Friday, October 14, 1988

Droga legalizzata

Droga di legge

A Bruxelles, esperti di tutto il mondo rilanciano la parola d'ordine della liberalizzazione

dal nostro inviato speciale Mauro Suttora

Europeo, 14 ottobre 1988

Bruxelles. Si arrabbiano se qualcuno li definisce "apostoli della droga libera": "Macché liberalizzazione", tuona Marco Pannella, il leader radicale che ha organizzato il primo "Convegno internazionale sull'antiproibizionismo" a Bruxelles dal 29 settembre al 1 ottobre, "noi vogliamo depenalizzare, legalizzare, regolamentare la vendita delle droghe. Esattamente il contrario di quello che avviene adesso, cioè della libertà assoluta di comprare dosi all'angolo della strada".

Ma Pannella, nel prestigioso consesso riunito nel palazzo dei congressi della capitale belga, una volta tanto fa la figura del moderato. Perché, nei loro interventi, gli esperti internazionali che propongono la fine del proibizionismo si rivelano più radicali degli stessi radicali italiani.

"Ormai non si può più parlare razionalmente di droga, nel mondo", si lamenta Peter Cohen, responsabile del programma contro le tossicomanie ad Amsterdam, "perché questa è diventata una questione di tipo religioso. Per esempio, un'accurata indagine ha stabilito che nella nostra città, definita a vanvera 'capitale mondiale della droga', i consumatori anche occasionali di cocaina non arrivano in realtà al 5 per cento, mentre la percentuale di eroinomani è microscopica, appena dello zero virgola qualcosa".
Meno che nelle altre città europee?
"Il confronto non si può fare per un motivo molto semplice: mancano dati attendibili per tutte le altre capitali. E questo è normale: i numeri, nelle questioni religiose, non servono".

Si sa comunque che i drogati sono ormai centinaia di migliaia in ogni paese, li vediamo per strada ogni giorno…
"Ma anche se i consumatori di cocaina fossero il 50 e non il 5 per cento", è la sorprendente risposta dell'operatore olandese, "non vorrebbe dire nulla. Perché la pericolosità del consumo di droghe dipende dal contesto, dalla sicurezza, dalle condizioni personali di chi ne fa uso. Insomma, è evidente che sniffare durante un party per divertimento è ben diverso dall'iniettarsi eroina in un ghetto per disperazione".

Egualmente per disperazione molti degli attuali alfieri della droga legale sono arrivati alle loro attuali convinzioni. Il professor Peter Reuter della Rand Corporation di Washington, uno dei maggiori "think tank" dell'intellighenzia americana, informa per esempio che durante l'era Reagan, dal 1981 al 1988, i milioni di dollari spesi dagli Stati Uniti per la repressione poliziesca della droga (sia leggera sia pesante) si sono moltiplicati , passando da 800 all'anno a 2.000. Per la prevenzione, invece, il governo statunitense quest'anno spende appena 372 milioni di dollari, il 14% della cifra totale.

"E non parliamo della cura, cioè dei contributi ai centri di assistenza e alle comunità terapeutiche", denuncia il professor Reuter, "che dall'81 all'86 erano addirittura diminuiti da 221 milioni all'anno a 166. Secondo l'amministrazione Reagan, infatti, questo compito non spettava allo Stato, ma ai privati, alle chiese e ai volontari. Poi hanno cambiato idea e negli ultimi due anni i contributi sono raddoppiati, anche a causa della minaccia di Aids".

Ma i risultati sono desolanti: in questi anni di repressione, invece di diminuire il consumo di eroina e cocaina negli Stati Uniti e nel mondo è aumentato. Cosicché un sempre maggior numero di esperti ha aderito a quella che, quando Pannella la lanciò nell'84, sembrava solo una provocazione: "Legalizziamo la droga".

Prima il premio Nobel dell'economia Milton Friedman, più per ragioni ideologiche che empiriche, in nome del liberalismo e del no all'intrusione dello stato negli affari privati dell'individuo.
Poi, qualche mese fa, colpo di scena: Ralph Salerno, dirigente della polizia antidroga negli Stati Uniti, ammette durante una memorabile intervista televisiva che la "guerra alla droga" di Reagan è completamente fallita, e propone di passare alla legalizzazione.

Da allora, un effetto a catena: si schierano a mano a mano contro il proibizionismo giornali come l'Economist di Londra e il Pais di Madrid, negli Stati Uniti nasce la Drug policy foundation, in Europa il Movimento per la normalizzazione della politica contro la droga, in Italia i radicali intensificano la loro battaglia dando vita al Cora (Comitato radicale antiproibizionista) e convincono anche un membro del Csm, Michele Coiro.

Uno dei sostenitori più appassionati della tesi secondo cui "il male non si combatte proibendolo" è Fernando Savater, commentatore principe del Pais, il più grande quotidiano spagnolo: "Mi preoccupa l'assenza degli intellettuali di sinistra da questo dibattito, la loro collaborazione all'oscurantismo antidroga. Proibire la droga in uno Stato democratico è come proibire la pornografia, l'eterodossia religiosa e politica o i gusti dietetici. Viviamo in uno Stato clinico, che si arroga il diritto di decidere cos'è bene o male per la nostra salute, così come un tempo pretendeva di imporci idee politiche , religiose o artistiche".

Ma i danni della droga, soprattutto di quella pesante, sono riconosciuti da tutti.
"Certo, la droga perturba lo spirito e le abitudini, provoca malattie, spese per il recupero dei tossicomani, improduttività, morte. E indisciplina nel lavoro: troppo spesso la paura per il declino della produttività viene ribattezzata 'salute pubblica'. Ma le droghe eroina, marijuana, vino, tabacco, sono pericolose esattamente come l'alpinismo, l'automobile o il lavoro in miniera, che non sono vietati. E in ogni caso, mai quanto la guerra. La vita non appartiene né allo Stato né alla comunità, ma a ciascuno di noi".
Indifferenza, quindi, nei confronti dei tossicomani?
"No, i tossicodipendenti che vogliono abbandonare la loro mania hanno il diritto di essere aiutati dalla società".

Più concreta la preoccupazione del professor Lester Grinspoon, docente di psichiatria ad Harvard e consulente giuridico del governo americano: dove trovare i soldi per la cura dei tossicomani?
"Mettendo una tassa sul consumo delle droghe, come già succede per l'alcol e il tabacco. Così, gli stessi consumatori pagherebbero i costi per campagne di informazione e prevenzione nelle scuole, e per la cura di chi abusa delle sostanze stupefacenti".

Tesi strampalate? Mica tanto. Venerdì 29 settembre alla Tv italiana c'è stato un sondaggio sulla legalizzazione delle droghe. Fra la sorpresa di tutti ha prevalso, con il 51%, la tesi antiproibizionista di Pannella. Il quale commenta soddisfatto: "Anche prima della legalizzazione di aborto e divorzio i contrari temevano un aumento di aborti e divorzi, che poi non è avvenuto. Con la fine del proibizionismo, a perderci sarebbero solo gli spacciatori e la mafia".
Ma il leader radicale non è riuscito a convincere né il ministro Rosa Russo Jervolino, democristiana, che annuncia anzi leggi più severe, né le comunità terapeutiche per i tossicodipendenti, contrarie alla legalizzazione.
Mauro Suttora