarsi come un maschietto: si tagliava i capelli da sola, rifiutava di indossare abiti stirati e imparò il karate. «Era la più piccola dei miei cinque figli», ricorda la mamma Sanyogita, «Io veramente mi aspettavo un altro maschietto, ma devo dire che alla fine Kalpana ha realizzato molte più cose di un maschio».

I suoi professori indiani la ricordano come un’estroversa. Una volta fece una ricerca sull’ecologia e preparò una grande mappa colorata del cielo con le sagome delle stelle. Dopo il liceo Tagore si iscrisse all’università Dayal Singh di Karna e due anni dopo fu l’unica femmina a essere accettata nel corso di ingegneria aeronautica all’università del Punjab a Chandigarh, dove si laureò.
 
Poi capì che per avvicinarsi al suo sogno doveva emigrare. I suoi genitori la lasciarono partire, anche se qualche parente mormorò: «Dovrebbe prima sposarsi». 
Nel 1982 approdò negli Stati Uniti e si iscrisse all’università del Texas, lo Stato che a Houston ospita il quartier generale della Nasa, la leggendaria National Aeronautics and Space Administration.

«Era una studentessa brillante, eccellente, sempre fra i primi della classe», la ricordano compagni e professori, «ma anche una persona molto tranquilla, quasi umile». Alla parete della sua stanza, nella casa dello studente, aveva appeso alcune foto dello Shuttle. Vegetariana stretta, rifiutava perfino di mangiare assieme a chi preferisse la carne. 

Nessuno aveva capito che sotto l’apparenza remissiva della ragazza indiana si nascondeva una volontà di ferro. Infatti dopo la specializzazione arriva il master in ingegneria aerospaziale all’università del Colorado, con la conquista del titolo di «doctor» che negli Stati Uniti è per pochissimi (ed è curioso che le uniche a potersene fregiare, fra i sette astronauti morti nel disastro del primo febbraio, siano le due donne).

Nel 1984, intanto, si è sposata con un americano: Jean Pierre Harrison, un istruttore di volo incontrato il giorno del suo arrivo negli Stati Uniti. Acquisisce così la cittadinanza statunitense. E nel 1987 prende il brevetto di pilota d’aerei.

Kalpana ha ormai le carte in regola per trasformare il suo sogno in realtà. All’inizio si indirizza verso una carriera di progettazione, e lavora al Centro di ricerche Ames della Nasa a Moffett Field in California, nel cuore della Silicon Valley, e poi come vicepresidente della società Overset Methods nella California settentrionale. 
«Ma non mi illudevo proprio di poter diventare astronauta», aveva raccontato. Invece a 33 anni viene accettata dalla Nasa: diventa ufficialmente astronauta, assieme ad altri soli 19 fortunati selezionati fra ben quattromila candidati.

Dopo un’attesa e un addestramento di tre anni, finalmente il 19 novembre 1997 arriva il grande giorno: Kalpana è la prima indiana a volare nello spazio. Parte con la più vecchia delle quattro navette («shuttle»), la Columbia, progettata nel 1972, in funzione dall’81 e sopravvissuta al disastro del Challenger nel 1986. Il suo compito: deve manovrare il braccio-robot esterno della navicella spaziale.

Per un miliardo di indiani e per tutta l’Asia Kalpana è diventata un’eroina. Ma forse proprio l’enorme pressione di aspettative che si concentra su di lei la fa sbagliare, per la prima e unica volta nella sua vita: il satellite solare Spartan da 1.500 chili che dev’essere riparato le sfugge dal braccio meccanico. Ci vorranno tre giorni per recuperarlo nello spazio, e un’uscita esterna degli astronauti per compiere l’operazione.

Si può immaginare la costernazione della povera Kalpana. Con gli occhi di un intero continente puntati su di lei, sbagliare le sembra imperdonabile. È convinta che la sua carriera spaziale sia terminata. Ma gli astronauti più anziani la incoraggiano: «Non è stata colpa tua, hai fatto un ottimo lavoro. Non permettere a nessuno di dire il contrario». E infatti l’inchiesta interna della Nasa appura che si trattò di una serie di errori collettivi commessi dall’intero equipaggio. 

Così, piano piano, la discreta Kalpana ha risalito la china ed è finita in lista d’attesa per un’altra missione. Non le è stato facile imbarcarsi per il secondo viaggio, quella della rivincita: la sua partenza è stata rinviata più volte, per mesi che alla fine sono diventati anni.

Le ristrettezze economiche della Nasa hanno rallentato i programmi, e per l’intero 2002 le navette Shuttle sono rimaste a terra a causa di problemi tecnici. Il personale addetto alla loro manutenzione é stato decimato: da tremila persone nel ‘95, a 1.800 quattro anni dopo.
 
Gli Stati Uniti spendono in missioni spaziali 15 miliardi di dollari all’anno. Niente (solo il quattro per cento) rispetto ai 370 miliardi di spese militari. Ma molto, troppo per parte dell’opinione pubblica, ormai assuefatta alle imprese degli astronauti e annoiata dalla mancanza di risultati spettacolari.
 
La perfezionista Kalpana era anche il simbolo della rinascita tecnologica dell’India, delle sue schiere di geniali ingegneri che hanno trasformato la zona di Bangalore in una seconda Silicon Valley dell’elettronica mondiale.

Il suo lungo sogno si è spezzato la mattina del primo febbraio, solo un quarto d’ora prima di atterrare a Capo Kennedy. 
Pezzi del suo povero corpo disintegrato sono stati recuperati nei campi vicino a Houston, quella lontanissima città che nell’estate 1969 aveva cominciato a far sognare una bimba indiana dagli occhioni di brace, consegnandola al suo destino di trionfo e di morte.
Mauro Suttora

Wednesday, February 05, 2003

parla il nipote di Claretta Petacci

Intervista a Ferdinando Petacci

"Il diario di zia Claretta dirà che fu Churchill a farla uccidere"

ESCLUSIVO Parla l' unico superstite di Dongo

"Lo Stato nasconde i suoi scritti e le lettere a Mussolini", dice Ferdinando (a lato, col nostro cronista) "Quei documenti proveranno gli accordi top secret tra il Duce e il premier inglese che, per evitarne la divulgazione, avrebbe ordinato l' eliminazione di Benito e dell' amante che sapeva"
"Violentarono mia madre e spararono alle spalle a papà"

dal nostro inviato a Phoenix (Arizona) Mauro Suttora

Oggi 5 febbraio 2003

Dopo sessant' anni bisogna venire fino in Arizona, a diecimila chilometri dall'Italia, per sapere qualcosa di più su uno dei grandi misteri del Ventesimo secolo: l'uccisione di Benito Mussolini e dell' amante Claretta Petacci. "Terra di sogni e di chimere" era definito questo Stato americano in una famosa canzone dell' era fascista, il Tango delle capinere. Ma il suo autore, Cesare Andrea Bixio, aveva scelto l' Arizona per far rima con una "chitarra che suona". E oggi arriviamo fra deserti e grand canyon solo perché qui abita l' unico erede vivente dei Petacci: Ferdinando, 61 anni, figlio di Marcello e nipote di Claretta.

C' era anche lui, bimbo di tre anni, sull' Alfa Romeo fermata a Dongo (Como) dai partigiani il 28 aprile 1945, assieme alla zia Claretta, a papà Marcello, alla mamma e al fratellino di cinque anni. Assassinati i primi due, violentata per giorni la madre, bloccato lo sviluppo mentale del fratello (morto poi giovane di cancro) perché aveva assistito alla fucilazione del padre, Ferdinando è il solo sopravvissuto al dramma. "Per decenni non ho voluto sapere nulla di quelle vicende", mi confessa nella hall dell' albergo dove abbiamo appuntamento, "anche se dopo aver perso la nostra casa di Merano mia madre dovette mandarmi in collegio sotto falso nome. Non sono fascista, non lo sono mai stato, mi sono costruito da solo la mia vita e la mia carriera di dirigente industriale. Mi sono sposato e ho avuto due figli che vivono negli Stati Uniti come me.
Poi, con l' età, mi sono reso conto che la nostra famiglia ha subito una grossa ingiustizia. Non c' era alcun motivo di uccidere Clara Petacci, che ebbe l' unico torto di amare un uomo. Non c' era alcun motivo di ammazzare mio padre, che non era un gerarca fascista: lo urlarono i ministri di Salò ai partigiani comunisti mentre li stavano fucilando. Mio padre riuscì a scappare, si tuffò nel lago, ma fu colpito mentre si allontanava. Dopo la morte di zia Miriam, una decina di anni fa, sono subentrato a lei nella richiesta allo Stato italiano di rientrare in possesso dei diari di mia zia e delle sue lettere a Mussolini".

E questo è il motivo per cui siamo qui. Lei si oppone alla pubblicazione di questo carteggio. Come mai?

"Perché lo Stato italiano ha preso in giro noi eredi per oltre mezzo secolo, e ancora adesso non vuole ridarci ciò che è di nostra legittima proprietà. Il diario e le lettere private, infatti, furono affidati da mia zia Clara a una sua cara amica, la contessa Cervis, prima di fuggire dal lago di Garda nell' aprile ' 45: vivevano assieme nel Vittoriale di D' Annunzio. La contessa seppellì il plico nel giardino della sua villa. Claretta, giunta a Milano, preferì restare con Mussolini, rifiutando di scappare in aereo per la Spagna con la sorella Miriam. Ma a lei si raccomandò: "Se mi capitasse qualcosa, i documenti sono lì". A guerra finita Miriam restò in Spagna e i carabinieri sequestrarono il carteggio. Ma qui cominciano i misteri. Perché dall' inventario del sequestro risulta che le lettere di Mussolini e le minute di quelle di mia zia fossero 600, mentre ora sono la metà. Dove sono finite le lettere mancanti ? Perché sono sparite ? Chi le ha prese ? E che cosa c' era scritto di così delicato da rendere necessario un trafugamento ?".

Lei non ha mai potuto neanche visionare il diario e le lettere ?

"No. Dicevano che c' era il segreto di Stato, che in Italia dura cinquant' anni. Ma nel ' 95, alla scadenza del termine, hanno trovato un' altra scusa per mantenere il segreto: Paola Carucci, sovrintendente dell' Archivio centrale dello Stato, mi ha scritto opponendo un fantomatico diritto alla privacy, che scadrebbe dopo settant' anni. Quindi, secondo loro, io dovrei aspettare ancora fino al 2015. Ma non solo io: tutti gli storici sono esclusi dalla consultazione. Perfino al più prestigioso fra loro, Renzo De Felice, è stato negato l' accesso a quelle preziose carte. Prima con la scusa del segreto, poi con quella della privacy. Proprio contro gli unici che potrebbero dolersene, e cioè i legittimi eredi".

La sovrintendente Carucci è stata sostituita cinque mesi fa dal governo Berlusconi.

"Ma anche i nuovi dirigenti mi deludono", dice Petacci, "quando annunciano che lettere e diari verranno pubblicati, senza restituirli ai legittimi proprietari: si tratterebbe di un ulteriore esproprio senza indennizzo ai danni della mia famiglia".

Si può facilmente immaginare il valore storico ma anche commerciale di una pubblicazione di questi documenti. I misteri sulla fine di Mussolini (dal famigerato "oro di Dongo", il tesoro che i gerarchi in fuga portavano con loro e poi scomparso, alla vera identità del colonnello Valerio, il presunto giustiziere del dittatore fascista, fino alle prove dei contatti segreti fra il premier britannico Winston Churchill e Mussolini e all' assassinio di vari testimoni di quelle vicende) hanno sempre messo in imbarazzo gli eredi dei partigiani comunisti che ammazzarono in quattro e quattr' otto l' ex Duce in fuga.

Perché tutta quella fretta di fare giustizia sommaria ? Sull' argomento sono state avanzate le ipotesi più inquietanti, come quelle contenute nei libri dell' ex capo partigiano Urbano Lazzaro (quello che catturò Mussolini) e dello storico Luciano Garibaldi. Quest' ultimo ne dà un panorama completo nella sua opera più recente, La pista inglese (edizioni Ares, 15 e).

Una pista, quella del coinvolgimento dei britannici, a cui crede anche Ferdinando Petacci: "Sono convinto che la decisione di uccidere Mussolini, mia zia e mio padre fu frutto di un accordo fra agenti inglesi e il colonnello Valerio, che secondo Lazzaro era Luigi Longo, numero due del Pci di Palmiro Togliatti e suo successore".

C' è anche chi ipotizza che Valerio, giunto a prendere i prigionieri per portarli a piazzale Loreto, li trovò già cadaveri. E che fu inscenata una macabra doppia fucilazione, perché i comunisti non volevano perdere il merito di avere giustiziato il Duce. Ha qualcosa da aggiungere sulla pista inglese rispetto agli storici ?

"La vicenda della mia famiglia. Mio padre Marcello ci aveva portati in salvo in Svizzera qualche tempo prima, attraversando di notte il confine nella Val d' Intelvi. Eppure ci fece tornare tutti in Italia, me, mia madre, mio fratello, per prendere mia zia Clara. Perché rischiare ? Mio padre non era certo un pazzo. Aveva dato a tutti noi un passaporto spagnolo, lui si faceva passare per un diplomatico di Madrid, e quando l' Alfa Romeo fu fermata dai partigiani soltanto l' intelligenza di Lazzaro, che era un' ex guardia di Finanza, abituato ai controlli di frontiera, gli fece scoprire un' incongruenza fra il passaporto personale di mia madre e quello collettivo. Così ci arrestarono. Altrimenti Clara Petacci si sarebbe salvata: nessuno l' aveva riconosciuta".

Perché Marcello Petacci era così tranquillo ?

"Perché fino alla sera prima aveva trattato a Milano con agenti spagnoli e inglesi. Churchill era ricattabile da Mussolini, col quale aveva condotto trattative segrete per tutto l' anno precedente. Lo statista inglese aveva capito che il pericolo del futuro non era più la Germania, ma l' Unione Sovietica di Stalin. Quindi aveva contattato Mussolini fin dal giugno 1944, subito dopo il successo dello sbarco in Normandia, con due obiettivi. Il primo era quello di una pace separata con l' Italia, che avrebbe permesso di liberare truppe preziose impegnate sul fronte degli Appennini, spostandole su quello francese per arrivare a Berlino prima di Stalin. Il secondo era quello di convincere Hitler, tramite Mussolini, a negoziare un armistizio a Ovest. Così la guerra sarebbe continuata solo fra nazisti e comunisti, sul fronte orientale. Di tutto questo era al corrente non solo mia zia, ma anche mio padre".

Prove?

"Non le deve chiedere a me, ma allo Stato italiano che nasconde da 58 anni il diario privato di Clara Petacci e le lettere Petacci Mussolini. Comunque esistono testimonianze inequivocabili di incontri segreti fra capi fascisti ed emissari inglesi sul lago d' Iseo. E lo stesso duce si recò due volte in auto di notte da Salò a Ponte Tresa, fra Varese e la Svizzera, per incontrare agenti britannici. Lo doveva fare di nascosto, eludendo la "scorta" delle SS. Anche le trascrizioni delle sue telefonate con Hitler dimostrano come cercasse di convincere il Fuehrer a un armistizio non solo sul fronte italiano, ma anche su quello francese. Hitler però non ne volle sapere".

Fra gli occidentali, gli Stati Uniti non erano disposti a un armistizio coi nazisti, né a tradire l' alleato Stalin. Pretendevano la resa di Hitler.

"Infatti. Per questo la posizione di Churchill era delicata. Se Mussolini avesse subito un processo pubblico, avrebbe esibito le prove delle trattative con il capo inglese, mettendolo in imbarazzo. Per questo gli agenti del controspionaggio inglese, ricevuta la notizia della sua cattura sul lago di Como, si attivarono per eliminarlo. E con lui dovettero uccidere mia zia, che era al corrente di tutto. Infatti lei negli ultimi tempi era diventata una sua stretta confidente anche per le vicende politiche: il diario e il carteggio lo dimostreranno. Non c' era alcun' altra ragione per ammazzarla. Né c' era ragione che Churchill si precipitasse sul lago di Como poche settimane dopo, nell' estate 1945, con la scusa di trascorrere le vacanze nella villa di Moltrasio che oggi appartiene ai Versace, a pochi chilometri da Dongo. È provato che il capo inglese incontrò il funzionario della banca dove era stata depositata la borsa di documenti dalla quale Mussolini non si separava mai: "Lì dentro c' è il futuro dell' Italia", si raccomandò il Duce col partigiano che gliela prese. Anche quei documenti sono spariti".

Mauro Suttora