Tuesday, August 12, 2003

Il nuovo film di Bob Dylan

MASKED AND ANONIMOUS

di Mauro Suttora

Il Foglio, 12 agosto 2003 

New York. Sei anni fa impressionò il mondo intero, con uno di quei suoi Twist of fate, scherzi del destino che sono ormai l'unica caratteristica che accetta. Bob Dylan andò a esibirsi di fronte al Papa, durante il Congresso eucaristico internazionale di Bologna.

Vestito come un buzzurro texano, non si tolse il cappello da cowboy quando si avvicinò a Giovanni Paolo II per salutarlo. Però l'omaggio del Santo padre della controcultura al Santo padre vero c'era tutto.

Ne è passato di tempo, da quel settembre '97. A 61 anni, dopo che il cuore lo ha portato a un passo dalla morte e i critici a un passo dal premio Nobel, il più grande cantautore americano torna a fare l'iconoclasta. 
Nel suo ultimo film appena uscito negli Stati Uniti, Masked and Anonymous, si aggira infatti un bianco sosia del Papa, assieme a un finto Gandhi e a una copia di Abramo Lincoln. 

La presa in giro è evidente, anche se questi personaggi storici nel film non fanno né dicono alcunché: si limitano a salire silenziosi nella scalcinata roulotte backstage di un concerto di Dylan.

L'effetto spiazzamento è notevole: sembra una scena di allucinazione surreale tratta dal periodo di Desolation Row a metà anni '60, quando Dylan scriveva lunghissimi testi assurdi che facevano impazzire il traduttore Fabrizio De Andrè.

Il film, come molta produzione dylaniana, è tutto e niente. Rolling Stone ne è entusiasta, il New York Post gli ha dato zero. L'intera Hollywood, però, ha fatto a gara per apparire almeno con un cameo non pagato: Jessica Lange, Mickey Rourke, Penelope Cruz, Val Kilmer, Chris Penn, Ed Harris, Angela Bassett...

Il Luke Wilson di fama Tenenbaumiama interpreta la parte del fan stupido e devoto, John Goodman è un sudatissimo promoter truffatore, Jeff Bridges fa il solito giornalista rompiballe che infastidisce Dylan con domande tipo: "Dicci la vera ragione per cui non sei andato a Woodstock". 

Lui non può che rispondere col silenzio, come fa da quarant'anni. E nel film interpreta se stesso, cantante che esce di prigione e alla fine ci ritorna senza bene capire perchè, accusato di un delitto che non ha commesso. Docile, mingherlino e stralunato come nella realtà.

Nel '73 il regista Sam Peckimpah lo diresse in un memorabile western, Pat Garrett & Billy the Kid. La sua fu una semplice comparsata, ma compose un capolavoro per la colonna sonora: Knocking on Heaven's Door.

Saturday, August 09, 2003

Newsweek: Vacationing with Mr.B

Vacationing With Mr. B

By Mauro Suttora

Newsweek, August 18, 2003

link: original article on Newsweek

"What's new, Salvo?" My paparazzo friend is sipping caipiroska in a seaside cafe, watching the yachts anchored off Porto Cervo. The smallest is 40 meters. It's cocktail time, and he's taking a break from chasing celebs all day. "I got Gwyneth Paltrow on Valentino's boat. Liz Hurley, too. But I'm still looking for Eric Clapton. He should be at Peter Gabriel's villa."

There's no place like Sardinia's Costa Smeralda for stalking stars in summer. Marbella, St. Tropez? Not even close. "Tonight Roberto Cavalli is throwing the wildest party," Salvo informs me breathlessly.

 The Sultan of Brunei could be there, though probably not Silvio Berlusconi, Italy's prime minister. Among the world's richest men, he owns four villas in Costa Smeralda: one each for his mother, his brother, his eldest son and himself. Salvo's fondest dream is to snap Berlusconi on holiday, preferably with a woman other than his wife. The picture would be gold - not worth as much as Princess Diana and Dodi Fayed's first and last kiss here in 1997, but enough to make his season. My friend is practically salivating.

Casually, I mention that I'm vacationing with Mr. B - or rather with three of them, all oddly linked to the real Mr. B by no more than a degree of separation. Salvo looks confused. Berlusconi recently bought a fifth piece of land for a fifth villa, I explain. He got it from another Mr. B--the most powerful man on the Costa, Tom Barrack, a Californian descended from a Lebanese grocer. This second Mr. B also just paid $340 million for a chain of luxury hotels in Porto Cervo, including the sumptuous Cala di Volpe. "I'm having breakfast with him tomorrow."
As it turns out, Barrack is aiming to develop some virgin shoreline but fears being blocked by local zoning authorities, who didn't let even the Aga Khan (the famous bazillionaire playboy-prince who essentially founded the Costa Smeralda) build on the site when he once owned the land. Will they now let Barrack fire up his bulldozers? I bet they do.
The two Mr. B's are now friends, I tell Salvo, especially since Silvio gets his fifth villa. Tom, clearly a smooth operator, lavishes compliments on the P.M. "A Renaissance man," he calls Berlusconi. "He even composes love songs for his wife that he sings himself." Salvo looks downcast.

My third Mr. B to be vacationing in Sardinia this year is Gigi Buffon, the renowned goal-keeper for Juventus and the Italian national football team. This has been a fantastic year for Italy: we swept three out of the four first places in the European Champions League for the first time in history. The winner was AC Milan - Berlusconi's team, of course.
A pity that the football players who flock to the Costa in search of glamour and girls are not more appreciated. They aren't elegant enough for the habitues, who despise them as newcomer wanna-bes. And the sleek young women who prowl about in the snippiest of bikinis and evening dresses are mostly after bigger fish than footballers.

At the ultra-glam Yacht Club annual gala, filled with everyone from the president of Mercedes to the most powerful and secretive Swiss bankers, Salvo and I hoped again to come across Berlusconi. But no. Instead we teamed up with the young and rowdy football champions--and thus fell in with still another famous Mr. B.
This one is Flavio Briatore, the Formula One racing-team manager who owns the most expensive nightclub in Porto Cervo, aptly named Billionaire. The big news this season is that the potbellied playboy Briatore has switched girlfriends: from high-attitude model Naomi Campbell to, well, high-attitude model Heidi Klum. A point in his favor, Salvo agrees. We left Billionaire at 5 in the morning, the not-quite-risen sun lighting the sea a tender pinky-violet to the east. No doubt the real Mr. B was home in bed. With his wife.

Copyright 2003 Newsweek

Benjamin Franklin

BOOM DELLE BIOGRAFIE SUL PADRE DELLA NAZIONE

di Mauro Suttora

Il Foglio, 9 agosto 2003

New York. “Niente è sicuro nella vita, tranne la morte e le tasse”. Chi l’ha detto? Benjamin Franklin. Formidabile aforista, ma anche giornalista, editore, scienziato, imprenditore e soprattutto padre fondatore degli Stati Uniti. Assieme a Thomas Jefferson, George Washington e John Adams, certo, “ma lui è l’unico che 250 anni dopo ci sembra ancora in carne e ossa, e non di marmo”.
Parola di Walter Isaacson, presidente dell’Aspen Institute, già direttore della Cnn e del settimanale Time nonché fortunato autore dell’ultima biografia di Franklin (ne esce in media una all’anno), che è fulmineamente salita in sole cinque settimane al secondo posto dei bestseller Usa, superata solo da quella di Katharine Hepburn. Stracciata Hillary Clinton. 

Un successo incredibile, anche perchè non si stanno festeggiando particolari anniversari: l’inventore del parafulmine nacque nel 1706 e morì nel 1790. Pure nei paperbacks Franklin spopola: dopo appena tre settimane la biografia dell’anno scorso, scritta dal professore di storia di Yale Edmund Morgan, ha conquistato il settimo posto in edizione economica.

“Era il più moderno dei Founding fathers”: così spiega l’exploit lo storico Arthur Schlesinger. In un momento in cui l’America si interroga profondamente sul proprio ruolo e la propria essenza, a quasi due anni dall’11 settembre e dopo due guerre, la vita del “rivoluzionario riluttante” (come l’ha brillantemente definito Morgan) serve a capire l’attuale riluttanza a sobbarcarsi un ruolo imperiale. 

Perchè “Ben”, com’è familiarmente conosciuto Franklin, è stato soprattutto il portavoce della classe media: quella che nel 1770 era disposta a un onorevole compromesso con Londra invece di muoverle guerra, e che oggi si sente umiliata dal crollo delle pensioni della New economy, oltre che da quello delle due Torri. Osama, Saddam? Certo, pericolosi terroristi da eliminare. Ma, come ammoniva il filosofo pratico di Filadelfia, “un penny risparmiato è un penny guadagnato”. Perciò oggi l’impiegato, già nervoso perchè fatica a pagare l’università del figlio, comincia a irritarsi ascoltando le notizie dall’Iraq: un nostro ragazzo ammazzato ogni giorno, al costo di un miliardo di dollari ogni settimana.

Franklin è sempre stato schifato dai romantici, racconta Isaacson, per chè era il piccolo borghese fiero della propria aurea mediocrità che nel suo annuale “Almanacco del povero Richard” proclamava: “I grandi distruttori del genere umano sono tre: la peste, la carestia e l’eroe. Non eroi ma scienziati servono all’umanità”. 

Grande impresa, quella del calendario. Per ben 26 anni, fino al 1758, Franklin ne vendette diecimila all’anno. La Pennsylvania, dov’erano concentrati gli abbonati, aveva soltanto 50mila abitanti (600mila il totale delle colonie). Quindi, se si escludono gli schiavi e gli analfabeti (metà della popolazione), l’almanacco entrava in ogni famiglia, era letto da tutti, e si era imposto come il più importante strumento di (in)formazione in una società dove l’influenza della chiesa stava declinando.

Il geniale ventenne, che era anche editore-direttore della Pennsylvania Gazette, aveva insomma in mano l’opinione pubblica del proprio stato. E guadagnò tanti di quei soldi che a 42 anni si ritirò dagli affari per dedicare la seconda metà della propria vita alla scienza e alla politica. George Washington combattè la rivoluzione sui campi di battaglia, ma fu Franklin a permettergli di vincerrla andando a Parigi a farsi dare i soldi dai francesi. 
E fu anche l’unico a firmare tutti e quattro i documenti che segnarono la nascita degli Stati Uniti: la Dichiarazione d’indipendenza del 1776, l’alleanza con la Francia due anni dopo, il trattato di pace con l’Inghilterra nell’82 e la Costituzione nell’87.

Il figlio di poveri immigrati, costretto a crescere in due stanze con tredici fratelli, finì a pranzo con tutti i re d’Europa. Voltaire lo abbracciò da pari a pari (“Oggi di fronte all’Academie Royale è come se si fossero incontrati Solone e Sofocle”, annotò Condorcet). Ma il poliedrico Franklin diresse anche un ufficio postale, fondò i pompieri di Filadelfia, escogitò l’assicurazione antincendio, inventò gli occhiali bifocali, organizzò il primo servizio di vigilantes e propose l’ora legale. 

Noi prendiamo in giro Silvio Berlusconi perchè si preoccupa dei fiori durante i summit (Genova 2001), ma il perfezionista Ben a Parigi fece di peggio (o meglio): giocò a scacchi con un amico nel bagno di madame Helvetius mentre lei assisteva nuda nella vasca, per ingraziarsi la ‘haute’ e far fuori il rivale Adams. Inguaribile burlone, a 75 anni preparò uno studio scientifico sull’emissione dei gas intestinali per l’Accademia reale di Bruxelles. Morì vecchio e felice. Max Weber lo disprezzò: “La sua etica si riduce al come far soldi”. L’America invece lo adora, e compra tutti i libri su di lui.
Mauro Suttora

Friday, August 01, 2003

Riapre l'ambasciata dell'Iraq a Roma

di Mauro Suttora, da New York

Il Foglio, 13 agosto 2003

La villona dell'ex ambasciata irachena a Roma è sempre lì, in quella invidiabile posizione a metà costa di Monte Mario, via della Camilluccia 355. Domattina, per la prima volta dopo la liberazione dell'Iraq più di quattro mesi fa, un rappresentante del nuovo governo (i 25 dirigenti iracheni del Consiglio nominato dalle Potenze occupanti) visiterà quella che è destinata a diventare una delle più importanti ambasciate irachene nel mondo. 

«Non c'è dubbio che, grazie alle scelte del vostro primo ministro, l'Italia sarà uno dei Paesi più vicini al nuovo Iraq», prevede Entifadh Qanbar, 44 anni, che raggiungiamo a Washington poco prima della sua partenza per Roma. Sarà lui a prendere conoscenza della situazione pratica dell'ambasciata: «Si tratta soltanto un'ispezione preliminare, vedremo se è rimasto ancora qualche ritratto di Saddam...», scherza Qambar.

Scherza, ma non troppo. Qambar, infatti, porta ancora sul proprio corpo i segni delle torture che gli aguzzini del regime gli inflissero nel 1987, durante i 47 giorni di prigionia che patì a Bagdad. Laureato in ingegneria civile, pilota militare per cinque anni, Qambar finì nella rete dei servizi segreti iracheni verso la fine della guerra contro l'Iran. Suo fratello e altri undici persone arrestate assieme a lui furono condannate a morte e fucilate. Lui riuscì a cavarsela e nel '90, poche settimane prima dell'invasione del Kuwait, scappò negli Stati Uniti. Ottenne l'asilo politico e da dieci anni è cittadino statunitense. 

La sua vicenda è stata raccontata da Kanan Makiya, architetto del Mit, uno dei più celebri fuoriusciti iracheni, nel terzo capitolo del libro "Crudeltà e silenzio", pubblicato nel '93. Anche nel libro, però, il vero nome di Qambar non appare: per evitargli ritorsioni da parte delle spie di Saddam attivissime anche all'estero, Makiya lo cambiò in Omar.

Oggi è arrivata la rivincita. Dopo un master in ingegneria ottenuto all'università Georgetech di Atlanta (Georgia), Qambar ha cominciato a collaborare con Ahmed Chalabi, il capo dell'Iraqi National Congress. Nel novembre 2000 si è trasferito da Atlanta a Washington, ha abbandonato il lavoro ed è diventato portavoce a tempo pieno di Chalabi. Nel marzo di quest'anno è andato a Doha (Qatar) come ufficiale di collegamento fra il Centcom del generale Tommy Franks e l'Iraqi National Congress. 

"Dopo la liberazione mi sono trasferito a Bagdad. Ho accompagnato Chalabi a Roma il 17 luglio per una riunione dell'Internazionale socialista, poi a New York per il suo incontro al Consiglio di sicurezza dell'Onu. E adesso, tornando a Bagdad, farò tappa a Roma per visitare l'ambasciata. Poi spero di ottenere un passaggio su un aereo militare italiano verso l'Iraq, come ho fatto all'andata».

La «liberazione» dell'ambasciata irachena a Roma non avrà niente di dannunziano, insomma. Però sicuramente almeno quattro persone proveranno il brivido della novità: Faris Ali Al Shoker, primo segretario e console della Sezione per la tutela degli interessi iracheni in Italia dal 2000, l'altro diplomatico Karim Kadhim Aagol e le signore Ayad Mahmoud ed Eman Amjad Mohammed. Sono sopravvissuti alla guerra e al cambio di regime, anche se lo status dell'ambasciata era stato da tempo retrocesso a semplice Ufficio ospitato presso la rappresentanza del Sudan. 

«Fino all'anno scorso la sede della nostra ambasciata ospitava una scuola araba aperta non solo agli iracheni», spiega al Foglio Al Shoker, «poi abbiamo dovuto chiudere anche quella. Si', so che domani arriverà un rappresentante del nuovo governo, anche se non l'ho ancora sentito al telefono. Io sono in partenza, sono stato richiamato a Bagdad come tutto il personale diplomatico iracheno. Ma il nostro ministero degli Esteri ha sempre continuato a funzionare, gli stipendi sono regolarmente arrivati, anche se noi non possiamo svolgere alcuna attività per i cittadini iracheni residenti in Italia».
L'ambasciatore in Italia verrà nominato appena il nuovo governo iracheno sarà riconosciuto, e si saprà il nome del ministro degli Esteri. «A settembre», spera Qambar.
Mauro Suttora