Friday, April 27, 2001

Lo strano anticlericalismo radicale

ANGIOLO BANDINELLI SPIEGA PERCHE' PANNELLA IN REALTA' È RELIGIOSO

di Mauro Suttora
Il Foglio, 27 aprile 2001

Dalla mezzanotte di stasera Emma Bonino smetterà di bere. Lo sciopero della sete, al contrario di quello della fame, può andare avanti solo per poche decine di ore. Poi si muore per disidratazione. Cosa vuole la Bonino? Che il presidente Carlo Azeglio Ciampi riconosca pubblicamente che in Italia c’è disinformazione. 

Assieme a lei Luca Coscioni, capolista radicale in Lazio, Umbria ed  ed Emilia-Romagna, attuerà un nuovo tipo di sciopero: quello delle cure. «Ridurrò progressivamente le mie terapie», annuncia Coscioni, reso immobile e muto dalla sclerosi laterale amiotrofica.

Coscioni non è l’unico simbolo della nuova lotta radicale, quella per la «libertà della scienza». In Puglia, nel collegio di Putignano (Bari), è candidato Camillo Colapinto, anch’egli malato di sclerosi. A Vittorio Veneto (Treviso) il distrofico Marco Zardetto così motiva la sua candidatura: «La ricerca genetica in Italia è un settore in cui non mancano i cervelli ma, purtroppo, non mancano nemmeno i tribunali della Santa Inquisizione». 

Il riferimento è ai divieti cattolici sull’uso di cellule staminali di embrioni «sovrannumerari» per la cura di malattie con origine genetica (Parkinson, Alzheimer, diabete, ecc.), e sulla clonazione terapeutica.

Sempre in Veneto, corre per la lista Bonino a Padova Emiliano Vesce. Suo padre Emilio (caso 7 aprile, poi deputato radicale) è in coma irreversibile da sei mesi. Questa tragedia rimanda a un’altra grande questione di cui i pannelliani sono alfieri solitari in Italia: quella dell’eutanasia. 

E a Torino il candidato sindaco radicale è Silvio Viale, ginecologo verde che propugna la pillola del giorno dopo e l’aborto farmaceutico (grazie alla pillola Ru 486 che permette di evitare l’intervento chirurgico).

Sono tutti temi che, assieme al sì della lista Bonino alla fecondazione assistita, alle biotecnologie e alla ricerca sugli Ogm (Organismi geneticamente migliorati) fanno dei radicali l’unico partito in urto frontale con la Chiesa oggi in Italia. E infatti il loro principale slogan elettorale è: «Decidi tu o il Vaticano? Libera il sesso, la scienza, la vita».

Insomma, i pannelliani sono tornati a uno dei loro primi grandi amori: l’anticlericalismo.
«Togliamo innanzitutto ogni significato negativo a questa parola», commenta Angiolo Bandinelli, già segretario e parlamentare radicale, oggi candidato della Lista Bonino a sindaco di Roma. «Io per esempio apprezzo molto l’anticlericalismo dell’Ottocento, che per la prima volta dopo mille anni permise ai ceti subalterni di conquistare un’educazione senza passare per le parrocchie. C’erano i circoli socialisti e quelli del mutuo soccorso, ma perfino i circoli ginnastici, pieni di magliette a strisce orizzontali e baffi a manubrio, contribuirono a quella che fu una vera e propria liberazione».

Sì, ma oggi che senso ha opporsi a una Chiesa in declino? 
«Da troppo tempo si fingeva di credere che tra Stato e Chiesa tutto potesse essere ricondotto alle idilliache formule spadoliniane del “Tevere più largo”», risponde Bandinelli, «e invece grazie ai radicali si è riaperto non un “vulnus” laicista né una “piaga” rosminiana, ma un tema su cui l’attenzione non dovrebbe mai scemare. Soprattutto in un paese così peculiarmente di frontiera, in bilico tra Stato e Chiesa-Stato».

Secondo Ernesto Galli della Loggia si può essere laici senza essere anticlericali. 
«E invece l’anticlericalismo», obietta Bandinelli, «è un dovere essenziale per l’uomo di fede. Il quale non può non avvertire un dissidio, quando non una lacerazione, tra il suo credere, che è un fatto appartenente all’intimità della coscienza, e l’istituzione che mondanamente governa questa fede e ne detta le norme per i suoi affiliati. Non c’è istituzione sacra che non debba fare i conti con l’anticlericalismo dei suoi adepti, come suo unico, possente e indispensabile correttivo».
 
«La riforma protestante», continua Bandinelli, «riteneva che il dissidio fosse incolmabile e che la fede del singolo dovesse liberarsi dalle pastoie dell’istituzione. I cattolici ritennero che il nodo non dovesse invece essere sciolto. Ma anche fra i cattolici non sono mancati possenti richiami a un forte, irresolvibile anticlericalismo. A nostro avviso, questo “segnale di pericolo” dovrebbe oggi, per loro, essere ancor più fortemente sentito. C’è quindi da sperare che il dibattito di questi giorni apra nuovi sbocchi alla attiva consapevolezza degli “anticlericali” di fede...»

Lontano dagli accenti truci dell’anticlericalismo garibaldino e anarchico («Con le budella dell’ultimo papa/impiccheremo l’ultimo re»), il pur laicissimo Partito radicale si definisce fin dalla sua fondazione, nel 1955, «partito dei credenti e dei non credenti». 

«Per me è stato importante un numero di Esprit, la rivista del filosofo cattolico Emmanuel Mounier che trovai nella stazione di Modane nel '47 aspettando un treno», ricorda Marco Pannella nel libro «Pannella & Bonino spa», appena pubblicato per le edizioni Kaos. Dove si scopre che il leader radicale deve perfino il proprio vero nome - Giacinto - a un sacerdote: glielo inflissero in onore di uno zio monsignore e letterato (al quale Teramo ha dedicato una via), che ospitò su una sua rivista articoli di Benedetto Croce e Giovanni Gentile. 

«Può darsi che io non abbia animosità anticlericali perché la persona migliore della mia famiglia fu questo prete, che era stato liberale e non popolare sturziano», spiega Pannella.

La sponda cattolica ricercata dai radicali era quella dei tormentati seguaci di Jacques Maritain e Georges Bernanos. Ma dopo il sì di Palmiro Togliatti al Concordato fascista e la continua ricerca da parte del Pci (ingraiani compresi) dell’«incontro fra le masse cattoliche e quelle comuniste», nell’Italia democristiana degli anni ‘50 e ‘60 c’era poco spazio per l’illuminismo radicale. 

Perfino all’interno del Pr l’indomabile Ernesto Rossi (autore degli sferzanti «Sillabo» e «Manganello e aspersorio», ristampati l’anno scorso sempre da Kaos) era considerato un «enfant terrible» dai sussiegosi «Amici del Mondo».

In questo clima paludoso Pannella recuperò l’anticlericalismo e l’antimilitarismo dei socialisti libertari di inizio secolo, e nel 1965 lanciò due campagne di legalizzazione: per il divorzio, e per l’obiezione di coscienza al servizio militare. Le considerava due chiavi per perforare il regime dc, ma a sinistra trovò scarsi consensi. 

Gli unici dirigenti Pci a dichiararsi pubblicamente divorzisti furono infatti Luciana Castellina, Vittorio Vidali, Umberto Terracini, Fausto Gullo e Massimo Caprara: tutti, per un verso o per l’altro, eretici. I sessantottini liquidarono le lotte per i diritti civili come «piccoloborghesi». E anche dal mondo cattolico i consensi arrivarono col contagocce: i cristiani di base, del dissenso e del no (dom Giovanni Franzoni) vennero subito egemonizzati dal Pci.

Nel '70 e nel '72, dopo due digiuni di Pannella, «passarono» le leggi su divorzio e obiezione. Il Vaticano raccolse immediatamente le firme per il referendum contro lo scioglimento del matrimonio, e i radicali risposero fondando la Liac (Lega italiana abolizione Concordato). Le adesioni erano prestigiose: Leonardo Sciascia, Eugenio Montale, Ignazio Silone, Ferruccio Parri, Alessandro Galante Garrone, Eugenio Scalfari, Lino Jannuzzi, Livio Labor (presidente Acli).

Esattamente come oggi, anche nel ‘74 la sinistra e i laici «perbene» (Pri, Pli, Psdi) aborrivano il conflitto con i cattolici, proponendo fino all’ultimo al segretario dc Amintore Fanfani un compromesso per evitare il referendum sul divorzio. 

La vittoria divorzista del 13 maggio ‘74 va quindi interamente ascritta ai radicali. I quali subito raddoppiarono, e raccolsero le firme per il referendum sull’aborto con l’Espresso di Scalfari. L’abrogazione del Concordato fascista fu invece impedita nel '78 dalla Corte costituzionale, che considerò l’intesa Mussolini-Vaticano un trattato internazionale, e quindi non sottoponibile a referendum.

«A questo punto Pannella ha un problema», spiega Bandinelli, «perché con la legge sull’aborto si è inimicato l’intero mondo cattolico. E vuole ristabilire un dialogo sui temi della difesa della vita. Contribuisce a questo obiettivo innanzitutto la campagna contro la fame nel mondo». 

Quando viene eletto papa Wojtyla, il leader radicale lo saluta affettuosamente: «Dio ce lo ha dato, guai a chi ce lo tocca». Simpatia ricambiata: Bandinelli va in Vaticano con il consiglio comunale di Roma (di cui fa parte) e viene presentato come esponente del «partito radicale di Pannella». Giovanni Paolo II gli sorride: «Ah, il nostro amico Pannella!»

Evidentemente le marce radicali contro la fame nel mondo (1979-1985) fecero breccia nel cuore del Papa, che nell’82 si spinse fino a salutare i manifestanti pannelliani giunti in piazza san Pietro. Che differenza rispetto alla Pasqua del ‘67, quando i radicali avevano srotolato davanti alla basilica uno striscione con la scritta «Divorzio, aborto, pillola», e si facevano infiammare dalle conferenze del fondatore dell’Aied Luigi De Marchi su «Sessuofobia e clericalismo».

L’ultimo conflitto Pannella-Vaticano si consuma nell’81, quando l’Italia vota i due referendum contrapposti sull’aborto: quello liberalizzatore dei radicali, e quello abrogativo del Movimento per la vita. 

Perdono entrambi, e rimane la legge sull’aborto di stato. Ma anche in quell’occasione Pannella tiene a precisare: «Gli unici veri credenti siamo noi e quelli del Movimento, perché ambedue crediamo nei valori e non nel potere. Onore al papa che va al macello col suoi referendum, meglio lui della sinistra fascista e golpista».

Dopodiché, vent’anni di armistizio, se non di pace. Sì, vari screzi sulla droga, ma niente di più. Tanto che Gianni Baget Bozzo nel ‘96 può sentenziare: «Il profeta Pannella, come il prete radicale Romolo Murri a inizio secolo, è in realtà una figura interna alla cristianità italiana, perché mira a una riforma del cattolicesimo». 

Ancora un anno fa sui depliant elettorali di Emma Bonino campeggiava la foto dell’udienza che lei e Pannella ottennero dal Papa nel 1986. Compunti e commossi, i due leader radicali gli illustravano i risultati della loro campagna contro la fame nel mondo.

Oggi Pannella si scaglia contro le gerarchie ecclesiastiche «che sacralizzano embrioni invisibili perfino al microscopio più potente della Terra, così come in passato sacralizzavano i cadaveri vietando le autopsie». 

«Ma anche Marco è un prete», provoca l’editorialista Massimo Fini, «basta contare tutte le volte che usa parole come “vita”, “verità”, “testimonianza”, “scandalo”, “dar corpo a...”»
Mauro Suttora
   

Wednesday, April 25, 2001

Spazzatura di Napoli in Germania

Abbiamo seguito il treno che porta in Germania l'immondizia campana

Così i tedeschi trasformano in oro la spazzatura di Napoli
   «Bruciando i vostri rifiuti ricaviamo energia elettrica che poi rivendiamo», dicono nell'inceneritore di Krefeld, dove stiamo mandando 40 mila tonnellate provenienti dalle pattumiere dei paesi vesuviani. «E dire che, per smaltirli, pagate 300 lire al chilo!» Replica il commissario governativo: «Siamo costretti a spedirle all'estero perché molte regioni italiane non le vogliono»
       dal nostro inviato Mauro Suttora
  Krefeld (Germania), 25 aprile 2001 
  Chissà che cosa sarebbe successo se l'ingegnere tedesco Ludwig Ramacher in marzo non fosse andato per lavoro a Crispiano, in Puglia, dove la ditta Intini sta collaborando con la Trienekens di Krefeld (Germania) nella costruzione di un impianto che smaltisce frigoriferi vecchi. «Ero lì in quei giorni, e sui giornali leggevo delle rivolte scoppiate per la spazzatura in Campania», racconta lui, «quando a Gianluca Moro, titolare delle società Magico e Unità di Misura di Milano, col quale siamo in rapporti da tempo, è venuta l'idea: perché quei rifiuti non ve li prendete voi?»
   Detto fatto. Nel giro di pochi giorni l'inceneritore della città di Krefeld ha presentato un'offerta ad Antonio Bassolino, presidente della regione Campania: 185 lire per ogni chilo smaltito. È stato firmato un contratto, e sono già cominciati i primi trasporti con i treni che vanno e vengono da Napoli alla Germania.
   Sembra un'assurdità, l'immondizia che dev'essere impacchettata in sacchi verdi neanche fosse materiale di valore, e spedita a duemila chilometri di distanza solo per essere bruciata in un forno. Ma è stata l'unica soluzione per smaltire le montagne di spazzatura (centomila tonnellate, ormai) che si sono accumulate nelle province di Napoli e Salerno, e che avevano provocato quasi la rivoluzione fra gli abitanti vicini alle discariche che non li volevano più.
  Sembra anche una barzelletta, o uno scherzo del destino, che i napoletani vadano a svuotare le loro pattumiere nella ricca e meticolosa Germania. Vi immaginate quante proteste ci sarebbero state se i rifiuti fossero stati accolti da un Paese solo un po' meno sviluppato? «Ecco, ora andiamo a inquinare anche il Terzo mondo», avrebbero strillato molti italiani. 
  Invece, niente. Neanche i tedeschi hanno storto il naso di fronte a queste importazioni puzzolenti: soltanto qualche articolo sui giornali della Renania (il Land dove si trova Krefeld, vicino a Dusseldorf) in cui ci si preoccupa solo per l'eventualità che mischiati alla spazzatura urbana siano nascosti anche rifiuti tossici provenienti da qualche industria, e per la mafia. Sì, perché anche in Germania è arrivata la notizia che i problemi della spazzatura in Campania sono causati dal controllo camorristico sul lucroso business dello smaltimento rifiuti.
    Che sulla spazzatura si possano far soldi, d'altra parte, ce lo dimostrano anche i dirigenti dell'inceneritore Trienekens, in una saletta dei loro (pulitissimi) uffici accanto all'impianto. «Ogni anno bruciamo circa 350 mila tonnellate», spiega il dirigente Ulrich Schafer, «cioè la spazzatura sia domestica che industriale prodotta dall'equivalente di sei milioni di abitanti. Ma i rifiuti sono un buon combustibile, e producono calore, il quale a sua volta genera vapore. Con il vapore muoviamo turbine che generano energia elettrica: un megawatt ogni due tonnellate di spazzatura. E vendiamo l'elettricità al prezzo di 50 mila lire al megawatt».

Insomma, i tedeschi trasformano la spazzatura in oro. In questo caso, si può ben dire, «l'oro di Napoli», perché dalla Campania ne stanno arrivando almeno 40 mila tonnellate. Il che, facendo due calcoli, significa un incasso di quasi sette miliardi e mezzo. Più un altro miliardo tondo tondo grazie all'elettricità prodotta. Fra l'altro, se la stessa elettricità venisse prodotta da un forno italiano l'introito sarebbe di cinque miliardi, perché da noi il prezzo dell'energia elettrica è quintuplo. Ma l'ingegner Ramacher non pone limiti alla provvidenza: «Con la Campania non abbiamo fissato una quantità di spazzatura precisa da smaltire, la nostra disponibilità arriva fino a 250 mila tonnellate».

Possibile che in tutta Italia non sia stato possibile trovare un posto dove buttare la spazzatura napoletana? L'emergenza rifiuti, infatti, sta costando decine di miliardi alla Campania. Al costo dell'incenerimento (185 lire al chilo, come si è detto) vanno aggiunte le spese di trasporto: altre 120 lire al chilo. Totale: più di 300 lire, le quali alla fine verranno pagate dai contribuenti con un aumento delle tasse sui rifiuti (pagate in base alla superficie delle abitazioni: si va dalle due alle oltre quattromila lire al metro quadro, che significa quasi mezzo milione all'anno per un appartamento di cento metri quadrati).

«Le centomila tonnellate dell'emergenza», ci spiega da Napoli il subcommissario Giulio Facchi, «verranno mandate per un quaranta per cento in Germania e per un venti per cento in altre regioni italiane. Il resto, cioè 40 mila tonnellate, lo stiamo smaltendo qui in Campania. Ma avevamo l'esigenza di far presto, perché con i primi caldi non si può tenere la spazzatura in strada. E purtroppo alcune regioni, come la Lombardia e il Lazio, si sono rifiutate di aiutarci».

Infatti, sembra incredibile, ma anche sull'immondizia si è scatenato un litigio politico: le regioni governate dalla destra non hanno accettato quella proveniente da una regione di sinistra come la Campania di Sassolino. E quindi le uniche discariche disposte ad accogliere i rifiuti di Napoli sono tutte in zone rosse: Marche, Umbria, Emilia, Toscana.

Precisiamo che fra i prezzi praticati in Germania e quelli delle discariche italiane non c'è una grande differenza: si viaggia sempre sulle 300 lire al chilo. «I tedeschi infatti hanno costruito i loro impianti vicino alle ferrovie», spiega Facchi, «cosicché a spazzatura può arrivare in treno e i costi diminuiscono. In Italia, invece, dobbiamo sempre utilizzare i camion, che sono più cari dei vagoni ferroviari».

Un'altra grande differenza fra noi e la Germania sono gli inceneritori: in Italia bruciamo appena il 6 per cento della spazzatura, contro il 35 per cento nel resto d'Europa. Nella trentina di impianti funzionanti da noi si smaltiscono appena due milioni di tonnellate di rifiuti urbani, cioè la stessa quantità che da sola la Trienekens tratta nei suoi dieci impianti. In totale, la Germania (con 80 milioni di abitanti) incenerisce 12 milioni di tonnellate: sei volte più dell'Italia (60 milioni di abitanti).

In Italia impazza ancora, dopo un quarto di secolo, la «sindrome di Seveso»: tutti gli inceneritori sono bloccati dalle popolazioni dei luoghi in cui dovrebbero essere costruiti perché si pensa che producano diossina, come successe nel 1976. «Ma con le tecnologie di oggi la diossina è un problema inesistente», sorride l'ingegner Ramacher mentre ci fa visitare l'impianto di Krefeld, «in Germania abbiamo un limite massimo di 0,1 nano-grammi per metro cubo d'aria, ma le nostre emissioni non raggiungono neanche il dieci per cento di quella quantità: è cosi poca che non riusciamo neanche a misurarla».

L'altro grande scandalo, che ci tiene lontani dall'Europa, è la raccolta differenziata. La Germania ormai ha ridotto quasi della metà la spazzatura da smaltire, perché recupera quasi tutto: non solo carta, vetro, lattine e plastica, come da noi, ma anche tutti gli scarti alimentari umidi, che trasforma in concime. «È per questo che nel nostro forno abbiamo trovato lo spazio per i vostri rifiuti», dice Ramacher, «perché grazie al riciclaggio quelli tedeschi stanno diminuendo». 

Così, oltre che dall'Italia, l'impianto di Krefeld può bruciare immondizia proveniente pure da Belgio e Olanda, che però distano poche decine di chilometri. Viene riciclata perfino la cenere che rimane dopo la termodistruzione: il 5 percento, ovvero cinquanta chili ogni tonnellata, che sono utilizzati per la pavimentazione stradale.

In Italia, invece, la percentuale della raccolta differenziata è appena dell'1l per cento, un quarto rispetto alla Germania. Ma, a sua volta, l'Italia è divisa in due. La Lombardia, infatti, ricicla oltre il 30 per cento (a livelli europei, quindi), mentre la Campania è all'1,5 per cento, e nell'intero Sud il recupero è quasi inesistente: finisce tutto in discarica.

Visitando l'impianto di Krefeld ci accorgiamo che le puzze tanto temute (dagli abitanti che in Italia si oppongono a ogni apertura di discariche, inceneritori e impianti di riciclaggio) non esistono: le montagne di spazzatura, prima di essere gettate nei tre forni Babcock, vengono conservate in un enorme locale chiuso e sigillato. Soltanto quando un addetto alza per qualche secondo una saracinesca (per farci curiosare dentro), esce una zaffata insopportabile. Attorno all'impianto (dal nome impossibile: «Mullundklarschlammverbrennungsanlage») ci sono boschi, giardini e ville immerse nel verde.

I cinquemila operai che lavorano negli impianti Trienekens guadagnano in media quattro milioni di lire netti al mese. Gli inceneritori sono società miste: il 49 per cento alla famiglia Trienekens, il 51 ai Comuni o al Land. Ma gli abitanti di Krefeld, quanto pagano lo smaltimento della loro spazzatura? Sorpresa: «Ogni chilo, 324 lire». Quasi il doppio dei napoletani? Ci spiegano che la spazzatura italiana è un'«utilità marginale», che sene solo a saturare l'impianto. Ma alla fine non capiamo se siamo noi a fare un favore a loro, o loro a noi.
Mauro Suttora

Thursday, April 12, 2001

parla Della Vedova

INTERVISTA A DELLA VEDOVA

di Mauro Suttora
Il Foglio, 12 aprile 2001

«Ogni giorno che passa, questa campagna elettorale dimostra che i radicali sono rimasti l’unica zeppa liberale fra i due poli. Se ne sono accorti, e lo hanno scritto, commentatori prestigiosi come Angelo Panebianco e Piero Ostellino. Ora però se ne de ve accorgere anche la gran massa degli elettori. È per questo che sembriamo ossessionati dal problema informazione. Ma purtroppo è dimostrato che per noi tutto si gioca per poche decine di minuti televisivi in più o in meno».

Benedetto Della Vedova è il più pacato fra i sette eurodeputati della lista Bonino eletti appena due anni fa con l’otto per cento (ma con punte del 18 in molte zone del Nord). Per stile personale, è lontano dai toni apocalittici di Marco Pannella. 

Però la sostanza non cambia: «Silvio Berlusconi è stato chiaro: da Vespa ha dichiarato che sulle questioni bioetiche la sua posizione è quella della Chiesa. Quanto all’economia, davanti agli industriali a Parma ha pronunciato un ottimo discorso. Ma non ha detto una parola sulle pensioni, né sulla libertà del lavoro. Anzi, ha tenuto a precisare che il suo non è più il modello Thatcher, ma quello dell’economia sociale di mercato. Cioè, esattamente la politica economica attuata per mezzo secolo dalla Dc. E il mio amico Giulio Tremonti non fa che ribadirlo: col sindacato la Casa della libertà è pronta all’accordo. Ma così si colpiscono le generazioni più giovani, sacrificate due volte: sia dalla mancata riforma delle pensioni, sia dalla mobilità sul lavoro, che riguarderà soltanto i nuovi assunti».

Vaticano e sindacato: ecco i due avversari che i radicali si sono scelti per questa campagna elettorale. Un colpo a destra e uno a sinistra, insomma, con il risultato di apparire allo stesso tempo attraenti e indigesti per entrambi gli elettorati, a seconda che si enfatizzino le libertà civili o quelle economiche. 

Con effetti a sorpresa, come l’appoggio dei premi Nobel (ormai arrivati a quota 40) per il capolista in carrozzella Luca Coscioni, che sarà con Emma Bonino al Raggio Verde santoriano anticipato a giovedì sera. Tema: la libertà della scienza. Interlocutori: Rosy Bindi e Rocco Buttiglione, ovvero il cattolicesimo di sinistra e di destra. 

Quest’ultimo, intervistato da Donatella Poretti per Radio radicale, si diverte a provocare i libertari riducendoli a «libertini», e sancendo che per loro fra i liberali del Polo non c’è posto, perché non accettano i valori di «Dio, patria e famiglia».

«Con avversari così andiamo a nozze», mormorano soddisfatti i radicali, che nel collegio di Milano centro dov’è candidata la Bonino incassano anche la candidatura suicida, da parte dell’Ulivo, dell’ex Dc e Fi Onofrio Amoruso Battista, oggi mastelliano, che se la vedrà con Marcello Dell’Utri: «Così si aprono grossi spazi per Emma», prevedono i pannelliani.

Ma, come sempre, è dall’estero che giungono gli aiuti più grossi. Il massimo dissidente cinese, Wei Jingsheng, sarà a Roma sabato per appoggiarli, e così il ministro della sanità ceceno Omar Kambiev, che i radicali hanno appena fatto parlare all’Onu a Ginevra, ma che la Russia ha obbligato a tacere dopo soli due minuti. Ne è nato un caso diplomatico di proporzioni internazionali, registrato da Le Monde in seconda pagina e come sempre ignor ato dai media italiani. 

Sia il cinese che il ceceno aderiscono all’«Osservatorio internazionale sulla legalità in Italia» al quale i boniniani vogliono affidano la sorveglianza sulle nostre elezioni. Vi troveranno un compagno inaspettato: Fausto Bertinotti, il quale con i governi russo e cinese va invece d’accordo, ma che appoggia i radicali nella loro lotta contro il predominio dei due poli in tv.

C’è da giurare che i fuochi d’artificio di Pannella per queste elezioni siano solo all’inizio. Per i radicali sarà un voto decisivo, dopo il trionfo delle europee 1999 e il doloroso ridimensionamento alle regionali 2000. 

«Ma questa volta, contrariamente al ‘94 e al ‘96, siamo riusciti a presentare candidati in tutta Italia», dice Della Vedova, «così non capiterà più di mancare il 4 per cento solo perché non avevamo liste in Veneto». 

Nel frattempo, continua la polemica politica quotidiana. La questione del giorno, per i pannelliani, è la censura a Internet, contenuta nella nuova legge dell’editoria appena approvata dalla maggioranza di centrosinistra: «Vogliono costringere tutti i siti che danno informazioni a registrarsi in tribunale e assumere giornalisti: è un’assurdità burocratica, senza eguali al mondo se non in Cina, che verrà spazzata via dalla libertarietà intrinseca della Rete», assicura Della Vedova.
Mauro Suttora

Friday, April 06, 2001

I noglobal battono McDonald's

I NOGLOBAL BATTONO MCDONALD’S

di Mauro Suttora
Il Foglio, 6 aprile 2001

Gli antiglobalizzatori di Seattle sconfiggono McDonald’s. È successo a Milano, dove la multinazionale americana temeva che un proprio nuovo ristorante in fase di apertura fosse preso di mira dagli autonomi. E allora, invece di battezzarlo con la celeb re insegna rosso-gialla dell’hamburger planetario, hanno preferito ripiegare su un più tranquillo e anonimo «Pizzamia». Così da pochi giorni in corso San Gottardo, proprio di fronte all’Auditorium della musica, ecco scintillare il logo verde della nuova catena di pizza pronta.

Fino a tre anni fa in quel locale del quartiere Ticinese era ospitato un Burghy, la prima catena paninara tutta made in Italy (gruppo Cremonini) che dagli anni Ottanta aveva preceduto (e anche impedito, o almeno ritardato) lo sbarco di McDonald’s nella penisola. Ma dopo l’acquisto dei ristoranti Burghy da parte dei re della polpetta statunitense, avvenuto nel 1997, piano piano tutte le insegne sono state rinnovate. 

Per la verità non c’è stato un gran cambiamento, perché il logo Burghy aveva gli stessi colori di McDonald’s, e anche gli interni erano stati copiati dall’America. Comunque, nel giro di un paio d’anni tutti i Burghy sono scomparsi, per far posto ai nuovi padroni.

In alcuni casi, quando i ristoranti Burghy e McDonald’s si trovavano vicinissimi, gli americani hanno preferito chiuderne uno: è quel che è successo, per esempio, in piazza Cordusio a Milano, dove la concorrenza fra hamburger italiani e americani è ormai un ricordo. 

In altri casi, invece, McDonald’s ha mantenuto aperti sia i propri locali, sia quelli acquisiti da Burghy: è il caso, sempre a Milano, dei ben quattro punti vendita presenti in corso Buenos Aires, tre dei quali distanti pochi metri l’uno dall’altro (piazza Loreto, piazza Argentina, angolo via Pergolesi).

Uno dei motivi di questo affollamento sta nel timore, da parte di McDonald’s, di lasciare spazi liberi ai concorrenti della catena (anch’essa multinazionale) Burger King, sbarcata in Italia soltanto alla fine degli anni Novanta. 

In piazza Duomo, per esempio, grazie a un accordo con Autogrill, Burger King è riuscita a fare lo sgambetto a McDonald’s: ha conquistato le due postazioni migliori (angoli con via Torino e con la Galleria), lasciando un solo ristorante ai rivali.

Nel novembre ‘99, però, è nato il movimento di Seattle. E uno dei bersagli preferiti dei teppisti dei centri sociali sono le vetrine di McDonald’s. La zona milanese dei Navigli è abbastanza calda per la presenza di vari centri, fra cui il Conchetta nella via omonima, a poche decine di metri dall’ex Burghy di corso San Gottardo. Più di un raid ha danneggiato il McDonald’s più vicino, quello di piazza XXIV Maggio, e gli antiglobalizzatori avevano già preso di mira, con qualche vetro rotto intimidatorio, anche il nascituro. 

Per questo, dopo un’attesa durata molti mesi, i prudenti dirigenti della McDonald’s Italia hanno preferito non correre rischi, e hanno riaperto il ristorante utilizzando per la prima volta a Milano (esiste già un altro punto vendita a Cinisello Balsamo) il marchio Pizzamia. Anche perché nel frattempo è scoppiata la crisi di Mucca pazza, e la carne tritata non tira più come una volta.

Un curiosità: il piccolo centro sociale Conchetta, che ha sconfitto la multinazionale McDonald’s, convive pacificamente da anni con il ristorante di lusso Sadler (all’angolo con via Troilo), dal quale lo separa soltanto un muro. Di qua gli «antagonisti» arrabbiati, di là i ricchi clienti del Sadler, dove un solo antipasto costa 50mila lire. 

Mai un incidente, mai un vetro spaccato, neanche un graffio alle scintillanti Mercedes parcheggiate vicino al centro sociale. Due mondi opposti che si fronteggiano in totale e tollerante indifferenza. Ma guai a McDonald’s, con i suoi hamburger a duemila lire divorati da giovani, extracomunitari e gente a corto di soldi. I proletari politicizzati detestano i ristoranti per proletari. Chissà se sopporteranno la pizza.
Mauro Suttora  

Wednesday, April 04, 2001

Satyagraha radicale

LA CENSURA DEL 'CASO ITALIA' FINISCE A GINEVRA

di Mauro Suttora
Il Foglio, 4 aprile 2001

«Come in piazza Rossa sotto Stalin e in piazza Tien an men, anche davanti al Quirinale è proibito manifestare». Marco Pannella attacca ancora il presidente Carlo Azeglio Ciampi dopo che il capolista radicale Luca Coscioni (malato di sclerosi laterale in carrozzella) è stato sfrattato dalla piazza romana. Motivazione della questura: mancava il permesso di occupazione del suolo pubblico.

«Ormai l’Italia è come il Tibet, Cuba, la Cecenia, la Cina. Può sembrare incredibile, ma nel nostro Paese, che il mondo conosce come una democrazia matura e sviluppata, si vanno deteriorando i principi stessi della libertà e della democrazia». Con queste parole lunedì l’eurodeputato Olivier Dupuis, segretario del partito radicale, ha sollevato il “caso Italia” davanti alla Commissione diritti umani dell’Onu a Ginevra. 

Esagerazioni? «Roma nell’ultimo anno è stata condannata 367 volte dalla Corte europea dei diritti umani», spiega Dupuis, «cioè una condanna al giorno. L'Italia è uno Stato in cui la Corte Costituzionale ha una giurisprudenza così arbitraria da attentare ai diritti che dovrebbe tutelare. Non lo diciamo noi, ma vari ex presidenti della Corte stessa. L'Autorità giudiziaria copre la violazione delle regole fondamentali del processo elettorale, 'autorizzando' la presentazione di liste e candidature con firme false e irregolari. Luca Coscioni ha lanciato un appello internazionale contro i veti clericali alla ricerca medica, raccolto da 33 premi Nobel e centinaia d'illustri scienziati. Ma questo evento non è stato nemmeno 'registrato' dall’informazione scritta e televisiva pubblica e privata».

Nei rari casi in cui Emma Bonino appare in tv («Telecamere», domenica sera), un ritardo la fa slittare a notte fonda: il programma è finito alle due meno venti. Così i radicali, esulcerati, adottano i metodi estremi della nonviolenza. Il 5 aprile 1930 Mohandas Gandhi fu arrestato vicino a Bombay perché, con la Marcia del sale, violò il monopolio inglese sull’estrazione. Riuscirà oggi Pannella a infrangere il duopolio Rai-Mediaset sull’informazione? 

La Bonino annuncia un «satyagraha» (sciopero della fame, con minaccia di passare a quello della sete): «Non chiediamo spazi per il nostro movimento, ma dibattito sui temi politici d’attualità: libertà della scienza, libertà economiche, libertà sessuali». 

Anche Radio radicale ha sospeso le trasmissioni per tre giorni. Ora i pannelliani dalla fantasia inesauribile immaginano una marcia a piedi, «dagli studi Rai di Saxa Rubra a Roma fino a quelli Mediaset a Milano: un po’ Gandhi e un po’ Marcos», propone Dario Russo sul forum del sito www.radicali.it.

Intanto, sui muri d’Italia sono affissi gli unici due poster della lista Bonino. Uno liberista: «Decidi tu o il sindacato? Libera il lavoro, l’impresa, la vita». L’altro anticlericale: «Decidi tu o il Vaticano? Libera il sesso, la scienza, la vita». 

Scienziati da tutto il mondo inondano Coscioni (33 anni, docente universitario umbro) di solidarietà. «Appoggio completamente la sua causa», gli scrive sir Godfrey Hounsfield, Nobel per la medicina del ‘79, «perché gli argomenti contro l’uso degli embrioni si basano sulla superstizione. Naturalmente lei ha un antico sostenitore: Galileo».

E Kenneth Arrow, Nobel ‘72 dell’Economia: «Anche negli Usa l’uso delle cellule staminali per la ricerca contro la sclerosi laterale amiotrofica viene attaccato dalla nuova amministrazione Bush. Sono totalmente con lei». Così altri 16 Nobel per la Chimica, otto della Medicina, sette della Fisica. 

Noam Chomsky del Mit di Boston: «Le barriere contro la ricerca sugli embrioni umani devono essere distrutte». In Italia le liste radicali sono zeppe di candidati scienziati e ricercatori. Prestigiosa l’adesione del professor Edoardo Boncinelli (il più noto genetista italiano dopo Renato Dulbecco, collaboratore del Corriere della Sera), che pure lavora nel cattolico centro San Raffaele di Milano. 

Avverte Giulio Cossu, presidente dell’Associazione italiana biologia cellulare: «Sta tornando l’inquisizione. È raccapricciante pensare agli embrioni distrutti senza motivo, ma negati alla scienza». Da Roma, aderiscono l’ex rettore Giorgio Tecce e il matematico Alessandro Figà Talamanca.

Ma, alla fine, tutta questa mobilitazione farà superare alla lista Bonino la soglia del 4 per cento? Gli ultimi sondaggi sorridono ai radicali: La Stampa li dà al tre, Datamedia al quattro. Loro, comunque, sono riusciti a presentare liste in tutte le regioni: compreso il Veneto, dove avevano subìto una grossa emorragia di iscritti, critici per certi metodi centralisti dei gandhiani romani.
Mauro Suttora