Friday, May 12, 1989

I Verdi alle Europee 1989

L' Europa delle fronde

Contro corrente i verdi alle elezioni di giugno

Non hanno un' ideologia comune , se non abbattere il mercato unico , la Nato , il nucleare. Fra poco , quando probabilmente triplicheranno i seggi di Strasburgo, cosa faranno ? Per cominciare, litigheranno tra loro

di Mauro Suttora

Europeo, 12 maggio 1989

A Strasburgo sara' un'esplosione. Alle europee di giugno i Verdi triplicheranno i loro seggi e potranno formare un gruppo di una trentina di eurodeputati. I sondaggi sono unanimi. In Germania Ovest i Gruenen dovrebbero mantenere l'8 per cento e i sette eletti conquistati nell' 84, cosi' come i belgi confermeranno i loro due parlamentari. Ma fra un mese e mezzo, a dar loro man forte , piombera' a Strasburgo la valanga dei Verdi francesi: almeno dieci nuovi eurodeputati. E poi gli italiani (cinque, sei, anche di piu) , qualche spagnolo. Mancheranno solo i britannici , vittime del sistema elettorale maggioritario.

Quella dei Verdi sara', probabilmente, l'unica grande novita' del Parlamento che accompagnera' l' Europa all' appuntamento con il mercato unico del 1992 . " E noi siamo pronti ad approfittare del piccolo terremoto che provocheremo " , annuncia battagliero Antoine Waechter , capo dei Verdi francesi , " per batterci contro l' Europa dei mercanti , dei militari , del delirio automobilistico e dell' energia atomica " . Vediamo quindi , paese per paese , chi sono e che cosa vogliono questi nuovi protagonisti della politica continentale che , in nome della natura , stanno togliendo consenso e potere ai partiti tradizionali .

FRANCIA
Pochi lo sanno , ma e' stata la Francia, e non la Germania , la culla dell' ecologia politica in Europa . Nel '72 , quando in Italia Adriano Buzzatti Traverso e Aurelio Peccei venivano considerati poco meno che simpatici pazzi se parlavano di " limiti dello sviluppo " , a Parigi le " bicifestazioni " verdi contro le autostrade urbane del presidente Georges Pompidou gia' attiravano migliaia di persone . La Bretagna era in fiamme per l' opposizione alle centrali atomiche in costruzione , e sull' altopiano del Larzac venivano combattute epiche battaglie nonviolente tra militari e contadini che resistevano agli espropri . Il giornalista Andre' Gorz , uno dei fondatori del Nouvel Observateur nel ' 64 , teorizzava l' " addio al proletariato " in polemica con i sessantottini , e proponeva le sue " tesi per cambiare la vita " : consumare meno , produrre meno , conservare di piu' . Nel ' 73 agli ecopacifisti si uni' perfino un generale , Jacques de la Bollardiere , che su una barca di Greenpeace ando' a disturbare gli esperimenti atomici francesi a Mururoa , nel Pacifico . Riviste gioiosamente anarchiche come Gueule ouverte e Charlie Hebdo vendevano centomila copie . E nel ' 74 300 mila francesi votarono per il candidato presidenziale verde René Dumont , agronomo terzomondista . L' opposizione al massiccio programma nucleare dei tecnocrati parigini si ingrossava , e nel ' 77 i Verdi ottennero il 12 per cento a Nizza , il 20 per cento a Chambery . A Parigi l' " amico della terra " , Brice Lalonde , ebbe il 10 per cento , piu' che alle municipali di due mesi fa .

Insomma , " veniamo da lontano " , puo' dire oggi con orgoglio Waechter , 40 anni , ingegnere di Strasburgo che gia' nel ' 65 lottava contro un' autostrada in Alsazia ( " E vincemmo " , precisa) . Poi pero' , nell' estate ' 77 , lo choc : una manifestazione contro il Superphenix di Malville (la centrale al plutonio posseduta per il 30 per cento anche dall' Italia) viene caricata duramente dai Crs , la celere francese , e ci scappa il morto . Il riflusso oltralpe ha le tinte della paura , e cosi' lo " Stato atomico " descritto minuziosamente dal futurologo austriaco Robert Jungk riesce a portare a termine il piu' massiccio programma di centrali nucleari del mondo .

Negli anni Ottanta il consenso elettorale rimane (un milione di voti nell' 81 per il candidato verde Lalonde , altrettanti l' anno scorso per Waechter) , ma la ghigliottina che elimina i partiti sotto il 5 per cento causa parecchi danni . Alle europee dell' 84 , per esempio , il quorum non viene raggiunto , e incominciano i primi dissapori con i Verdi tedeschi che non vedono tornare indietro i soldi prestati per la campagna elettorale . Ma il fossato fra i Verdi francesi e tedeschi si allarga anche sul pacifismo : la Francia resta allergica al grande movimento contro i Cruise che invade le piazze europee fino all' 84 .

L' anno scorso , il fattaccio : i Gruenen tradiscono i fratelli d' oltre Reno , considerati non abbastanza di sinistra , e appoggiano il candidato presidenziale Pierre Juquin , comunista dissidente . Nessuna meraviglia , quindi , che all' annuale congresso dei Verdi europei , a Parigi un mese fa , non si sia fatto vivo nessun deputato verde di Bonn , tranne Petra Kelly . Gia' nei mesi scorsi i francesi hanno messo bene in chiaro le cose : " A Strasburgo vogliamo formare un gruppo verde , senza Verdi rossi " . Sara' burrasca con i tedeschi , molti dei quali si professano apertamente marxisti e di sinistra . Waechter e' un tipo molto concreto , preciso , di poche parole , privo di carisma e di senso dell' humour .

Insomma , l'esatto contrario di Marco Pannella e di certi retorici Verdi italiani . I suoi ispiratori : Ivan Illich (il filosofo che vuole semplificare e deprofessionalizzare la societa) e Gorz . I suoi chiodi fissi : l' energia nucleare ( " deve sparire " ) , l' auto ( " limitarla , fa piu' perdere tempo che guadagnarlo " ) , il mercato unico ( " distruggera' le regioni piu' deboli con la concorrenza selvaggia " ) . Antieuropeista ? " No " , spiega all'Europeo , " pero' siamo contro questa Cee , che vuole fare l' Europa unita solo con una sfrenata circolazione dei capitali e delle merci . Il tanto decantato 1992 e' una fregatura : per la gente normale non migliorera' nulla . Un esempio ? La politica agricola della Cee , che causa abbandono delle campagne , sovrappopolazione nelle citta' , inquinamento . Nel 2000 ben 15 milioni di ettari verranno ' ' congelati' ' in Europa , perche' produciamo troppo " . Voi cosa proponete ? " L' Europa e' un prezioso mosaico di differenze . Bisogna salvaguardarle : e' questa la nostra ricchezza . Con uno slogan : Europa delle regioni " . Non solo uno slogan , per i Verdi francesi : al terzo posto in lista c' e' Max Simeoni , leader nazionalista corso .

I candidati sono alternati : un uomo e una donna . Tutti si sono impegnati per scritto alla rotazione a meta' mandato . Nessuna apertura ai Verdi rossi di Juquin . Ma il loro programma , nonostante le accuse tedesche , non sembra affatto moderato . Vogliono che l' Europa mandi in pezzi la Nato , il disarmo unilaterale atomico negoziato con lo sviluppo delle liberta ' all' Est , alternative di difesa non armata . Tutt' altro che succubi del tabu' della " force de frappe " francese , insomma . Waechter gia' si presenta , sicuro di se' , come il leader di tutti i Verdi europei . Puo' farlo : dopo un decennio di vacche magre , infatti , i Verdi francesi hanno trionfato alle amministrative dello scorso marzo . Alcuni sondaggi li accreditano perfino del 15-18 per cento . " Il polo europeo dei Verdi si spostera' a sud " , propetizza l' ambizioso ingegnere .

GERMANIA OVEST
Petra Kelly , 41 anni, resta sempre la verde tedesca piu' ispirata. Ma e' come Danton: amata dal popolo , odiata da molti burocrati del suo stesso partito . E la burocrazia , anche fra i Gruenen , avanza : 50 mila iscritti , 5 mila eletti , milioni di marchi incassati dallo Stato per le " fondazioni " culturali amiche (l' ipocrita sostituto tedesco al finanziamento diretto ai partiti , che in Germania non esiste) , 44 deputati a Bonn e ben 250 impiegati nel gruppo parlamentare . Da cinque mesi i " realisti " , favorevoli ad allearsi ovunque con i socialdemocratici , hanno sconfitto i " fondamentalisti " . Questi ultimi non vogliono " sacrificare i principi ecologisti , femministi ed emancipatori al carrierismo politico " , come avverte Jutta Ditfurth , la ex segretaria che minaccia di abbandonare i Gruenen se , dopo le elezioni del ' 90 , questi accetteranno di andare al governo nazionale assieme alla Spd . La Kelly sta in mezzo : ne' con i fondamentalisti marxisti ex sessantottini , ne' con i realisti , " che stanno perfino per accettare la Nato " .

La bionda Petra , con il suo carismatico torrente di parole , ha affascinato anche i guardinghi Verdi francesi al congresso europeo di Parigi . E li ha mandati letteralmente in sollucchero quando ha attaccato i socialisti , bestia nera dei Verdi sia in Francia sia in Germania . A Parigi l' ex leader verde Lalonde e' passato direttamente a Mitterrand , che lo ha nominato ministro per l' Ambiente . " E in Germania , per raccattare voti " , avverte la Kelly , " certi Verdi si stanno socialdemocratizzando . I nostri veri partner non devono essere i socialisti , ma Solidarnosc , Greenpeace , Amensty . Non dobbiamo fare politica , ma antipolitica . Solo cosi' riusciremo a cambiare la politica , come ha fatto Solidarnosc in Polonia " . Anche la Kelly si proclama contraria alla Cee . Ma allora perche' accettate di entrare nel suo Parlamento ? " Per utilizzarlo come megafono per le nostre idee " , risponde Petra all'Europeo .

" Ma per me l' Europa e' anche quella dell' Est . Solo che , proprio mentre l' Ungheria vuole uscire dal Patto di Varsavia , alcuni nostri Verdi ' ' riscoprono' ' la Nato e addirittura rivalutano Adenauer " . E giu ' una bacchettata sulle mani agli europarlamentari Gruenen , che hanno pubblicato una cartina dell' Europa senza l' Est . " E nostra responsabilita' occuparci di quello che sta succedendo li' , dei tremila gruppi ecologici e antimilitaristi nati in Polonia , intrometterci negli affari interni di Germania Est , Romania , Cecoslovacchia che , come la Turchia in campo Nato , violano i diritti umani e gli accordi di Helsinki . Molte delle tanto lodate joint venture con cui Gorbaciov si sta aprendo all' Ovest sono antiecologiche . La Cee d' altra parte non si deve chiudere in se stessa ne' dove minacciare la neutralita' di paesi come Austria , Svizzera , Svezia , Finlandia . L' Europa unita dovra' comprendere l'Est ed essere tutta neutrale e smilitarizzata " .

Ma per ora l' unica solidarieta' internazionale dei Verdi europei e' andata all' Olp , con un documento assai squilibrato e violentemente antisraeliano proposto da un europarlamentare tedesco . Anche su questi temi di politica estera , probabilmente , ci saranno differenze nel nuovo Parlamento europeo fra Verdi di sinistra e Verdi nonviolenti . Per ora , fra i Verdi tedeschi c' e' tregua : all' ultimo congresso di Duisburg , in marzo , i tre nuovi cosegretari eletti rappresentano tutte le correnti . C' e' la " realista " Ruth Hammerbacher , 36 anni , la femminista radicale Verena Krieger , 28 anni , e il " centrista " Ralf Fucks , 37 anni . Ma la Kelly insiste : " Se diventiamo come i socialdemocratici , perche' mai ci dovrebbero votare ? " . Eterno dilemma di ogni minoranza .

BELGIO
Europa unita , Belgio diviso. Ci sono i Verdi valloni (Ecolo) e quelli fiamminghi (Agelv) , rigorosamente separati . Un eurodeputato ciascuno , fin dal 1984 . E nel Parlamento uscente i Verdi belgi hanno sofferto , perche' rappresentavano l' ala destra del gruppo Arcobaleno , che comprende anche ecologisti di sinistra come gli italiani di Dp e molti tedeschi . Paul Staes e Paul Lannoye aspettano quindi con sollievo l' arrivo dei francesi . Loro dovrebbero mantenere il 7 per cento dei voti , ma con uno stratagemma gli eurodeputati belgi saranno quattro invece che due : raddoppiano grazie alla rotazione e al " deputato supplente " .

OLANDA
L' attuale eurodeputato Bram Van der Lek , 58 anni , fa parte del gruppo Arcobaleno ma proviene dal Psp (Partito socialista pacifista) , che assieme al Partito radicale olandese occupa da decenni lo spazio dei Verdi . Cio' non ha impedito la nascita dei Groenen , che pero' hanno ottenuto risultati scarsi (1 , 3 per cento dei voti) . Grazie al sistema proporzionale , comunque , i Groenen hanno eletti all' Aja e ad Amsterdam.

LUSSEMBURGO
Dein Greng Alternatif ha due deputati e ottiene regolarmente dal 10 al 20% dei voti nelle municipali . Alle europee , pero' , dovrebbero avere il 16 per cento per conquistare uno dei sei seggi riservati al piu' piccolo paese della Comunita' : impossibile .

GRAN BRETAGNA
Il Green party e' letteralmente cancellato dal sistema elettorale uninominale ( " a causa del quale siedono a Strasburgo molti piu' conservatori di quelli che dovrebbero esserci " , denuncia la signora Jean Lambert) . Tuttavia , continuano imperterriti a presentarsi e presumibilmente a rubare voti ai laburisti . Il 18 giugno saranno presenti in tutti i 78 collegi del Regno Unito , spendendo un bel po' di soldi : un deposito di mille sterline per ogni collegio , in totale quasi 200 milioni di lire . Ma e' sicuro che non raggiungeranno la maggioranza in alcun collegio . E questa e' l' unica dura regola per essere eletti , sotto il sistema maggioritario . In totale , alle scorse europee i Verdi avevano comunque raccolto il 4 , 6 per cento . Va un po' meglio nelle elezioni locali : i Greens hanno cento consiglieri municipali e otto distrettuali : uno di loro ha avuto addirittura il 61 per cento dei voti , ed e' certamente il Verde piu' votato del mondo .

IRLANDA
Comhaontas Glas in gaelico significa Alleanza verde . Fondata nell' 81 , finora e' riuscita a conquistare soltanto un consigliere locale . Il capolista a Dublino per le europee e' Trevor Sargent , ma per essere eletto dovrebbe raggiungere il 15 per cento . Invece i Verdi irlandesi non hanno mai superato il 9.

DANIMARCA
In questo paese perfino la regina e i ministri si proclamano ecologisti . Nell' 85 ci fu addirittura un ex ministro della Difesa che ando' a protestare contro gli esperimenti atomici francesi di Mururoa a bordo della nave di Greenpeace . I Gronne hanno qualche eletto locale , ma nazionalmente sia nell' 83 sia nell' 87 hanno raccolto appena l' 1 , 3 per cento . I quattro deputati del Movimento anti Cee sono stati finora accolti nel gruppo Arcobaleno , a Strasburgo , ma e' difficile che la collaborazione con i Verdi continui nel nuovo Parlamento , quando gli ecologisti saranno abbastanza per formare un gruppo autonomo.

SPAGNA
Il primo partito ecologista , Alternativa verda , e' nato a Barcellona nell' 83 . Poi sono venuti Los Verdes e infine , nell' 85 , e' apparsa la Confederacion de los Verdes , capitanata da Santiago Vilanova . Come tutti i Verdi latini , litigano molto fra loro . Scarsissimi i risultati : 0 , 6 per cento Los verdes , 0 , 3 per cento la Confederacion . A complicare il panorama ci sono le rivalita' regionali fra Catalogna e Castiglia , e la concorrenza di ex comunisti e umanisti : anche loro alle elezioni si dicono Verdi . Non si sa , quindi , se alle europee ci sara' una sola lista.

PORTOGALLO
Una bella e bellicosa signora , Maria Santos , e' deputata a Lisbona per Os Verdes . E stata eletta nelle liste del Partito comunista : una specie di indipendente di sinistra , insomma . Solo che il Pc portoghese brilla per il suo stalinismo. I Verdi europei hanno allora accolto nel loro coordinamento una seconda formazione : il Mdp (Movimento democratico portoghese) .

GRECIA
E' il caos totale. Nella miriade di gruppuscoli e movimenti ecologisti, il coordinamento europeo non ha ancora scelto un interlocutore nazionale . Anche perche' molte organizzazioni Verdi greche sono controllate dal partito socialista o dai due partiti comunisti.

Mauro Suttora

Stilisti al verde

SNATURATI

Operazione ambiente. L’incontro “Natura e impresa" organizzato dalla Regione Lombardia


di Mauro Suttora


Europeo, 12 maggio 1989


Salvatore Giannella e Ruggero Leonardi, direttori di Airone e Natura Oggi (le due maggiori riviste verdi), erano andati speranzosi all'incontro "Natura e impresa", organizzato dalla Regione Lombardia. Scopo della riunione: spingere le industrie a sponsorizzare progetti ecologici. 

Ma quando Carlo Peretti, vicepresidente dell'Assolombarda, ha preso la parola, agli ambientalisti presenti sono cascate le braccia. "L'inquinamento industriale è inferiore a quello di altre attività… Non si può ritornare a una civiltà arcaica e bucolica… L'uomo si è sempre dovuto difendere dalla natura", ha tuonato il rappresentante degli industriali.


"Che faccia tosta", commenta la deputata verde Gloria Grosso. "Certi vecchi pescecani prima si sono arricchiti inquinando, e adesso vogliono arricchirsi anche disinquinando". Ultimamente, però, gli industriali desiderosi di costruirsi un'immagine "ecologica" hanno trovato una buona sponda nelle associazioni verdi. 

Così la Lipu si è fatta sponsorizzare dalla Piaggio, Lega ambiente dai petrolieri Monteshell per la campagna "Auto sicura”, e il semisconosciuto gruppo Mare Vivo ha pensato bene di invitare all'assaggio del tonno Riomare. Così sono sistemati i verdi contrari a motori e caccia. Gli Amici della terra sono anche amici di Italstat e Italimprese, che oltre a finanziare un convegno sull'ambiente hanno cementificato mezza Italia.


Ma il simbolo più ambito è il panda del Wwf, associazione prestigiosa quanto la Croce Rossa o Amnesty international. Cominciate con uno scivolone (il connubio verde etilico con Vecchia Romagna), le sponsorizzazioni proseguono intensamente. Anche perché, nonostante i suoi 200mila soci, il Wwf copre solo un terzo del proprio bilancio annuo di dieci miliardi con le quote degli iscritti.

Quindi, ecco il Wwf raccomandare la Zurigo Assicurazioni, le pile "verdi" Mazda (senza mercurio, ma con l'altrettanto inquinante cadmio) e le fotocopiatrici Minolta (come se la carta riciclata non potesse essere usata su tutte le fotocopiatrici).

Ma lo sponsor più scomodo è stato certamente il sarto socialista Trussardi: il suo Palatrussardi a Milano, infatti, è un abuso edilizio, sorto illegalmente su un'area tutelata a verde dalla legge Galasso.

Friday, May 05, 1989

Nella Siria cacciata dal Libano

Perché Hafez Assad non vuole ritirarsi dal Libano

IL LEONE DI DAMASCO

Ha saputo giostrare contro 1000 avversari. Ha fatto della Siria la maggior caserma del Medio Oriente. Ma oggi che le sue folli spese militari hanno dissanguato il Paese, tutto il mondo arabo lo sta isolando. E l'Irak pensa già alla vendetta

dal nostro inviato a Damasco Mauro Suttora

Europeo, 5 maggio 1989

Il tassista ferma la sua grande e scassata Chrysler gialla anni Sessanta, si volta e sorride. Fa quel gesto, con le dita della mano riunite all'insù, che da noi significa "che vuoi?" e fra gli arabi "aspetta". Apre la portiera, esce dalla macchina e se ne va a contrattare il prezzo di due caschi di banane da un ambulante lungo la strada. 

Siamo a Chtaura, nella verde vallata libanese della Bekaa. Stiamo fuggendo da Beirut insanguinata in quattro, io e tre musulmani libanesi, su un taxi collettivo. Andiamo verso Damasco, verso un tetto sicuro, insieme a centinaia di altri profughi di Beirut ovest, stanchi della roulette russa dei bombardamenti. 

Anche Chtaura viene bombardata dai cannoni del generale cristiano Michel Aoun, che da un mese e mezzo osa sfidare i 40 mila soldati siriani in Libano. I missili e le bombe dei mortai da Beirut est, superato il monte Libano, piombano anche qui, nella speranza di colpire le postazioni siriane che da 13 anni controllano la grande vallata, la Bekaa di fatto annessa alla Siria: mezzo Libano. Chtaura ne porta i segni. Muri sfondati attraverso cui occhieggia il cielo, sacchetti di sabbia davanti alle vetrine, nastri di scotch che cercano di impedire che i vetri cadano a pezzi. 

Il tassista siriano torna indietro con le sue banane Dole, "product of Ecuador", molto più grosse delle banane locali. Forse le bananine mediorientali rimangono così rachitiche perché non sono trattate con tiabendazolo, come indicato sulle Dole. Fatto sta che queste ultime finiscono nel bagagliaio del taxi, confondendosi con i nostri bagagli. 

Prima della frontiera, nello spazio di 20 chilometri, il tassista ci pregherà di aspettare altre quattro volte: per comprare due taniche metalliche d'olio, una confezione gigante di fazzoletti di carta, altre banane, una stecca di sigarette. Smette solo quando nel bagagliaio non sta più neppure uno spillo. Proprio questa sua spesa forsennata spiega molte cose: le ragioni per cui la Siria si è impadronita del Libano (il 70 per cento del territorio e tutte le città più importanti: Beirut ovest, Tripoli, Tiro, Sidone), come mai non voglia andarsene e anche perché sia in perenne crisi economica. I beni di consumo che il tassista si è assicurato, infatti, sono un po' un simbolo: quello di una Siria per cui era insopportabile avere, tra sé e il mare, un paese piccolo, libero e ricco come il Libano. 

I soldati siriani, calati dalle montagne del Jebel Ansarié (la patria alauita del dittatore di Damasco , Hafez Assad), o arruolati fra i beduini del deserto, si sono impadroniti del raffinato Libano con la stessa fame, la stessa rabbia, lo stesso complesso di inferiorità di un barbaro di fronte a Roma. Beirut, ex emporio miliardario, dopo 14 anni di martirio riesce ancora ad offrire ben più della Siria. 

Una conferma mi verrà, arrivato a Damasco, da una visita al suk nella città vecchia. Quello che un tempo era il bazar più ricco e sfavillante del Medio Oriente dopo il Gran Bazar di Istanbul è ridotto a due misere gallerie maleodoranti. Poca e povera la merce esposta. Solo i tessuti di cotone e gli abiti tradizionali vi portano una nota multicolore. Già: è grazie all'industria tessile che la Siria può assicurarsi ancora le forniture di armi sovietiche; Mosca gliele dà in cambio di prodotti di cotone, mentre considera la valuta siriana carta straccia. Come il resto del mondo. 

Nella galleria principale del suk, quella che porta alla grande moschea degli Ommayadi, i commercianti disponibili a scambiare quattro chiacchiere sono pochi. La polizia politica di Assad è assai occhiuta, i militari sono dappertutto. Il regime non tollera critiche e lamentele. Ha dovuto risparmiare di malavoglia il comico Duraid Laham che lo mette alla berlina, perché è protetto da una popolarità a prova di bomba. Finalmente, mentre compro di che radermi in una misera bottega di chincaglieria, il negoziante sibila in francese: "Il nostro problema? Che buttiamo il 65 per cento delle spese di bilancio nella difesa". 

Sono forze armate ipertrofiche, quelle siriane: mezzo milione di soldati su nove milioni di abitanti. Un modo per impiegare disoccupati che sarebbero cronici, ma anche un grande serbatoio di popolarità e un cuscinetto di sicurezza per Assad. "Questa gente", spiega un diplomatico occidentale, "Assad doveva pure impiegarla. Non potendo farlo contro Israele, dopo le batoste del '67 e dell'82, ha pensato bene di offrire 'un aiuto fraterno' al Libano".

La Siria ha sempre considerato il Libano parte della "Grande Siria": non ha mai aperto ambasciate a Beirut, né richiesto passaporti per passare la frontiera. Lo stesso Assad ha goduto dell'ospitalità libanese ai tempi in cui era un giovane militante del partito Baas che complottava per impadronirsi del potere a Damasco. All'indomani del golpe fallito, nel marzo del '62, fu però arrestato a Tripoli, tenuto in prigione 9 giorni e infine estradato.

C'è chi dice che questa disavventura gli abbia messo in corpo il desiderio di vendetta. Ma sono voci, interpretazioni che filtrano attraverso la pesante cortina di un culto della personalità da antico satrapo d'Oriente. "In realtà", lo descrive Karim Pakraduni, un dirigente libanese che ha negoziato a lungo con lui, "Assad è molto razionale. Da buon pilota militare abbraccia le cose dall'alto: con un colpo d'occhio individua dettagli e bersagli. E dopo aver colpito, si ferma a riflettere, negoziare, esplorare. Fino al colpo successivo". 

Proprio grazie a questa tecnica, otto secoli dopo Saladino, Damasco ha ritrovato un padrone assoluto. Nato nel 1928 sulle aride montagne della regione alauita, allora autonoma dalla Siria e governata dai francesi, Assad scende a studiare sulla costa, a Latachia. A 24 anni, come molti altri membri della minoranza alauita, fulcro dell'esercito siriano, entra all'accademia militare di Homs. Stages in Urss, espulsione dall'esercito, esilio al Cairo dove vive il suo idolo, Nasser. 

Nel '66, dopo un colpo di Stato, torna e viene nominato ministro della Difesa. E nel 1970, "grazie" ai palestinesi, diventa presidente: rifiuta infatti di difendere i fedayn sterminati dalla Giordania durante il Settembre Nero, e ciò offre al presidente Salah Jedid il destro di sostituirlo; ma Assad è più rapido e sostituisce lui il presidente. 

"C'e' da stupirsi?", si chiede il diplomatico con cui parliamo di tutto ciò. "Il Medio Oriente abbonda di questi colpi di scena… Certo, nella vita di Assad ce ne sono più che nella media. Basta pensare allo scherzo che il destino ha fatto al Libano, dove nel 1976 furono i cristiani a chiamare Assad perché eliminasse i fortini costruiti dall'Olp intorno a Beirut, dopo l'espulsione dalla Giordania. Assad distrusse il campo profughi palestinese di Tall el Zataar, ma subito dopo tradì i cristiani libanesi. Fece anche eliminare il capo dei drusi, Kamal Jumblatt. E non è vero che oggi il figlio di Kamal, Walid, è il miglior alleato di Assad? Assad vuol dire leone in arabo".

La parte del leone si attaglia perfettamente alla Siria, che è oggi, dopo la dichiarata intenzione del Vietnam di andarsene dalla Cambogia, l'unico Paese al mondo ad occupare un altro Paese: appunto il Libano, preda che non intende mollare. Naturalmente questo ha isolato la Siria anche nel contesto arabo. 

Se si considerano i complicati rituali che regolano la cosiddetta "nazione araba", non è senza significato che Damasco non faccia parte di alcuna organizzazione economica. Passi per il Magreb, per cui valgono considerazioni territoriali (ne fanno parte Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania) e passi, per analoghe ragioni, il Consiglio di cooperazione del Golfo nato nel 1980 (Arabia Saudita, Kuwait, Oman, Bahrein, Emirati e Qatar). Ma la Siria non è stata neppure chiamata a far parte del Mashrek , l'organizzazione nata nel febbraio 1989 tra Irak, Egitto, Giordania e Yemen del Nord. 

L'accordo di formazione è stato siglato a Bagdad e si dice che l'Irak l'abbia condizionato alla non partecipazione della Siria. Il che è comprensibile, data l'inimicizia tra i due partiti Baas. Ma è abbastanza grave per il regime di Assad (ormai legato solo all'Iran, musulmano ma non arabo e di volubili alleanze). Infatti, attraverso le anodine alleanze economiche passano sotterranee correnti politiche: per esempio l'Irak ha fornito alla Giordania 150 carri armati per mantenere l'ordine interno, e dire Giordania vuol dire Arabia Saudita. Non solo: sempre in Irak ci sono molti campi militari di Fatah, la corrente dell'Olp che fa capo ad Arafat. Il che vuol dire, per Assad, trovarsi contro anche l'Egitto. 

Ma il regime non sembra preoccuparsene. Damasco, dopo l'inferno di Beirut, è un'oasi di calma. Passeggiare per i suoi verdi giardini è un piacere. All'Hadykat Zanoubie, sulla riva del laghetto nel parco, un gruppo di soldatesse scherza. Altre ragazze, nessuna porta il chador in un momento di fervore islamico, camminano a braccetto. Sono un altro indice dell'abilità di Assad: qui la donna ha gli stessi diritti, almeno sulla carta, dell'uomo.

I radicali musulmani sono solo un ricordo (Assad provvide a farne eliminare migliaia in una sanguinosa purga ad Hama, nel 1982). La libertà di culto è assicurata. Perfino la minoranza cristiana, il 12% della popolazione, vive in pace. Tanto che quando vado, di domenica, a cercare un funzionario cristiano amico al ministero degli Esteri, sicuro di trovarlo (la giornata di festa canonica dei musulmani è il venerdi), mi dicono che non c'è: è a messa. 

Parlo con un suo collega musulmano e gli chiedo provocatoriamente come mai dappertutto a Damasco si incontrino militari. "È solo perché siamo in zona di confine", mi spiega un po' confuso. Comunque è vero. Israele è lì, sul Golan occupato dal 1967 e annesso nel 1981, ad appena 90 chilometri. Nel 1982 ha distrutto in pochi minuti tutte le postazioni di missili sovietici installate dai siriani nella Bekaa. E ancor oggi lancia indisturbato, ogni due-tre settimane, raid chirurgici punitivi contro le basi militari palestinesi che i siriani tollerano nel Libano del sud. "Da qui", mi dice un cameriere in un bar sul monte Cassiun che domina Damasco (dove Assad vorrebbe farsi costruire un faraonico palazzo presidenziale, bloccato dall'86 per mancanza di fondi), "ogni tanto si vedono bagliori lontani. I razzi israeliani". 

Sono 41 anni che la Siria combatte Israele. E questo perfino per uno Stato caserma, privo degli elementari diritti civili (parola, stampa, riunione, associazione, da tutte le copie dei giornali stranieri venduti negli hotel vengono sforbiciati gli articoli sulla Siria), è troppo. "Se non fossimo in guerra con Israele", s'era lasciato sfuggire al ministero degli Esteri il funzionario musulmano, "il mio stipendio sarebbe cinque volte superiore". 

È un altro elemento per capire la determinazione della Siria a non andarsene dal Libano, pompa d'ossigeno per dare un po' di respiro a un moribondo economico. "S'e' mai chiesto", mi domanda un diplomatico francese, "come mai la causa scatenante dell'ultima guerra in Libano, l'8 marzo, sia stato il tentativo di Aoun di ripristinare il controllo statale sui porti? Significava il blocco del contrabbando, dell'import-export illegale. Ha fatto infuriare un po' tutti, ma specialmente drusi e siriani. Probabilmente perché sono proprio loro ad esercitare il traffico di droga e armi. Secondo la polizia inglese, i due terzi della droga sequestrata in Gran Bretagna vengono dai porti turco ciprioti, proprio di fronte a Tripoli, controllata dai siriani. Del resto, a fine marzo è stata sequestrata in Mediterraneo una nave siriana carica di stupefacenti. Veniva dal Libano? Sa, la Bekaa è piena di coltivazioni di hashish e papavero". 

Una storiaccia. Non peggiore, però, di tante altre che circolano qui a Damasco. Dove si è addirittura calcolato che la metà della produzione annuale di grano siriana viene venduta illegalmente in Turchia, invece di affluire nei magazzini dello Stato "socialista". La gente così fa la coda per accaparrarsi beni di consumo primario e la valuta al mercato nero ha valore di un quarto rispetto al cambio ufficiale. 

Per soffocare il malcontento, lo spettro del grande nemico, Israele, serve a meraviglia. Perfino ad Assad, che non viene certo da una famiglia antisionista. Ecco infatti quel che scriveva il nonno di Assad, Solimano, il 15 giugno 1936 in un appello al premier francese Leon Blum: "I bravi ebrei hanno portato civiltà e pace agli arabi musulmani". 

Solimano cercava di convincere i francesi a proteggere le minoranze presenti in Siria e Palestina sotto l'occupazione franco-inglese. E fra le minoranze, oltre agli ebrei, c'era allora anche la famiglia del piccolo Assad: gli alauiti, l' 11 per cento dei siriani, che avrebbero voluto anche loro l'indipendenza dalla Siria o, al massimo, l'inclusione nel Libano. Ma in questo modo la Siria avrebbe perso ogni sbocco al mare. 

Dispute storiche che gettano la propria ombra anche sulle vicende di oggi. Per quanto tempo la minoranza alauita di Assad riuscirà a tenere in pugno la Siria con la sua maggioranza sunnita? L'uomo forte di Damasco è al potere da 19 anni, ma oggi tutto sembra congiurare contro di lui: il mondo intero si commuove alla tragedia di Beirut, la diplomazia è in movimento, perfino la Lega araba sembra rinnegare Damasco. 

E la Siria, per di più, appoggia gruppi palestinesi come quello di Ahmed Jibril sospettato di aver fatto esplodere l'aereo Pan Am a Natale. I rapporti con la Gran Bretagna sono ancora interrotti dopo l'"affare Hindaui" dell' 86 (attentato fallito contro un aereo El Al a Londra, commissionato dal capo dei servizi segreti siriani). Soprattutto, adesso a Mosca c'è Gorbaciov. E se i sovietici hanno bisogno della base navale siriana di Tortosa (Tartus), non è detto che vogliano continuare per sempre ad armare la caserma più bellicosa del Medio Oriente. 

Nella hall del mio albergo, lo Sham, c'è una carta geografica. Il nome di Israele non compare neppure. Vi compare invece quello dell'Irak, con il quale è molto più probabile che la Siria si trovi a fare presto i conti. Saddam Hussein non ha dimenticato che Assad è stato l'unico alleato arabo dell'Iran nella guerra del Golfo, né che tra l'80 e l'81 una decina di diplomatici iracheni nella zona musulmana di Beirut hanno subito attentati; il 15 dicembre '81 veniva addirittura ucciso l'ambasciatore Razzak Lafta. 

"Allora", mi ha detto a Beirut un comandante cristiano, "Saddam Hussein era impelagato nella guerra del Golfo. Oggi non più. E ha già cominciato a saldare i conti mandando ai falangisti cristiani di Samir Geagea un centinaio di carri sottratti agli iraniani". "Se i siriani non se ne andranno, chiameremo gli iracheni", aveva avvertito il generale Aoun. C'è da chiedersi se la questione libanese non verrà regolata da Bagdad dall'altro "ragazzo terribile" del Baas, capo di un'altra grande caserma del Medio Oriente.
Mauro Suttora