Wednesday, June 26, 2002

La legge Bossi Fini sugli immigrati

NON CI UMILIANO LE IMPRONTE DIGITALI, MA LE CODE DI ORE

di Mauro Suttora

Milano, 26 giugno 2002

Dopo tutte le polemiche suscitate dalla nuova legge sull’immigrazione Bossi-Fini (già approvata dalla Camera, dovrebbe avere il sì del Senato entro la fine del mese) abbiamo chiesto l’opinione ad alcuni immigrati extracomunitari. E abbiamo scoperto con sorpresa che il principale punto di dissenso fra destra e sinistra, cioè le impronte digitali che d’ora in poi dovranno essere prese a tutti gli extracomunitari che vogliono risiedere in Italia (compresi statunitensi o svizzeri), non disturbano in realtà nessuno. Anche perché nei Paesi d’origine è normale che figurino sui documenti d’identità.

È la burocrazia italiana, invece, il principale nemico degli immigrati. Fastidi enormi sorgono anche per problemi minimi: «Io dovevo solo far annotare sul mio permesso di soggiorno il nuovo numero di passaporto, perché il vecchio era scaduto», racconta Fatiha Benkirane, 40 anni, portinaia marocchina a Milano. «Sono andata in questura alle nove di mattina, c’era una coda lunghissima. Mi hanno detto di tornare il giorno dopo. Ma l’indomani alle sette c’era già la fila. Così è dovuto venire mio marito alle tre di notte, e ha dovuto aspettare fino alle dieci». 

«In questura trattano come delinquenti anche noi immigrati regolari», spiega il marito Alì, 40 anni, laureato in legge a Casablanca, che lavora nelle celle frigorifere del mercato del pesce, a meno 15 gradi. «E non importa che io sia in Italia da tredici anni, abbia sempre lavorato, pagato le tasse, il bollo dell’auto e non abbia mai avuto il minimo problema con la giustizia».

«Fa bene la nuova legge a permettere di consegnare i documenti anche in Posta, così si eviteranno gli affollamenti. Io nel ’96 ho dovuto stare in coda tutta la notte», conferma Maria Elena Garaj, 35 anni, laureata e professoressa di scuola media in Perù, in Italia dal ’96, «badante» di una signora di 97 anni e dirigente dell’organizzazione Acli-Colf. La sua amica Maria Samora, salvadoregna: «Non mi sento umiliata dalle impronte digitali, ma dalle attese infinite per prenotare anche una semplice visita medica».

E Daniel Di Virgilio, 38 anni, infermiere all’ospedale San Raffaele di Milano: «Ho aspettato un anno per il riconoscimento dei miei titoli di studio in Argentina. Eppure c’è carenza di infermieri, qui offrono 1300-1500 euro agli appena assunti con alloggio in residence a soli 200 euro mensili. Ma solo stranieri e meridionali accettano, anche perché bisogna lavorare a turno di domenica e di notte». 

«Si parla tanto delle impronte digitali, ma non capisco cosa ci sia di male», dice Sckalcim, albanese di 33 anni che lavora nei campi a Conversano (Bari). «Se uno viene in Italia per lavorare che problema ha a lasciare le impronte? Chi non vuole farlo è perché magari ha la coscienza sporca, o forse pensa di voler andare a rubare».

Tutti gli immigrati sono passati attraverso un periodo più o meno lungo di irregolarità. «Noi siamo stati fortunati», spiegano i coniugi Benkirane, «perché nel ’90, poco dopo il nostro arrivo, c’è stata la sanatoria della legge Martelli».

 La legge Turco-Napolitano è servita invece a sanare la situazione di Maria Elena, che arrivata in Italia con visto turistico di tre mesi ha trovato lavoro dopo due settimane, ma è rimasta senza permesso per un anno: «Non avevo paura di essere espulsa come clandestina, perché se ci si comporta bene non ti fermano solo per un controllo. Però cercavo di essere prudente». Dell’ultima sanatoria, quella del ‘98, ha usufruito Maria Samora. 

Di Virgilio mette in luce una contraddizione della legge: «Non si può assumere chi non ha il permesso di soggiorno, ma per ottenerlo bisogna lavorare: è un circolo vizioso assurdo». Quanto all’albanese Sckalcim, «sono sbarcato in canotto dalle parti di Lecce, poi ho raggiunto la stazione più vicina a piedi e da lì ho preso un treno per la Sicilia, dove sono andato per raccogliere l’uva».

I coniugi Benkirane sono arrivati dal Marocco nell’89 e hanno lavorato a Genova, Piacenza e Milano. Alì ha fatto il custode in un circolo di golf, ma gli davano un milione e 700mila lire al mese, mentre un italiano che faceva il suo stesso lavoro prendeva tre milioni. «Però in Italia non c’è razzismo», dice, «contrariamente a Francia e Spagna. In Francia si sta meglio perché gli immigrati possono avere facilmente case popolari e un sussidio come tutti in caso di disoccupazione, ma ci sono episodi di intolleranza. Noi in Italia invece ci troviamo bene, e non vogliamo tornare in Marocco. Anche perché ormai nostra figlia Rim ha sei anni, le piace molto la scuola materna italiana, e da settembre andrà in prima elementare».

«Mi piacerebbe poter tornare in Perù, ma è impossibile», dice la badante Maria Elena, «perché il mio stipendio da professoressa era di 200 euro al mese. Ho cercato di emigrare negli Stati Uniti prima di venire in Italia, ma non ci sono riuscita perché lì le regole per entrare sono molto più severe». Anche l’infermiere Di Virgilio si è ormai stabilito in Italia: ha sposato un’infermiera colombiana e ha due figli, uno di due anni e l’altro di otto mesi.

La legge Bossi-Fini è più dura con i clandestini. Che ne pensate? 
«Per noi marocchini il problema è entrare in Spagna», spiega Alì. «Da lì, poi, si può circolare abbastanza tranquillamente per tutta Europa. Non è difficile corrompere le guardie di frontiera, pagando una tangente. O nascondersi su camion e corriere. Comunque, se i clandestini commettono reati bisogna prenderli e mandarli via».
Ma spesso gli irregolari nascondono la loro identità e il Paese d’origine. 
«Allora che la polizia italiana mi assuma come consulente», scherza Alì, «bastano tre parole in arabo per capire dall’accento se uno viene dall’Egitto, dal Marocco o dalla Tunisia...» 
«Sono d’accordo con le pene più severe per i clandestini», dice Maria Elena.

È tutto sommato buona questa nuova legge per l’albanese Sckalcim, per i suoi conterranei Cim ma italianizzatosi in Gino, come ormai lo chiamano tutti. Gino porta sul suo volto i segni di un passato difficile, che lui ormai considera alle spalle anche se, attualmente, ogni giorno la sua vita è scandita da ben 13-15 ore di lavoro. 

«Dopo aver finito la scuola, nel 1989 sono andato a fare il servizio militare», racconta Gino. «Poi con la caduta del comunismo non c’era lavoro e in casa eravamo otto fratelli, così bisognava darsi da fare. Allora sono riuscito ad attraversare la frontiera e ad andare a lavorare, come clandestino, nei campi della Grecia. Non si guadagnava molto, ma era l’unica cosa che potevo fare. Dopo cinque anni, mio cognato che stava in Italia mi disse di venire qui, che si sta meglio. A Tirana contattai le persone che mi hanno fatto attraversare l’Adriatico, e sono arrivato. All’inizio ho lavorato per la vendemmia in Sicilia tutto il giorno. Di notte dormivamo in una casetta in campagna».

Finita la raccolta dell’uva Sckalcim doveva trovare un nuovo lavoro. Sempre il cognato gli suggerì di andare nel foggiano per raccogliere pomodori. «Feci tutta la stagione», racconta Sckalcim, «prima piantavamo i pomodori, poi li curavamo e infine li raccoglievamo, sempre nella clandestinità, dormendo nei campi». Quando anche la stagione dei pomodori finì Gino dovette cercarsi altro. Così chiamò un vecchio amico che viveva a Conversano, il quale gli consigliò di raggiungerlo. 

Lì ha trovato la sua piccola America. «È vero. Il posto è davvero accogliente. Il mio amico mi ha fatto conoscere un proprietario terriero che dopo un po’ di lavoro in nero ha deciso di regolarizzarmi, fornendomi un contratto e aiutandomi a preparare i documenti per il permesso di soggiorno. Nel frattempo sono riuscito a trovare anche una stanza in affitto da un italiano che si è fidato, chiedendomi solo di non fare troppo chiasso. Quando ho avuto i documenti in regola sono tornato in Albania e ho sposato la mia fidanzata, siamo stati insieme una settimana e poi sono tornato in Italia dove ho subito iniziato a preparare i documenti per far venire in Italia anche mia moglie. Ci sono riuscito un anno fa. Appena è arrivata qui abbiamo preso in affitto una casa tutta per noi, sono 85 metri quadri e ci troviamo bene. Così abbiamo deciso di fare un figlio e da tre mesi abbiamo una bambina. Viviamo felici, anche se il lavoro è molto duro».

Cosa pensi della nuova legge per l’immigrazione? 
«Da quel che ho sentito mi sembra buona». 
E sul fatto che per avere il permesso di soggiorno serve il contratto di lavoro?
«È giusto. Se non hai il lavoro, cosa vieni a fare? Certo, il fatto che se lo perdi ti cacciano via non è bello, ma se ti danno un po’ di tempo per cercarne un altro allora va bene». 
Toglieranno anche lo sponsor, la persona che garantisce con vitto e alloggio per l’immigrato.
«Penso che anche questo sia giusto, perché un conto è avere il lavoro, un altro è avere tutte queste cose, che sembrano buone ma che in realtà non ti permettono di cambiare datore di lavoro. Così chi te le offre alla fine ti sfrutta ancora di più». 
Insomma, forse ha ragione l’ex ministro Claudio Martelli, autore della prima regolamentazione dell’immigrazione dodici anni fa: «Il problema non sono più le leggi, ma la loro applicazione pratica giorno per giorno».
Mauro Suttora

Thursday, June 20, 2002

A.A.A. Costa Smeralda vendesi

Il paradiso fa gola ai miliardari. Un magnate statunitense, Tom Barrack, è in corsa per aggiudicarsi i gioielli dell'Aga Khan,che aveva già passato la mano a una catena americana.
Ecco come il regno del jet set si prepara a un'altra estate da record: dopo l'11 settembre, infatti, i ricchi e famosi preferiscono nascondersi qui, nei loro rifugi dorati.

di Mauro Suttora

Oggi, 20 giugno 2002

 

















































































Wednesday, June 19, 2002

Manovre sulla Costa Smeralda

dal nostro inviato Mauro Suttora

settimanale Oggi

Porto Cervo (Sassari), 19 giugno 2002

Sarà un’estate da record. Dopo l’11 settembre, i ricchi europei e quelli americani non hanno molta voglia di avventurarsi in Paesi esotici o islamici. Quindi ripiegheranno sulle mete classiche del jet set mediterraneo: Marbella, Costa Azzurra e Costa Smeralda. Così la Sardegna supererà ancora una volta le presenze record raggiunte l’anno scorso, grazie al suo mare impareggiabile. E Porto Cervo e Porto Rotondo ridiventeranno caput mundi: da Naomi Campbell allo yacht di Valentino, da quelli degli sceicchi alla nave rompighiaccio di Carlo De Benedetti e alle ville di Silvio Berlusconi.

Le quotazioni sono già al rialzo: «Ville che nel 2001 abbiamo affittato per 30 milioni di vecchie lire in agosto, quest’anno sono andate via per 50 in luglio», rivela un agente immobiliare di Olbia. E per i ricchi & famosi è pronto anche il nuovo aeroporto Costa Smeralda, ingrandito e impreziosito, che il frenetico andirivieni di velivoli privati trasforma in agosto nel terzo scalo d’Italia. Anche gli alberghi cinque stelle lusso, i mitici Cala di Volpe e Pitrizza, Cervo e Romazzino, saranno affollati, con le camere da mille euro a notte e le suites da 14 mila euro prenotate un anno per l’altro.

La crisi di Manhattan ha però colpito i padroni di questi alberghi: il gruppo statunitense Starwood, che ha chiuso il 2001 con un indebitamento di 5 milioni di dollari (su un patrimonio di 16) e un utile netto in calo del 25 per cento. Dopo la strage delle Torri Gemelle, l’occupazione media delle sue camere era scesa al 19 per cento, e il titolo era precipitato in Borsa da 40 a 18 dollari. Ora le cose vanno meglio, la quotazione è risalita, ma per la Starwood resta la necessità di alleggerirsi di qualcuno dei suoi 750 hotel sparsi nel mondo.

In prima fila, nel pacchetto in vendita, brillano i 25 gioielli ex Ciga (Compagnia italiana grandi alberghi), la catena fondata un secolo fa dal veneziano Giuseppe Volpi, poi nominato da Mussolini governatore della Libia, ministro delle Finanze e conte di Misurata. Dopo essere passata per le ambigue mani dei finanzieri Michele Sindona e Orazio Bagnasco, la Ciga aveva trovato una nuova vita grazie al principe Aga Khan. L’inventore (40 anni fa) di Porto Cervo aveva fatto disegnare i nuovi hotel dai migliori architetti: Luigi Vietti il Cervo e il Pitrizza, Jacques Couelle il Cala di Volpe, Michele Busiri Vici il Romazzino.

Per trent’anni la Costa Smeralda è rimasta il rifugio del jet set più esclusivo del mondo: cantanti come i Beatles, reali come la principessa Margaret d’Inghilterra, attrici come Florinda Bolkan, miliardari come i Guinness della birra, sceicchi come Yamani, banchieri del Nord-Europa, industriali italiani come Merloni (lavatrici Ariston) o Mentasti (acque minerali San Pellegrino).

Poi, negli Anni Novanta, la Costa si è un po’ «imbastardita»: sono arrivati calciatori, soubrettes, pin-up, arricchiti russi, Umberto Smaila, Flavio Briatore. Lo chic si è affievolito, però il glamour è rimasto intatto. Anzi, presso le grandi masse è aumentato. Ma l’Aga Khan, irritato perché la regione Sardegna gli aveva bloccato nuovi piani di costruzione, otto anni fa ha venduto tutti gli alberghi più 2.400 ettari di terreni, la Marina di Porto Cervo e il Golf del Pevero alla multinazionale statunitense Sheraton. Questa ha poi passato la mano alla Star- wood. Al principe ismailita è rimasto soltanto lo Yacht Club di Porto Cervo e l’80 per cento della compagnia aerea Meridiana, che esercita il quasi monopolio sui voli da Olbia.

Così, adesso tutto questo bendidio è di nuovo in vendita. Gli americani conserveranno soltanto la gestione in affitto ultradecennale degli alberghi. Il prezzo dell’intero pacchetto è valutato due miliardi di euro (4 mila miliardi di vecchie lire). Oltre alle proprietà sarde, ci sono dentro i 25 alberghi di lusso della catena ex Ciga, dal St. Regis di Roma ai Danieli e Gritti di Venezia, dai milanesi Principe di Savoia e Diana al fiorentino Grand Hotel. Ma il cuore più appetitoso dell’offerta sono, evidentemente, i cinquanta chilometri della Costa Smeralda.

I pretendenti sono molti. In prima fila due quasi coetanei: il miliardario libanese-americano Thomas Barrack, 53 anni, e il nostro Marco Tronchetti Provera, 54, padrone di Pirelli e Telecom, nonchè marito di Afef. Barrack è un californiano di genitori libanesi e religione cristiano-maronita. Due mesi fa è volato in Sardegna sul suo jet executive Falcon 900 e ha incontrato il presidente della Regione Mauro Pili, di Forza Italia. Finora le autorità regionali hanno proibito di costruire nell’ultima parte intatta della Costa Smeralda, la zona sud, fra Portisco e Cala di Volpe: quel Master Plan che, a seconda dei punti di vista, «valorizzerebbe» o «coprirebbe di cemento» l’area ancora vergine di Razza di Juncu. Il progetto prevede cinque nuovi hotel di lusso, due campi da golf e trenta ville. Barrack vorrebbe aggiungerci addirittura un autodromo e un ippodromo.

I piani degli speculatori si sono finora infranti davanti alla legge regionale che impedisce di costruire a meno di trecento metri dalla spiaggia: solo grazie a questo vincolo le coste della Sardegna si sono parzialmente salvate. Ma è anche vero che fino a oggi la Costa Smeralda, grazie al buongusto dell’Aga Khan, non è stata sfregiata da obbrobri urbanistici come nelle vicine Palau, Cugnana o Poltu Quatu: i miliardari possono anche permettersi di non eccedere in cubature, e di circondare le proprie ville di verde.

Nella speranza di vederlo approvato, la Starwood ha già ridimensionato il Master Plan: i metri cubi sono diminuiti da 2,5 a 1,7 milioni, e gli alberghi ne rappresentano ora il 40 per cento invece dell’originario 20 per cento. Le autorità sarde, infatti, vedono con più favore gli alberghi rispetto alle seconde case e ai residence, perché con i primi si crea più occupazione. Ma finora l’OK non è arrivato, e quindi il valore di quesi 2.400 ettari è assai incerto: quasi zero se l’area rimane inedificabile, platino se arrivano le ruspe.

L’americano Barrack ha un patrimonio personale di otto miliardi di dollari, con catene di alberghi e casinò in Canada, Stati Uniti e Francia. Cinque anni fa aveva comprato per quattro miliardi e mezzo di lire un terreno di 32 ettari a Porto Rotondo, per costruirci due hotel lusso e un golf. Ma il vicino di casa si chiama Silvio Berlusconi, e l’idea di un’invasione di turisti e golfisti lo ha fatto orripilare. Così il premier, qualche mese fa, ha sborsato sei miliardi a Barrack per quel terreno.

Se i buoni rapporti con Berlusconi favoriscono lo statunitense Barrack, gli altri pretendenti alla Costa Smeralda non sono da meno. Tronchetti Provera, infatti, è diventato negli ultimi anni anche un grosso proprietario immobiliare, e proprio in questi giorni sta quotando in Borsa la sua società Pirelli Real Estate, che possiede, fra gli altri, i prestigiosi palazzi del Corriere della Sera in via Solferino e della Rizzoli a Milano (dove c’è la redazione di Oggi). In Sardegna la Pirelli ha già comprato da Paolo Berlusconi la Costa Turchese, progetto di villaggio a sud di Olbia. Tronchetti, però, non vuole lasciare completamente la gestione degli alberghi alla Starwood.

Anche se le trattative sono segrete e gli interessati non fanno trapelare alcunché, pare siano coinvolti anche Diego Della Valle (l’industriale delle scarpe Tod’s), il costruttore-editore sardo Sergio Zuncheddu (proprietario del principale quotidiano dell’isola, L’Unione Sarda), i fratelli Molinas (re dei tappi di sughero e acquirenti di altri due gioielli della Costa, gli alberghi Sporting di Porto Rotondo e Petra Bianca), i Fratini di Firenze (jeans Rifle) e il veneto Leonardo Del Vecchio (occhiali Luxottica e Rayban).

Chi riuscirà, allora, a comprarsi la Costa Smeralda, il più bel gioiello del Mediterraneo? E, soprattutto, riuscirà il compratore a costruire nuovi alberghi e case senza ridurre questo Eden a un’altra Ibiza sudata e affollata?

«In agosto qui è già adesso il caos», avverte Bruno Mentasti, uno dei pionieri della Costa, «ci sono code interminabili di auto sulle strade e di motoscafi in mare». I locali notturni, tutti concentrati nella stessa zona (Sottovento, Sopravento, Billionaire, Pepero, Peyote), bloccano il traffico fra il centro di Porto Cervo e le ville esclusive nelle aree di Romazzino, Pevero e Cala di Volpe. Gli yacht devono ormeggiarsi in terza e quarta fila nelle baie delle isole di Mortorio, Caprera e Maddalena. Quanto alle spiagge, quelle del Principe, di Liscia Ruja, Long beach e Celvia diventano un carnaio fin dalle prime ore del mattino.

Così, il paradiso rischia di trasformarsi in un inferno. Ormai i miliardari più avveduti del Nord-Europa frequentano la Costa Smeralda soltanto in giugno, luglio e settembre: via dalla pazza folla! Italiani e arabi, invece, preferiscono ancora concentrarsi nelle prime tre settimane di agosto. Ma il futuro sta in una parola complicata: «destagionalizzare». Cioè abituare i ricchi & famosi ad andare in Sardegna da aprile a ottobre, allungando la stagione da Pasqua a Ognissanti. È questa la vera scommessa, chiunque vinca la partita in corso sulla Costa Smeralda.

Mauro Suttora

Monday, June 10, 2002

Aldo Grasso commenta l'articolo su Padre Pio

Corriere della Sera, lunedì 10 giugno 2002, pag. 29

Sezione: SPETTACOLI

Padre Pio sul video sempre vincente tra sacro e profano

di Aldo Grasso

Sarà interessante un giorno capire quanto la tv abbia spinto e accelerato il processo di santificazione del popolarissimo Padre Pio e, viceversa, quanto Padre Pio abbia contribuito alla canonizzazione della tv popolare (le conclusioni non sono in alternativa).

E' un desiderio sorto da una doppia lettura, originata dalle due corpose pagine che Il Foglio di sabato 8 giugno ha dedicato al frate di Pietralcina e dallo speciale «Porta a porta», sempre dedicato al neo santo (Raiuno, sabato, ore 20.50). E' stato uno scontro mediatico. Solo sulla carta stampata è possibile porsi certe domande (come quelle suggerite da [b]Mauro Suttora[/b]) mentre, in video, funziona unicamente il principio d' autorità decretato dallo star system?
Sembrerebbe di sì, visti gli ospiti di Bruno Vespa: Albano, Valeria Marini, Alessandro Greco, Pippo Baudo, Katia Ricciarelli, Enrico Montesano, Giulio Andreotti. Ospiti che sono già un format vivente: è la loro stessa presenza a decretare l' andamento del programma e l' esito della discussione.

Un piccolo esempio per capire: d' un tratto, Andreotti scaglia una delle sue malignità su Padre Gemelli (il frate-psicologo che ha accusato Padre Pio di essere un isterico); collegato da Milano c' è Francesco Alberoni che di Padre Gemelli è stato uno degli allievi prediletti. Vogliamo fargliela una domandina? No, niente.

Certo l' abilità di Vespa sta proprio nel mescolare sapientemente il sacro e il profano: a Pietralcina manda la pia Lorena Bianchetti, in abito da discoteca, e a San Giovanni Rotondo l' inquieta Elisabetta Gardini, con aria da suorina. E' l' abilità di chi sa che la risorsa Padre Pio fa audience e che non è il caso di porsi troppi perché. A meno che, mistero, la tv generalista non sia una forma moderna di stimmate, una prova di umiliazione e di sofferenza cui siamo chiamati.

Saturday, June 08, 2002

Il miracolo economico di Padre Pio

Laica contabilità sul bene(ssere) fatto dal frate

IL FOGLIO

SABATO 8 GIUGNO 2002

di Mauro Suttora

San Giovanni Rotondo (Foggia)
ha scavalcato Fatima e Lourdes come
prima meta di pellegrinaggio europea,
e ora tallona il santuario messicano
della Signora di Guadalupe per il primato
mondiale. E’ questo, forse, il principale
miracolo compiuto da Padre
Pio, che verrà proclamato santo domenica
16 giugno. Si tratta di una progressione
impressionante. Ancora nel
1997 i visitatori del paese pugliese di 26
mila abitanti dove visse il frate con le
stimmate erano quattro milioni all’anno.
Superati in Italia dai devoti alla
Madonna di Loreto (sette milioni di visitatori
annui), a San Francesco d’Assisi
(sei milioni) e a Sant’Antonio di Padova
(cinque). Poi, grazie al trentennale
della morte di padre Pio nel 1998, alla
sua beatificazione l’anno seguente e
al giubileo del Duemila, si sono registrati
aumenti al di là di ogni previsione:
anche del 30 per cento annuo. Così
nel 2001 si è arrivati a quota otto milioni,
e per quest’anno le ragionevoli speranze
sono quelle di toccare i dieci milioni.
Insomma, Padre Pio riesce a far
muovere un sesto della popolazione
italiana: una quantità incredibile di
persone.

Il giro d’affari complessivo di questa
vera e propria industria è di 500 milioni
di euro annui (mille miliardi in lire).
Così oggi nel cielo di San Giovanni Rotondo
le gru sono più numerose delle
croci: il paese è diventato un unico,
grande cantiere. Si sta terminando il
nuovo santuario progettato da Renzo
Piano, vengono costruiti furiosamente
nuovi alberghi a decine. Tutto questo
per un luogo di culto spontaneo, che fino
alla beatificazione di tre anni fa non
era ufficialmente “consigliato” dalla
Chiesa cattolica, e per un personaggio
che non pochi, in Vaticano, hanno considerato
un impostore.

Adesso San Giovanni Rotondo ha tutto,
compreso un network televisivo privato
appositamente dedicato a Padre
Pio. Manca soltanto una cosa: l’aeroporto.
Per arrivare con l’aereo bisogna
atterrare a Bari, e poi sorbirsi un’ora e
mezza di torpedone fino al Gargano.
Sarebbe assai più comodo utilizzare il
vicinissimo scalo aereo di Foggia. Ma
gli aerei rischiano di rimanere un sogno.
Nel piccolo aeroporto foggiano
“Gino Lisa” nel 2000 erano decollati e
atterrati per pochi mesi gli apparecchi
della Federico II Airways, che lo collegavano
a Milano, Roma, Parma, Crotone
e Palermo. Ma l’iniziativa è fallita.
Non resta quindi che chiedere un altro
miracolo. Così il paese di Padre Pio potrà
sfidare sul serio il santuario messicano
della Madonna di Guadalupe come
prima destinazione religiosa cristiana
nel mondo (Roma a parte, naturalmente).
Ormai, infatti, anche nel
campo dei viaggi sacri i grandi numeri
si possono conquistare soltanto con
grandi infrastrutture, voli charter e comodità
di trasporti aerei a basso costo
.
Ma quanti sono gli aficionados del
frate cappuccino? Più di 15 milioni in
tutto il mondo, pare. Sono stati censiti
ben 2.187 “gruppi di preghiera”, 1.807
dei quali in Italia, 65 in Inghilterra, 64
negli Stati Uniti, 56 in Francia. Don
Santino Spartà, il prete che appariva
in tv collegato da un salotto di nobili
decaduti nel programma “Chiambretti
c’è”, ha addirittura confezionato un libro
imperdonabilmente pubblicato
dalle edizioni Paoline: “Vip devoti di
Padre Pio”. Da Giulio Andreotti a Sofia
Loren, da Mike Bongiorno ad Al Bano,
sono legioni. Alberto Castagna è convinto
di essere guarito grazie alla sua
intercessione. “Lo vedo sulla porta del
paradiso”, assicura Iva Zanicchi. “E’ il
compagno della mia esistenza”, confessa
Pippo Baudo, che andò a conoscerlo
nel 1968 assieme a Renzo Arbore.
Il quale a sua volta ha iniziato al
culto la sua ex compagna Mara Venier.
“Mi frena nella voglia di litigare”, spiega
un altro pugliese doc, Lino Banfi.

* * *
Per la Puglia padre Pio è una miniera.
Non esistono disoccupati nell’area
di San Giovanni Rotondo, paesone collocato
in mezzo al promontorio del
Gargano, a 560 metri d’altezza, e fatto
cingere di mura dall’imperatore Federico
II di Svevia nel 1220. Il suo nome
deriva da un tempio dedicato al dio
Giano, perché la chiesetta dedicata a
San Giovanni Battista costruita sulle
sue rovine più di mille anni fa ne conservò
la forma circolare. Le statistiche
ufficiali sui disoccupati danno un tasso
del 6 per cento, che però è quasi fisiologico:
registra chi si trova momentaneamente
senza lavoro, fra un impiego
e l’altro. Una bella differenza rispetto
alla disoccupazione che colpisce il resto
della Puglia con una media del 20
per cento, punte del 40 fra i giovani, e
addirittura del 60 fra i neolaureati. Che
non sono poi così drammatiche, perché
in realtà molto lavoro nero sfugge alle
rilevazioni. Ma sicuramente questa zona
rappresenta un’isola felice.

Gli occupati negli alberghi, nei 110
ristoranti e pizzerie e nei 132 bar di
San Giovanni sono 2.600. Soltanto per i
pasti, si stima che i pellegrini spendano
50 milioni di euro all’anno. Gli hotel
attivi sono 100, ma non bastano: se ne
stanno costruendo un’altra trentina,
per arrivare a 7.500 posti letto. Poi ci
sono un centinaio di affittacamere. Otto
hotel sono a quattro stelle, ma l’albergo
dove alloggiò il papa quindici
anni fa è un modesto due stelle, il Vittoria
(pensione completa 44 euro a persona,
prezzi 2002). Naturalmente non
tutti i pellegrini pernottano in loco: si
sono fermati “soltanto” in 900 mila nel
2001, con una media di permanenza di
1,7 giorni. Questo significa che si passa
in albergo una sola notte, al massimo
due, e che invece più di sei milioni arrivano
al mattino e ripartono già alla
sera. Ma un fiume di soldi scorre egualmente,
incessante.

* * *
Non è questa, tuttavia, la maggior
fonte di lavoro per il paese di Padre
Pio. Ben 2.800, infatti, sono i dipendenti
del mastodontico ospedale, la Casa
Sollievo della Sofferenza costruita nel
1956 e regalata al Vaticano 12 anni dopo,
alla morte del frate. L’istituto incassa
ogni anno 10 milioni di euro in
offerte. Nella Casa di cura operano 500
medici a tempo pieno. E’ considerata
una delle migliori del centro-sud: vanta
reparti di eccellenza nazionale, e anche
un notevole centro di ricerca. All’inizio
aveva 300 posti letto, oggi ne
conta il quadruplo con 40 reparti. Quello
di malattie genetiche è all’avanguardia:
qui è stata individuata la Connexina,
gene responsabile della sordità
su genitori portatori sani ma udenti.
I ricoverati sono 60 mila all’anno, di
cui il 23 per cento provenienti da fuori
della Puglia.

Nel 1962 il vescovo di Cracovia, in
Polonia, raccomandò a Padre Pio una
donna gravemente ammalata di tumore
alla gola. Qualche mese dopo gli
scriveva per comunicargli l’avvenuta,
incredibile guarigione. Quel vescovo si
chiamava Karol Wojtyla, e l’episodio
aiuta a capire molte cose, compresa la
velocità della causa di canonizzazione.
Nel 1987 papa Giovanni Paolo II si recò
personalmente in pellegrinaggio a San
Giovanni Rotondo.

Oggi la Casa Sollievo gestisce anche
due aziende agricole. La “Posta la Via”
sta nella pianura del Tavoliere, vicino
ad Amendola (Foggia), e vi si allevano
600 capi bovini da carne e latte, con relativa
produzione di formaggi, yogurt e
budini. Nei caseggiati del Settecento
dell’azienda Calderoso, invece, si vende
olio d’oliva biologico e si accolgono
i partecipanti a congressi scientifici. In
paese sorge anche un pensionato per
anziani.

* * *
La sfida più grande, però, è quella
del nuovo grande santuario (seimila
metri quadri) progettato dall’architetto
Renzo Piano proprio alle spalle del
convento dei cappuccini. A dire il vero
la costruzione sembra più simile a un
palazzetto dello sport che a un luogo
sacro. Si sperava che fosse pronto per
la cerimonia di trasformazione di Padre
Pio da Beato a Santo. Ma da una
parte i ritardi dei lavori, dall’altra l’accelerazione
impressa dal Papa al processo
di canonizzazione, hanno fatto
saltare l’appuntamento. Le date non
combaciano più: la nuova chiesa con 10
mila posti coperti (di cui la metà seduti)
e 40 mila all’aperto, sul sagrato, non
sarà pronta prima del settembre 2003.
Finora è costata ben 36 milioni di euro
(70 miliardi di lire) ai frati cappuccini,
inclusa una lauta parcella per il contestato
architetto Piano. Si spera che le
offerte dei fedeli riescano a coprire i
costi finali di questo faraonico progetto.
Chi vuole può contribuire con 25 euro
per una pietra, o 50 per una canna
d’organo. I prezziari sono disponibili
anche su un sito Internet. Il crocifisso
di Arnaldo Pomodoro è costato da solo
un milione e mezzo di euro (3 miliardi).
I lavori sono partiti otto anni fa, ma
sono stati rallentati da un blocco del
Consiglio superiore dei Lavori pubblici
e da una buggeratura finanziaria di
cui sono rimasti vittime i frati (“E’ stata
la mano del demonio”, si lamentano
loro). Un viale largo 30 metri con ben
1.000 cipressi porterà al sagrato. E’ la
prima opera di architettura religiosa
firmata da Piano, il quale annuncia:
“Questo è un luogo già sacro, ma io desidero
che diventi magico”. All’uopo,
ecco i ventuno archi di pietra naturale
di Apricena (Foggia): le campate raggiungono
un’altezza di 45 metri. Ogni
arco è composto da 52 blocchi di pietra
pesanti 6 tonnellate e assemblati a mano
in gruppi di cinque. Era dai tempi
delle cattedrali gotiche che la pietra
non veniva utilizzata per realizzare ar-
chi portanti di queste dimensioni.
“Piano è un megalomane”, brontola
qualcuno in paese.

* * *
I negozi del paese di Padre Pio sono
più di 1.000, e a un numero eguale ammontano
gli oggetti che vendono: penne,
orologi, fazzoletti, magliette, statue.
Queste ultime sono di tutte le misure:
dai pochi centimetri fino a quelle in altezza
naturale (il frate era alto un metro
e 70). Lo stesso modello può costare
5 milioni di lire se confezionato in vetroresina,
e 18 se è di bronzo. Ma la differenza
fra i due materiali è impercettibile.
Uno dei risultati concreti della
santificazione è che d’ora in poi le statue
di San Pio potranno essere esposte
dentro tutte le chiese del mondo, che
attorno alla sua testa potrà essere disegnata
l’aureola, e che gli potranno
essere dedicati anche chiese, cappelle
e altari. Si prevedono quindi grossi sviluppi
produttivi per il comparto statue.
Completano l’oggettistica bottiglie,
posacenere e generi alimentari con
l’immagine del frate, oltre ai tradizionali
oggetti sacri. Alcuni rosari sono
profumati di viole, l’odore che pare si
diffondesse quando avvenivano i suoi
miracoli. Ben 200 sono i libri che narrano
la vita di Padre Pio, biografie sacre
dove sono contenuti i racconti dei
suoi poteri soprannaturali, delle persecuzioni
subite, dei luoghi dove ha
vissuto e dei miracoli. Si tratta in gran
parte di agiografie, e ora ci sono pure
diversi cd-rom.

* * *
Padre Pio spopola anche su Internet.
Provate a cliccare il suo nome su un
qualsiasi motore di ricerca, e otterrete
migliaia di risposte: è una cifra che pochi
personaggi riescono a raggiungere.
In alcuni dei tremila siti è possibile
sentire la voce del frate, vedere le sue
immagini e ottenere informazioni sui
gruppi di preghiera in tutto il pianeta.
L’unico sito ufficiale è comunque
www.padrepio.it. Fiorisce un mercato
di vecchi film amatoriali inediti dove si
può vedere Padre Pio assieme ai suoi
nipoti, oppure mentre va a votare. I
prezzi superano anche i 250 mila euro
(mezzo miliardo in lire). D’altra parte,
ben 150 mila euro è stata pagata un’intervista
esclusiva alla miracolata Consiglia
Di Martino, la cui guarigione è
stata alla base del processo di beatificazione.

* * *
Nel 2000 i due sceneggiati televisivi
di Raiuno e Canale 5 con Michele Placido
e Sergio Castellitto hanno fatto registrare
audience da record: 13-14 milioni
di spettatori. “Impegnarmi per
mesi a essere come lui è stata un’esperienza
unica, la più importante della
mia carriera. Ma anche la più terapeutica:
per questo, a 46 anni, non sono
mai stato così in forma e così in pace
con me stesso”, confessa Castellitto. Il
quale all’inizio non voleva accettare il
ruolo: “Mi sembrava un personaggio
troppo intenso, mi atterriva”. Poi però
la moglie Margaret Mazzantini, scrittrice,
lo ha convinto. Castellitto nelle ultime
settimane è stato al centro delle
polemiche per avere interpretato un
film di Marco Bellocchio ritenuto blasfemo
dal Vaticano: “L’ora di religione”.
Ma anche la fiction tv sul frate
guaritore ha indugiato molto sul suo
conflitto con le scettiche gerarchie della
curia romana.

Ancora più entusiasta Michele Placido:
“L’incontro con Padre Pio mi ha
cambiato la vita, obbligandomi a guardare
in me stesso. Da quando ho interpretato
quel ruolo, mi sforzo di essere
utile anche agli altri. Per questo adesso
faccio parte di un gruppo di preghiera
e di volontariato. Ma già durante
i mesi di lavoro sul set, il mio collega
attore Rocco Papaleo mi convinse a
lasciare l’albergo, per non stare in una
gabbia dorata. Così mi trasferii in una
casetta poveramente arredata per una
specie di ritiro spirituale. A volte saltavo
le cene per fare i fioretti. E percorrevo
i sei chilometri che mi separavano
dal set non più in macchina ma a
piedi, nonostante il freddo. E sul set,
invece di sentirmi stanco, ero io a dare
la carica a tutti”.

* * *
La principale preoccupazione del
sindaco di San Giovanni Rotondo Antonio
Squarcella (Forza Italia, succeduto
da due anni a un sindaco di sinistra)
sono i parcheggi e la viabilità. Di
sabato e domenica, durante le festività
e in estate trovare un posto per l’auto è
più difficile che nel centro di Roma o
Milano. Grazie al Giubileo San Giovanni
aveva ottenuto 27 milioni di euro,
spesi quasi tutti per costruire parcheggi
dove sistemare le corriere. Ora il sindaco
è partito all’assalto della Regione,
governata dal suo collega di partito
Raffaele Fitto: a Bari chiede altri 10
milioni di euro per realizzare una superstrada
a quattro corsie e una metropolitana
leggera.

In effetti, i trasporti rappresentano il
principale problema per San Giovanni
Rotondo: arrivare a Padre Pio risulta
deplorevolmente difficoltoso. Dell’aereo
abbiamo detto. Ma anche coi treni
non si scherza. Ed è un peccato perché
i treni, Lourdes insegna, rimangono il
mezzo preferito dalle comitive di pellegrini.
Le due stazioni più vicine sono
San Severo e Foggia. E da lì partono
ogni tre quarti d’ora bus per San Giovanni
Rotondo, dalle cinque del mattino
fino a sera: in un’oretta si arriva a
destinazione. Il problema è che i trenicuccetta
dal Nord hanno orari tarati su
Bari e Brindisi, quindi arrivano troppo
presto a Foggia. Quanto a quelli da Roma
e Napoli, sono pittoreschi perché
attraversano l’Irpinia e l’Appennino
Dauno. Ma i tempi di percorrenza risultano
desolanti.

Chi volesse sperimentare un’avvincente
torpedonata diurna dal sapore
quasi esotico sappia comunque che
ogni giorno partono da Torino (alle
7.00) e da Milano (alle 9.50, accanto alla
Stazione centrale) le corriere Afg
(Autolinee ferrovie del Gargano) che
arrivano a San Giovanni Rotondo alle
19.40. Da Roma invece ci si mette cinque
ore, partendo alle 6.15 o alle 17.00.

* * *
San Giovanni Rotondo vanta da cinque
anni anche una rete Tv e un’emittente
radiofonica: Tele Radio Padre
Pio. Ne è presidente un frate cappuccino
36enne, Francesco Colacelli, perito
elettronico. Nel nuovo santuario verranno
installate ben 85 telecamere per
seguire in diretta le funzioni. Dove
piazzarle, lo ha deciso il regista televisivo
Sergio Japino, l’amico di Raffaella
Carrà. In tutte le stanze d’albergo è
questo il canale principale, e si sta trattando
per entrare nel bouquet della Tv
satellitare Stream. Il bilancio è di 130
mila euro annui, finanziati interamente
dai frati che non desiderano cedere
per ora alla lusinga commerciale degli
sponsor. La tv è visibile già oggi via Internet
in tutto il mondo: si possono seguire
il rosario o la messa in diretta
dalla cripta di padre Pio. Ogni sera si
collegano 1.000 persone per la celebrazione
delle 17.30. E i contatti giornalieri
arrivano fino a 10 mila. La radio si
ascolta già oggi via satellite in tutta Europa.
C’è anche la possibilità di ricevere
assistenza spirituale per posta elettronica.
Ogni sera i frati stampano tutte
le e-mail ricevute e le depositano
sulla tomba di Padre Pio.

In agosto arriverà qui la squadra dell’Inter,
per disputare un torneo (naturalmente
di beneficienza). Per i pellegrini
di Padre Pio ci sono infine a disposizione
un McDonald’s e una sala
Bingo, costata 1,3 milioni di euro (2,6
miliardi di lire) e frequentata ogni fine
settimana da 3.500 giocatori. Anche
nell’entrata della sala Bingo troneggia
una statua del santo. Apriranno prossimamente
il “parco francescano” con
un’Italia in miniatura che mostra i
viaggi di San Francesco, e perfino una
discoteca. A quel punto, San Giovanni
Rotondo conquisterà il bizzarro titolo
di “Las Vegas della cristianità”. Ma, visto
che i frati sono umili, forse si accontenterebbero
di un paragone con Rimini. Con tanto di pensione completa
a 40 euro giornalieri, tandem, risciò
e tour dei dintorni (Vieste, Peschici,
Rodi) con la formula del tutto compreso.

Ecco, i più intraprendenti “valorizzatori”
della risorsa San Pio già sognano
di offrire un “pacchetto Gargano”
che riesca a coniugare turismo e devozione.
Gli ecologisti, per esempio, possono
essere trattenuti negli alberghi
qualche giorno in più grazie alla presenza
dell’enorme Foresta Umbra. Gli
appassionati dell’ambiente hanno di
buono che acconsentono a muoversi
anche in primavera e autunno, cioè
fuori stagione. E “destagionalizzare” è
una parola d’ordine anche per i tour
operator di Padre Pio. Poi ci sono le
isole Tremiti, le pinete e i campeggi
dei laghi di Varano e Lesina, il castello
svevo di Termoli, quello di Serracapriola,
Pugnochiuso…

In tutto questo estroso festival che
coniuga felicemente sacro e profano,
c’è un solo dimenticato: Pietrelcina, il
paese a dodici chilometri da Benevento
dove Pio Forgione nacque, ebbe le
prime visioni, e a 23 anni ricevette le
stimmate sulle mani mentre pregava
sotto un albero (visitabile). A Pietrelcina,
in effetti, arrivano solo le briciole
della marea umana che affolla San
Giovanni Rotondo: poche decine di migliaia
di pellegrini all’anno. Eppure c’è
un convento di frati minori cappuccini
pure qui, e più qui che a San Giovanni
si respira l’aria di frugalità della vita
contadina di fine Ottocento. San Pio da
Pietrelcina, pensaci tu.

Mauro Suttora

RIQUADRO:
San Giovanni Rotondo è il
primo santuario europeo per
affluenza di pellegrini e insidia il
primato mondiale di Guadalupe
In paese la percentuale dei
disoccupati è del 6 per cento,
contro la media del 20 della
Puglia e del 40 fra i giovani
I devoti al frate cappuccino
sono 15 milioni in tutto il
mondo, sono stati censiti ben
2.187 gruppi di preghiera
Qui c’è uno dei migliori ospedali
del Centro-sud, con punte di
eccellenza nazionali: 500 medici,
40 reparti 1.200 posti letto

Padre Pio (al secolo Francesco Forgione)
nasce a Pietrelcina (Benevento)
il 25 maggio 1887. E’ figlio di contadini
analfabeti, ha quattro fratelli. La madre
lo battezza col nome del santo cui è devota,
il padre ha un piccolo campo che
non basta a sfamare tutti: dovrà emigrare
due volte in America. A quattro
anni il piccolo ha visioni notturne del
diavolo che lo fanno piangere di paura,
poco dopo cominciano le apparizioni e
le estasi. Porta le pecore al pascolo, legge
il Vangelo e a nove anni si autoflagella.

Nel 1903 diventa frate nel convento
di Morcone, sette anni più tardi
riceve le stimmate. Nel 1915 viene chiamato
alle armi. Commenta sarcastico:
“Mia madre mi ha fatto uomo, san
Francesco donna (alludendo al saio,
ndr) e il governo un pagliaccio”. Nel
1916 viene trasferito a San Giovanni
Rotondo, nel convento più misero del
foggiano. Nel 1918 le sue ferite a mani,
piedi e costato cominciano a sanguinare
anche in pubblico, non può più nasconderle
sotto guanti di lana. Il convento
è in subbuglio, la sua fama si
sparge, la Chiesa vuole vederci chiaro.

I medici che lo visitano non riescono a
spiegare il fenomeno, ma nel 1920 padre
Agostino Gemelli, fondatore dell’Università
Cattolica di Milano, lo liquida
come “isterico”. Ciononostante, fedeli
da tutto il mondo arrivano per assistere
alla sua messa delle cinque del mattino.
Lui confessa anche per 16 ore al
giorno, e non sempre assolve. Nel 1942
si fa confessare anche Maria Josè di Savoia.
Nel 1947 arriva in Puglia anche il
giovane Karol Wojtyla. Nel 1956 il sindaco
di New York Fiorello La Guardia,
originario di Foggia, dona 25 milioni
per il nuovo ospedale di San Giovanni.
Padre Pio subisce un’altra ispezione
del Sant’Uffizio sotto il pontificato di
Giovanni XXIII. Muore il 23 settembre
1968. Nel 1983 inizia il processo di beatificazione.
E grazie ai miracolati Consiglia
De Martino e Matteo Pio Colella,
il frate diventa santo.

Mauro Suttora